Finale di Sanremo 2018, vincono Meta e Moro

Finale di Sanremo

E si giunse alla serata finale di Sanremo 2018. Un’edizione del festival che più che per le canzoni verrà ricordata per i continui cambi d’abito di Michelle Hunziker e per la psicotica tendenza del conduttore e direttore artistico Claudio Baglioni a voler cantare ad ogni costo, imponendo alle nostre povere orecchie tutta la sua discografia. Ma bando alle ciance e diamo un’occhiata a come è stata questa serata finale.

Una finale con ospiti musicali e un toccante monologo

La finale di Sanremo si apre con Luca Barbarossa e con la sua Passame er sale , a cui poi seguono Ognuno ha il suo racconto di Red Canzian e Mai mai mai dei campani The Kolors. È già giunto il momento del primo ospite, Laura Pausini, che scende dalla mitica scalinata. Su quel palco, dove nel 1993 vinse come giovane proposta con La solitudine, la Pausini presenta il suo nuovo singolo Non è detto. Poi, sotto esortazione di Fiorello in collegamento telefonico, la cantante duetta con Baglioni (e ti pareva !) sulle note di Avrai, per poi esibirsi sulle note di Come se non fosse stato mai amore e concludendo l’esibizione tra i fan fuori al teatro Ariston.

La gara ricomincia con gli Elio e le storie tese e la loro canzone-congedo Arrivedorci, un vero e proprio epitaffio alla carriera del gruppo milanese. La mancanza di un microfono non ferma Ron che, con la sua Almeno pensami, sembra quasi cantare accompagnato dalla presenza del compianto Lucio Dalla, che è anche l’autore della canzone.

Antonella Clerici e i giovanissimi cantanti di “Sanremo Young” sono i secondi ospiti della serata, i quali si esibiscono sulle note di Penso positivo di Jovanotti. Da notare la scenografia della performance, quella di un cantiere con operai che lavorano: insomma, una palese allegoria del futuro da precariati e disoccupati che attende il gruppo di adolescenti una volta divenuti adulti.

Dopo questa inutile ospitata tocca a Max Gazzé con la suggestiva La leggenda di Cristalda e Pizzomunno, una storia d’amore mitologica con sfumature ovidiane, che l’accompagnamento d’arpa rende ancora più magica. È poi il turno di Annalisa con Il mondo prima di te anche se, più che sulla canzone, la nostra attenzione ricade sul vestito che sembra ricavato da dei sacchi di juta. Dopo l’ennesimo tentativo andato a male di Baglioni di risultare simpatico (si finge sosia di Marco Columbro, che ridere…), sale sul palco Renzo Rubino che “copia” l’idea dei ballerini anziani, che sono i nonni del cantante, a lo Stato Sociale. La nona performance è quella dei Decibel di Enrico Ruggeri e della loro Lettera dal Duca, il cui ritornello presenta le classiche due-tre frasi in inglese (perché l’inglese fa sempre rock, non scordiamocelo).

Seguono Ornella Vanoni, Bungaro e Pacifico e i primi sbadigli: Imparare ad amarsi è la classica canzone piena di cliché e frasi fatte, su quanto è importante volersi bene. Se ne poteva fare a meno, in tutta sincerità. Eguale opinione vale anche per Eterno di Giovanni Caccamo: la tipica sanremese ballata d’amore sdolcinata, identica copia di quante ne abbiamo ascoltate nelle precedenti edizioni del festival e che si prefigura per quella che è davvero, un inno alla carie (“solo l’amore può salvare”, recita il ritornello. Ma anche la pizza ha lo stesso potere salvifico in un momento di sconforto, non scherziamo!).

I prossimi ad esibirsi sono i ragazzi de Lo Stato Sociale e Una vita in vacanza subito impazza, complice anche l’arzilla ballerina Paddy Jones che fin da subito coinvolge il pubblico con la sua energia, guadagnandosi anche la macumba di qualche ballerina più giovane di lei che al sol tentare una di quelle coreografie si spezza un osso.

Dopo un altro tedioso momento in cui la Hunziker mostra le loro foto più imbarazzanti di Baglioni e Favino per prenderli in giro, arriva l’altrettanta tediosa esibizione di Roby Facchinetti e Riccardo Fogli. Arrivano poi Diodato e Roy Paci, la cui Adesso è un invito a liberarci della rete digitale con cui siamo soliti impostare le relazioni con il prossimo. Un punto in più per Roy Paci, che indossa una maglietta dei Ramones.

