“Simply”, l’album d’esordio del giovanissimo Horus Black

Horus Black

Il nome fa pensare ad una rock-metal band, ma in realtà Horus Black è un giovanissimo, nonché italianissimo cantautore. Riccardo Sechi, questo il suo vero nome, è nato infatti a Genova nel 1999. Lo scorso 11 maggio è uscito il suo primo album dal titolo “Simply”, su etichetta Sonic Factory.

Horus Black: gli anni ’50-’70 incontrano il pop contemporaneo        

Se dovessimo utilizzare una sola parola per descrivere l’album di debutto di Horus Black, quella sarebbe “contaminazione”, sì, perché in “Simply” convivono atmosfere vintage che rimandano al rock’n’roll anni ’50 e a quello psichedelico anni’ 70 e alle atmosfere del pop contemporaneo.

Sono evidenti infatti le influenze di diversi artisti che hanno fatto la storia della musica dalla seconda metà degli anni ’50 fino alla prima metà dei ’70: Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Tom Jones, i Rolling Stones, I Turtles, i Memphis Hornes, i Doors, i Led Zeppelin, i Queen.

All’interno dell’album coabitano dunque diversi stili: rock’n’roll/rockabilly, funk, rock psichedelico, pop, ballate. Non mancano però anche influenze classiche. Questo è dovuto, ha spiegato Horus Black, al fatto “di essere figlio di due violinisti classici e nipote di un trombettista classico”. Classica è anche l’impostazione nel canto. Il modo di cantare di Riccardo Sechi ci riporta infatti indietro nel tempo e ricorda, in modo particolare, quello di Elvis.

«Non sono un amante di sintetizzatori o suoni finti in quantità imbarazzanti – ha dichiarato il giovane cantante –  anche se nel caso siano usati in maniera giusta possono sicuramente aggiungere molto”.

Simply è in definitiva un disco dal sapore antico ma che strizza l’occhio anche al “digitale” e, dunque, a sonorità più moderne. Il “vecchio” si mescola perfettamente al nuovo e il risultato è un’esplosione di classe e gusto.

Simply: 10 entusiasmanti tracce                     

Sono 10 in totale i brani che compongono la prima fatica discografica del giovane Riccardo Sechi.

In apertura la traccia che dà il titolo all’album, “Simply”, un pezzo che racconta la fine di un’avventura d’amore. Il protagonista, rimasto solo, ancora innamorato, promette che resterà per sempre ad aspettare la lei che gli ha spezzato il cuore.

A seguire “We are alone tonight”, un pezzo di stampo rock, dai suoni decisi e dall’energia dirompente.

La terza traccia, “Lonely melody”, è una ballata dalla melodia struggente e malinconica, una “melodia solitaria” per parafrasare il titolo. Il brano racconta dell’impossibilità di raggiungere l’amore di una ragazza, perché quest’ultima è innamorata di un altro che però le procura solo dispiaceri. Il protagonista resta così nella sua solitudine e tutto ciò che può fare è cantare, gridando la sua disperazione.

Si ritorna a ballare con “I know that you want”, un pezzo funky e dinamico grazie all’azione combinata di sezione ritmica, fiati, archi e coro.

Si balla ancora con “Sophie”, un brano, tra i più travolgenti dell’album, che ci riporta alla fine degli anni ’50; lo stile è infatti quello tipico delle canzoni rock’n’roll/rockabilly dell’epoca.

Sophie – spiega il cantante genovese – è stata scritta in un periodo in cui un mio amico faceva la corte ad una ragazza chiamata per l’appunto Sophia (poi diventata Sophie per ragioni musicali). Quando feci ascoltare a lui questa canzone voleva che cambiassi il nome in Marie, ma Sophie suonava meglio; alla fine comunque il nome Marie compare nell’ultima parte di questa canzone quando il testo recita Marie, no quella è l’altra!”.

