De Filippo: Eduardo, intervista all’autore Nicola De Blasi

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In occasione della pubblicazione del nuovo volume Eduardo di Nicola De Blasi abbiamo incontrato l’autore per fare il punto sulla situazione del teatro dei De Filippo e sullo stato di salute del teatro napoletano. La presentazione del volume è prevista per Martedì 31 gennaio alle ore 18 presso la Feltrinelli di Piazza dei Martiri; interverranno, oltre all’autore, Matteo Palumbo, docente dell’Università Federico II di Napoli, e il direttore creativo di Fanpage, Luca Iavarone.

A più di un anno dalla morte di Luca De Filippo, è possibile fare un’analisi del contributo che i fratelli De Filippo (Eduardo, Peppino e Titina, prima, e Luca e Luigi De Filippo, poi) hanno dato al teatro napoletano prima e italiano poi?

I tre fratelli, Eduardo Peppino e Titina, erano figli del grande autore e commediografo Eduardo Scarpetta. Perciò facevano parte di una grande famiglia teatrale che ha dato moltissimo al teatro italiano dall’Ottocento fino al presente, attraverso diverse generazioni. Di questa straordinaria famiglia artistica vanno infatti ricordati non solo Vincenzo Scarpetta, che tra l’altro realizzò anche diversi film muti, ma anche Luigi De Filippo, figlio di Peppino, Luca, figlio di Eduardo, e Mario Scarpetta pronipote di Eduardo Scarpetta. 
Sin dalla giovane età i tre fratelli De Filippo hanno assorbito i segreti della tradizione teatrale, su cui hanno progressivamente fondato una serie di innovazioni. Un carattere evidente dei tre fratelli è la capacità di combinare la comicità con elementi drammatici e talvolta tragici. In questo modo hanno saputo raccontare anche la realtà storica e sociale dell’Italia del Novecento. Con la loro finissima recitazione hanno contribuito in modo determinante a costituire un teatro popolare e nazionale di qualità artistica altissima e in linea con il teatro europeo del Novecento. Dico teatro nazionale, anche se questo teatro è stato sempre segnato anche dalla presenza del dialetto; dobbiamo infatti considerare che la storia italiana è stata sempre caratterizzata, anche nella realtà, dalla presenza di numerosi i dialetti, che sono insomma parte integrante di un panorama culturale nazionale, di per sé variegato. L’influenza sul teatro italiano di personalità come Eduardo, Peppino e Titina De Filippo si misura direttamente attraverso le decine di bravissimi interpreti che si sono formati lavorando in gioventù con loro, ma si deve poi anche considerare l’influenza indiretta esercitata su diverse generazioni di attori. In particolare, in rapporto al teatro napoletano, proprio i tre De Filippo hanno mostrato che si può mantenere un legame con una grande tradizione teatrale, cercando contemporaneamente la strada della sperimentazione e dell’innovazione. Dopo di loro anche altri autori e attori hanno seguito questa strada. Inoltre Eduardo, Peppino e Titina hanno contribuito a portare nel teatro italiano i riflessi della realtà linguistica in cui l’italiano della comunicazione quotidiana si affianca al dialetto e all’italiano regionale.

Da qualche anno si assiste alla trasposizione televisiva delle opere teatrali (ricordo ad esempio il caso di Filumena Marturano). Crede che quest’operazione possa snaturare il nucleo del testo?

Le opere teatrali che nascono in vista della rappresentazione scenica trovano anche nella scena televisiva nuove possibilità e nuovi spazi. Proprio Eduardo dall’inizio degli anni Sessanta intuì che la televisione poteva donare al teatro una visibilità prima impensabile, se si considera che contemporaneamente la televisione raggiunge milioni di telespettatori e permette alle registrazioni di durare nel tempo: ce ne accorgiamo ancora adesso ogni volta che in rete incontriamo le registrazioni televisive dello stesso Eduardo. Sulle esperienze più vicine a noi dobbiamo pensare che Eduardo è un grande autore del teatro del Novecento e come tutti i grandi autori si presta a interpretazioni differenziate da parte di attori e compagnie che consentono anche nuove letture, nuove soluzioni. I grandi autori in un certo senso sollecitano le innovazioni, che confermano la validità di lunga durata e la duttilità delle loro opere: è quello che in genere accade ai classici. Le nuove messe in scena, in teatro o in televisione, non possono essere naturalmente la copia fedele di ciò che è stato fatto in passato. Ogni interprete, ogni regista oggi trova i testi di Eduardo pubblicati in una edizione critica (presso Mondadori)  dotata delle necessarie cure filologiche; quei testi non devono rappresentare un vincolo assoluto per gli interpreti, poiché da sempre gli attori propongono re-intepretazioni e riletture dei classici; i testi di un autore vanno invece visti come un indispensabile punto di riferimento, perché per cambiare si deve pur sempre avere un’idea precisa di come fosse l’originale. La stessa cosa vale per le registrazioni televisive che avevano Eduardo come protagonista; quindi possiamo anche accogliere ogni nuova interpretazione come un contributo a una più articolata comprensione delle opere. Una dose più o meno consistente di innovazione è la prova della validità di un’opera; una conservazione rigida e immutabile farebbe di un’opera teatrale un’opera da Museo o produrrebbe imitazioni non necessariamente di qualità. Del resto lo stesso Eduardo ha interpretato Shakespeare quando ha tradotto La tempesta in napoletano: ho l’impressione che Eduardo con quella traduzione abbia mostrato che un classico si può rispettare anche sperimentando soluzioni nuove. Ovvio che è anche indispensabile guardarsi dagli stravolgimenti arbitrari, ma per l’elevato livello del teatro italiano e dei suoi interpreti il rischio di uno stravolgimento gratuito mi sembra piuttosto remoto.

