Dipendenza da videogiochi, secondo l’OMS è una malattia mentale

Dipendenza da videogiochi, secondo l'OMS è una malattia mentale

Dipendenza da videogiochi, l’OMS la riconosce come disturbo

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha recentemente riconosciuto la dipendenza da videogiochi come patologia mentale, inserendola ufficialmente nell’International Classification of Diseases (ICD), l’elenco ufficiale e internazionalmente riconosciuto delle malattie e dei problemi che da queste derivano. La dipendenza da gioco digitale consiste in “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita”. Non sorprende, infatti, che la categoria più colpita sia quella dei maschi a partire dai 12 fino ai 15-16 anni, dunque in una fase particolarmente delicata del processo di crescita, in cui non mancano le pressioni dall’esterno e dell’interno, i timori nel relazionarsi con gli altri e con se stessi.

Dipendenza da videogiochi: sintomi e conseguenze del gaming disorder

Non sono mancate le critiche degli scettici, che non concepiscono come la dipendenza dai videogiochi possa essere accostata alle altre malattie, ben più gravi e “tangibili”, contenute nell’ICD (si pensi che i primi tre capitoli della classificazione riguardano rispettivamente patologie infettive, tumori e malattie del sangue). Il gaming disorder è stato, infatti, inserito nel capitolo sulle patologie mentali, dati i suoi sintomi e le sue ripercussioni sulla vita del soggetto che ne soffre. La motivazione alla base dell’attenzione dell’OMS circa la dipendenza da videogiochi è stata riportata da Vladimir Poznyak, un esperto del dipartimento per la salute mentale, ed è risultata perfettamente coerente con l’evoluzione delle conoscenze in merito oltre che con l’aumento dei casi di specie. Infatti, l’inserimento nell’elenco dovrebbe aiutare i medici a formulare più facilmente una diagnosi, in considerazione delle conseguenze negative che si riflettono nei comportamenti tenuti da chi ne è affetto e nelle sue relazioni con gli altri. “La patologia porta a problemi nella vita personale, familiare e sociale, con impatti anche fisici, dai disturbi del sonno ai problemi alimentari”, ha spiegato Poznyak.

Dunque, quella da gioco digitale è a tutti gli effetti una dipendenza, e come tale, il gaming disorder, è associato ad una vera e propria assuefazione dal gioco, un totale assorbimento nella dimensione virtuale che determina un allontanamento da quella reale. Al di là del rifiuto di ogni interazione e della ricerca della solitudine, il malato di gaming disorder trae piacere soltanto dal gioco, anzi si rivela irritabile e aggressivo quando è messo nella condizione di non poter giocare per un tempo più o meno prolungato.

In una videointervista pubblicata da Sky News, Cam Adair, fondatore di GameQuitters.com, la più grande comunità di supporto per i dipendenti da videogames, ha deciso di raccontare la sua esperienza: “Quando ho iniziato a giocare non era male, ero un ragazzo in salute, un ragazzo felice, giocavo ad hockey, ma col tempo iniziò a diventare un problema. Così, finii per essere bocciato al liceo, non una ma due volte. Non mi sono mai diplomato, non sono mai andato al college, arrivai al punto di fingere di avere un lavoro, mentre giocavo ai videogiochi più di 16 ore al giorno. In verità, scrissi anche una lettera d’addio, di suicidio. Ed è stato qui che ho realizzato di aver bisogno di un cambiamento”.

L’eccesso può sempre scadere in dipendenza, e il gaming disorder non fa eccezione, anzi conferma la regola.

La dipendenza da videogiochi è una malattia, parola di OMS!

A proposito di Ilaria Iovinella

Premessa: mai stata di poche parole, eterna nemica dell'odioso "descriviti in tre aggettivi". Dovessi sintetizzarmi, direi che l'ossimoro è una figura retorica che mi veste bene. Studio giurisprudenza alla Federico II, ma no, da grande non voglio fare l'avvocato. Innamorata persa dell'arte e della letteratura, dei dettagli e delle sfumature, con una problematica ossessione per le storie da raccontare. Ho tanto (e quasi sempre) da dire, mi piace mettere a disposizione di chi non ha voce le mie parole. Insomma, mi chiamo Ilaria e sono un'aspirante giornalista, attualmente impacciata sognatrice con i capelli corti.

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