Ancora atmosfere vintage in “The march of hope”, brano che ha anticipato l’uscita dell’album. Una canzone il cui intento è dichiarato nel titolo: dare speranza! Si parte con strofe dall’aria tetra per poi sfociare in ritornelli carichi di vitalità, proprio a sottolineare l’obiettivo di infondere speranza. “Se ci proverai scoprirai che tutto ciò che ti serve è avere un po’ di speranza”, recita il refrain. Musicalmente parlando, si tratta di un brano audace sia da un punto di vista armonico che di arrangiamento.

Il ritmo si fa di nuovo lento con “Miss Candy”. Il brano, spiega il giovane artista,“parla di un innamorato che ricorda dei momenti felici vissuti con la sua amata: il primo incontro e il primo bacio, chiedendosi perché se ne sia dovuta andare per sempre; ciò nonostante lui continua ad amarla”. Il pezzo, ha aggiunto Horus Black, “è stato pensato come una canzone scritta da mio nonno paterno e rivolta a sua moglie, ovvero mia nonna, morta quando io avevo 4 anni e soprannominata da mio nonno “caramella” “.  

Dopo questa parentesi nostalgica si torna alle atmosfere rock’n’ roll anni ’50 con “Cock a doodle doo”, che tradotto sta per “Chicchirichì”. Un brano leggero, dal testo un po’ sciocco ma dal ritmo trascinante. La scelta del titolo del brano è stata così spiegata dal giovane autore: “Lessi tale termine per la prima volta quando fui costretto per motivi scolastici a leggere “La tempesta” di William Shakespeare dove il personaggio di Ariel diceva proprio cockadiddledow; quando lo vidi pensai che sembrava proprio uno di quei termini presenti nelle prime canzoni rock’n’roll tipo auabbabelubeauabbebum in “Tutti frutti” di Little Richard o Be boppa lula di Gene Vincent e quindi smisi di leggere ed imbracciata una chitarra mi misi a comporre”.

La penultima traccia, In my bed, è ancora una ballata nostalgica con un messaggio di speranza in conclusione: “so che cambierò e non sarò più solo…”. Il testo, ha dichiarato il cantante, “mi è venuto effettivamente in mente mentre ero a letto in una notte d’estate e non riuscivo a chiudere occhio. Ero sdraiato da ore, nessuno in giro, tutti che dormono e io che fisso il muro come consuetudine in questi momenti. La spiegazione alla situazione poteva essere che io ero da solo o almeno questa è quella che mi è venuta sul momento!”

Chiude l’album “We can’t go on this way”, un pezzo in cui si fanno più evidenti le influenze di esponenti del rock psichedelico anni ’70. Il brano, tra le tracce più interessanti dell’album, è nato in occasione dei festeggiamenti del 18° compleanno di un’amica del cantante.

Nel complesso Simply è un album ben fatto, curato nei dettagli, ricco di sonorità varie e interessanti che accompagnano testi a tratti malinconici, a tratti divertenti, interpretati in modo magistrale e con vocalità imponente. Una scoperta davvero sorprendente! Nonostante la giovanissima età, Riccardo Sechi dimostra infatti grande personalità e capacità. Il suo è un disco semplice, ma coraggioso, diretto ed esplosivo, che cattura al primo ascolto. Consigliatissimo!

Curiosità

Il nome d’arte Horus deriva da un episodio legato al nonno materno dell’artista genovese. Quest’ultimo infatti, appassionato di antico Egitto, offrì una somma in denaro affinché al nipote venisse dato il nome Horus anzichè Riccardo. Le cose sono andate diversamente, ma Horus è stato poi scelto da Riccardo come pseudonimo per il suo percorso artistico.

A proposito di Antonella Sica

Napoletana, laureata in Comunicazione pubblica, sociale e politica alla Federico II. Giornalista pubblicista; appassionata di musica, sport, attualità, comunicazione. Ama scrivere, fotografare, creare lavorando all'uncinetto e a punto croce. Realizza bijoux a crochet utilizzando anche materiale di riciclo.

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