Il momento più alto della serata se lo aggiudica però Pierfrancesco Favino che si esibisce in un monologo tratto dall’atto unico La notte prima della foresta di Bernard-Marie Koltès. Un monologo sull’emarginazione che l’attore recita con intensità tale da non lasciarci estranei, ma che di certo non mancherà di scatenare polemiche che troveranno riscontri nell’attuale situazione politica e sociale del nostro paese (forse causati dal personaggio interpretato dallo stesso Favino, un africano). Il monologo fa da apripista al terzo ospite, Fiorella Mannoia. La seconda classificata della scorsa edizione del festival canta (con Baglioni che la rovina) Mio Fratello che guardi il mondo di Ivano Fossati.

La finale prosegue con Nina Zilli e Noemi, e anche qui ci sarebbe da discutere sul loro abbigliamento: la prima sembra che abbia rubato qualche abito alla regina Maria Antonietta direttamente da Versailles, mentre la seconda sembra che l’abbia preso direttamente da una vedova che sta ancora metabolizzando il lutto. Sorvolando sull’aspetto estetico, entrambe le loro canzoni sono alquanto noiose.

E arriva il turno del duo che è stato sulla bocca di tutti nel corso della kermese, con l’accusa di plagio che pendeva sulla loro testa come una spada di Damocle:  Ermal Meta e Fabrizio Moro. Non mi avete fatto niente è a mani basse una delle canzoni più belle del festival, nonché un inno contro la guerra e il terrorismo. Chiudono la scaletta il jazz di Mario Biondi, Le Vibrazioni (sono ancora in attività?), e il duo Peppe Servillo ed Enzo Avitabile.

E per concludere, cosa c’è di meglio di un’altra bella canzone di Baglioni? Per quest’ultima serata ci godiamo Strada facendo, cantata assieme a Nek, Max Pezzali e Francesco Renga.

La classifica finale di Sanremo

Dopo una snervante attesa, condita da un’ennesima canzone del trio Baglioni-Hunziker-Favino (la reazione degli spettatori si avvicina molto a quella di Richard Benson in piena crisi isterica) e dalla premiazione di Mirkoeilcane con il premio Sergio Bardotti per Stiamo tutti bene, eccoci alla classifica finale.

E qui partono i fischi. Gli Elii sono ultimi (eresia!), Avitabile e Servillo dodicesimi, Gazzè e Barbarossa rispettivamente sesto e settimo e via dicendo. Medaglia di bronzo per Annalisa, secondo posto Lo Stato Sociale e alla fine la spunta il duo Moro & Meta, nonostante le polemiche di questi giorni, che rappresenterà l’Italia all’Eurovision song contest che si terrà a Maggio in Portogallo.

Gli altri premi

Premio della critica a Ron per Almeno pensami. Lo Stato sociale si aggiudica il premio della sala stampa, mentre il riconoscimento “Sergio Endrigo” è andato ad Ornella Vanoni con Bungaro e Pacifico. Premio Bigazzi per la miglior composizione musicale a Max Gazzè, mentre premio TIM music per la canzone più ascoltata a Fabrizio Moro ed Ermal Meta.

Tanto alla fine il festival ve lo siete visto pure voi!

Così cala il sipario sulla sessantottesima edizione del festival della canzone italiana. Edizione che ricorderemo, come già detto, per i continui intermezzi musicali di Baglioni (molto probabilmente non vorremo sentire una sua canzone fino all’anno prossimo), per il maldestro tentativo di Sting di cantare in italiano e per tanti altri momenti goliardici. Perché “Sanremo è Sanremo” e non lo si dice a caso: anche chi si erge sulla torre d’avorio della propria presunta superiorità morale che trae dal non guardare il festival, alla fine cede.

E come le vecchie non maritate dei paesini più sperduti che osservano di nascosto i giovani che amoreggiano, così noi spettatori cadiamo nella tela tesa dall’Ariston per poi macchiarci di vergogna e far finta di nulla. Perché, inutile negarlo, il fascino indiscreto di Sanremo sta nel lasciarci attrarre da esso, qualunque sia il grado della nostra resistenza.

E poi, diciamoci la verità: chi potrebbe mai resistere a quel richiamo di battaglia che ci accompagna per cinque serate, a quel «dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio» che è divenuto un po’ l’essenza del festival stesso?

 

 

 

 

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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