La mafia uccide solo d’estate – La serie | Anteprima

la mafia uccide solo d'estate

Today is the day. Questa sera su Rai1 verrà mandata in onda la prima puntata della nuova serie “La mafia uccide solo d’estate”, tratta dal lungometraggio di Pif.

Come già accaduto con l’omonimo film, la serie di “mamma Rai” guarda in maniera dissacrante al mondo della malavita organizzata e regala una nuova umanità agli uomini che si sono battuti contro di essa.

In dodici puntate, per sei settimane, verremo trasportati nella Palermo degli anni ’70, gli anni di Pietro Scaglione e Peppino Impastato, gli anni di quelli che hanno lottato contro la mafia e degli altri che negavano perfino che essa esistesse.  La voce narrante è sempre quella di Pif, che racconta con ingenua trasparenza le gioie e i dolori di una famiglia come tante, immersa in un tempo particolare.

A differenza del film, la regia della fiction è di Luca Ribuoli, che ha cercato di mantenere comunque intatto lo spirito del lavoro precedente. Altra differenza fondamentale con la pellicola “piffettiana” è la scelta, da parte di sceneggiatori e regista, di racchiudere la narrazione in un solo anno, il 1979, l’anno in cui la mafia uccide personaggi di alte cariche pubbliche.

Come nel film, questi atti di coraggio e questi eroi dell’antimafia, saranno presenti come un filo conduttore. Ma, proprio perché la narrazione è concentrata in un solo anno, accanto a loro ci sarà spazio per gli eroi “piccoli” e gli atti di coraggio quotidiani della gente per bene, dei poliziotti che hanno fatto il loro dovere e che sono sopravvissuti.

La mafia uccide solo d’estate. Cast e anticipazioni

La prima stagione è ambientata nel 1979, anno che sancisce l’inizio della stagione dei delitti eccellenti, Cosa Nostra alza il tiro e colpisce uomini delle istituzioni come Boris Giuliano e giornalisti coraggiosi come Mario Francese. Protagonisti, tuttavia, non sono questi grandi uomini o, meglio, non lo sono a prima vista.

La storia de “La mafia uccide solo d’estate”, infatti, ruota intorno alla vita della famiglia Giammarresi:  lui (Claudio Gioè) funzionario dell’Anagrafe, lei (Anna Foglietta) maestra precaria in attesa di cattedra, i due figli, Salvatore e Angela, che si trovano in quella età a cavallo tra l’infanzia e l’adolescenza, che profuma di primi amori e primi scontri con la vita reale.

I loro problemi solo all’apparenza sono problemi “normali”. Perché la loro vita si consuma nella Palermo gravata da personaggi come Ciancimino e Totò Riina. Voce narrante, così come già nel film da cui la fiction prende le mosse, è quella dell’adulto Salvatore Giammaresi (Pif, nella fiction interpretato da piccolo da Eduardo Buscetta), attraverso il cui sguardo, candido e infantile, sono filtrati tutti gli avvenimenti del suo mondo privato e i fatti di cronaca cittadina, finendo per ridicolizzare in un certo senso il mondo della mafia.

La mafia uccide solo d’estate tra ironia contro l’omertà e lotta alla definizione di “omertosi”

La Sicilia, si sa, è sempre stata caratterizzata dalla presenza di un muro invisibile, che viene definito con il termine omertà, una parola usata spesso in senso dispregiativo e che ha finito per definire il modo di vivere di una certa fetta della popolazione. Omertà vuol dire “farsi i fatti propri”, vuol dire cercare di vivere la vita chiusi nella bolla che ci si costruisce, fingendo che quanto di cattivo e sbagliato ci sia nella società non esista. Omertà, però, vuol dire anche negare. Negare che esista la mafia. Negare che si possa morire a causa sua. Negare che, come una piaga in putrefazione, renda malato il corpo.

Eppure, la vita vera, il film di Pif e, ora, la serie, ci dimostrano che la parola omertà non descrive tutta la popolazione siciliana. Ci sono stati, e ci sono tutt’ora, uomini che si sono opposti alla mafia con i mezzi a loro disposizione. Con “La mafia uccide solo d’estate”, ci viene ricordato che la storia è fatta anche da queste persone. Ed è attraverso i loro occhi e le loro storie che viene raccontata la mafia. Meglio ancora, viene raccontata attraverso gli occhi di un bambino

Uno sguardo incantato, ma insieme acuto e rivelatore che riesce a smontare la visione quasi mitologica che spesso ha contraddistinto la narrazione della mafia al cinema e in tv. Un modo, questo, nuovo e coraggioso di fare servizio pubblico. D’altra parte, come ha spiegato lo stesso Pif, “I mafiosi non hanno senso dell’umorismo e poterli smitizzare è una grande soddisfazione. Sono convinto che finché c’è una risata c’è una speranza“. Queste parole racchiudono tutto il senso della fiction che stasera verrà trasmessa su Rai1 e che vuole essere un  veicolo di speranza per un futuro in cui si sentirà sempre meno la parola omertà.

A proposito di marianna de falco

Marianna è nata ad Avellino 28 anni fa, si è laureata in Filologia Classica. Ama la musica, i cani, il gelato e la scrittura. Ha sempre con sé un taccuino per poter appuntare i suoi pensieri volanti

Vedi tutti gli articoli di marianna de falco

Commenta