Cambridge Analytica è il problema. O forse no?

Cambridge Analytica

Negli articoli pubblicati nei giorni scorsi dal New York Times e dal The Guardian si legge che la Cambridge Analytica, azienda che “usa i dati per modificare il comportamento del pubblico” e che “ha ridefinito il rapporto tra dati e campagna elettorale”, come si può leggere sul sito, avrebbe utilizzato i dati di milioni di persone raccolti attraverso Thisisyourdigitallife. Si tratta di un’applicazione sviluppata da Aleksandr Kogan, allora docente di psicologia di Cambridge, che prometteva di indovinare aspetti della personalità degli utenti grazie alla somministrazione di un questionario. Thisisyourdigitallife sarebbe così riuscita ad ottenere le risposte spontanee di milioni di persone raccogliendo i dati di 270 mila utenti e loro amici (raggiungendo così circa 50 milioni di persone) che sarebbero poi stati venduti alla Cambridge Analytica. È importante sottolineare che la violazione non riguarda la raccolta dei dati degli utenti e dei loro amici ma la vendita di questi ad un’altra azienda.

Da anni l’unico obiettivo di Facebook è raccogliere dati per vendere spazi pubblicitari ad aziende che possono proporre pubblicità mirate. In questo modo si aumentano le probabilità di convincere gli acquirenti e si risparmiano risorse economiche. Dietro al più famoso ed utilizzato social network del mondo si cela una piattaforma pubblicitaria, la più efficiente di sempre grazie all’immensa mole di dati che gli utenti sono disposti a condividere pur di restare “connessi” con il resto del mondo.

Andando nella sezione App delle impostazioni del vostro profilo Facebook avrete la possibilità di vedere tutte le applicazioni che hanno accesso ai vostri dati o a parte di essi. Nella maggior parte dei casi noterete applicazioni minori di cui nemmeno vi ricordate come giochi del passato o applicazioni che in un momento di curiosità sembravano assolutamente necessarie da testare. Quelle applicazioni hanno raccolto dei dati che, con molta probabilità, successivamente sono stati venduti ad altre aziende (tra cui Cambridge Analytica). Le aziende in questione hanno sfruttato quell’immensa mole di dati per profilare gli utenti, segmentarli in modo dettagliato, capirne i gusti e le abitudini.

Ma queste applicazioni possono raccogliere i nostri dati? Prima di utilizzare un’applicazione è necessario accettare i Termini e le condizioni, quelle parole scritte con caratteri minuscoli che nessuno legge mai un po’ perché ritenute inutili e un po’ perché oggettivamente difficili da leggere. Attraverso quelle condizioni spesso viene chiesto di accedere a parte dei dati o, in alcuni casi, anche alla fotocamera, al microfono e alla posizione fornita dal GPS. Il vero scopo di alcune applicazioni è solo accedere ai dati e quello è il prezzo che, più o meno consapevolmente, si è disposti a pagare per leggere l’oroscopo personale, migliorare l’immagine del profilo e scoprire cosa accadrà nel futuro.  Dopo aver finito di giocare o di rispondere alle domande per capire che tipo di persone siete, quei dati sono stati venduti ad aziende che li hanno usati per profilare con accuratezza scientifica gli utenti, siano essi elettori o acquirenti di detersivi.

La psicometria è una scienza affermata da anni, l’unica differenza è che in passato nessuno aveva gli strumenti per raccogliere e gestire i dati necessari per profilare con accuratezza milioni di persone. Oggi gli strumenti esistono e si chiamano Google, Facebook, Instagram, Snapchat, YouTube.

Se siete curiosi di capire quanto le tracce digitali che avete lasciato su Facebook siano accurate per determinare la vostra personalità potete sfruttare Apply Magic Sauce, software dell’università di Cambridge a cui tutti possono accedere e che permette di comprendere quanto sia facile profilare una persona attraverso il suo profilo Facebook.

Il web 2.0 ha stabilito una nuova relazione tra chi eroga un servizio e chi ne usufruisce. L’azienda in passato guadagnava grazie al cliente che decideva di pagare un prezzo per l’erogazione di un servizio o per l’acquisto di un bene. Il prezzo da pagare, oggi, è l’accesso ai dati. Se un servizio è gratis, il prodotto sei tu.

Mentre la pubblicità di massa faceva affidamento ad un messaggio forte in grado di convincere tutti, il nuovo marketing, servendosi della psicometria, riesce ad elaborare messaggi personalizzati per il singolo individuo. In questa ottica, poco importa se la persona che deve essere convinta è uno studente che deve acquistare un libro o una donna che deve votare.

Se il concetto di “mercato” diviene centrale e predominante in qualsiasi ambito, non ci si può stupire delle conseguenze prodotte dagli strumenti di cui esso si serve per essere “efficiente”. Quello a cui stiamo assistendo è semplicemente l’appropriazione da parte del marketing politico degli strumenti di cui si avvale da anni il marketing pubblicitario. Il problema sono gli strumenti adoperati da anni dal marketing o il loro uso nella propaganda politica?

Inoltre, considerare la comunicazione politica come unico fattore che determina un risultato in maniera univoca è fuorviante. È oggettivamente vero che la Cambridge Analytica, che ha lavorato alla campagna elettorale di Donald Trump e per il principale partito favorevole alla Brexit, sia riuscita ad ottenere risultati straordinari. È altrettanto vero, però, che nella storia delle democrazie moderne più volte ci sono stati risultati o eventi ritenuti successivamente negativi.  Voler spiegare i risultati elettorali degli ultimi anni limitandosi ad addossare la colpa alla manipolazione dell’opinione pubblica attraverso questi strumenti è errato e pericoloso. Errato perché la democrazia non è perfetta e non vince chi è eticamente e politicamente superiore ma chi riesce ad ottenere il maggior numero di consensi e, che ci piaccia o meno, per ora, è il miglior sistema a nostra disposizione. Pericoloso perché in questo modo si rischia di non ascoltare e comprendere quelle che sono le cause, profonde e pericolose, alla base di quello che viene definito come “voto di protesta o populistico”.

Tutto ciò non significa che sia giusto minimizzare la portata del problema o, peggio, che il problema non esista. Le notizie sono preoccupanti ed è giusto e doveroso parlarne ma è bene farlo con cognizione di causa e tenendo presente quelle che sono le dinamiche che da sempre hanno caratterizzato la comunicazione e la propaganda politica.

Cambridge Analytica:  rendere consapevoli è la soluzione

La propaganda politica è sempre esistita e sempre esisterà. Forse dovremmo chiederci se la raccolta dei dati, la psicometria e le pubblicità mirate siano o meno strumenti legittimi o se lo sono in qualsiasi ambito.  Gli stessi giornali che in queste ore attaccano duramente le dinamiche di cui sopra, si servono di questi meccanismi per proporre pubblicità mirate sui loro siti. Dov’è la differenza?

Forse, il vero traguardo da raggiungere è far comprendere le dinamiche del marketing moderno e quanto le tecniche sviluppate siano accurate e funzionali. Se una delle attività principali di oggi è navigare tra motori di ricerca e social network, è necessario far comprendere al maggior numero di persone possibile quali sono i meccanismi che reggono quei sistemi e quale è il compromesso da accettare consapevolmente per continuare ad usarli.

A proposito di Salvatore Tramontano

Studia Mass Media e Politica presso l'Università di Bologna. Scrive per capire cosa pensa.

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