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Ha curato per i Meridiani l’edizione delle opere eduardiane (La cantata dei giorni pari, La cantata dei giorni dispari) ed ha da poco pubblicato “Eduardo” per la Salerno Editrice. Ci potrebbe indicare il metodo di composizione di Eduardo e cosa lo rende così unico e soprattutto come fa a veicolare messaggi universali in poche battute?

Eduardo ha respirato l’aria del palcoscenico sin da bambino e molto presto ha incontrato i testi nella forma scritta, perché Eduardo Scarpetta gli faceva copiare i copioni delle commedie. In questo modo ha acquisito una precocissima capacità di  misurare il peso scenico delle pagine scritte e l’efficacia che una battuta scritta poteva avere nella rappresentazione. Come capita ai grandi autori teatrali e ai grandi attori, aveva poi la capacità di osservare, cogliere e catturare le sfumature della lingua parlata. Il suo metodo di composizione era molto particolare: più volte Eduardo ha dichiarato che pensava ai suoi drammi per molto tempo, ripetendo le battute nella sua mente anche per anni, senza scrivere niente; solo alla fine, quando un testo era interamente formato nella sua mente, si sentiva pronto a metterlo per iscritto e lo stendeva velocemente, anche in pochi giorni. Dall’idea iniziale alla stesura, quindi, potevano trascorrere anche alcuni decenni. Quando il testo arrivava sulla carta era in un certo senso già passato attraverso la verifica della “recitazione” interiore e mnemonica dell’autore. Anche per questo motivo ogni sua scena appare pienamente naturale e verosimile, quasi come se fosse spontanea, ma in realtà è il frutto di un’opera minuziosa di costruzione artistica, prima nell’elaborazione a memoria, poi nella scrittura, quindi sulla scena e poi di nuovo nella scrittura, con una serie di ritocchi e modifiche di cui c’è traccia nei copioni e nelle diverse edizioni delle opere. Ora qualcuno potrà dire che tutti scrivono così. Sta di fatto però che Eduardo questo metodo di scrittura l’ha descritto con piena consapevolezza. Altri non so.

Dopo i De Filippo, c’è un teatro in napoletano ancora possibile? Quali potrebbero essere i depositari della loro arte e del loro modo di fare teatro?

La straordinaria ricchezza del teatro napoletano attuale per fortuna non ha bisogno di dimostrazione. Ci sono stelle di prima grandezza che alle doti personali affinate attraverso lunghe esperienze aggiungono il contatto con un nobile “mestiere” che affonda le sue radici nella tradizione. A me sembra però molto importante il fatto che c’è un vero firmamento di individualità e di esperienze diverse, nei diversi generi dello spettacolo e della creatività. Accanto a nomi celebri, giustamente celebri, si nota insomma una qualità professionale di alto livello della recitazione napoletana, che possiamo pure verificare attraverso la televisione, oltre che attraverso il teatro o il cinema. Ogni attore, si può dire, è depositario della propria personale capacità artistica, ma tale capacità è anche costruita e accresciuta giorno dopo giorno nel contatto con gli autori e gli attori delle generazioni precedenti, insomma, la buona recitazione migliora anche, per usare una parola impopolare, attraverso lo studio. Ciò significa che da Eduardo e dai De Filippo imparano qualcosa anche attori che apparentemente possono sembrare da loro lontani e non soltanto quelli che sembrano più vicini.
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Jundra Elce

A proposito di Jundra Elce

Laureanda in Filologia Moderna. Ama leggere, l'opera, il mare e i pocket coffee. È un connubio perfetto di grandi imperfezioni.

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