Poesie d’amore famose, le 7 più belle della letteratura italiana

Poesie d'amore famose, le 7 più belle

Poesie d’amore famose, le migliori 7 di poeti italiani.

Fin dai tempi più antichi, l’amore ha ispirato, più di ogni altro sentimento, ogni espressione artistica: musica, pittura ma soprattutto letteratura e poesia. Sono innumerevoli, nella tradizione letteraria non soltanto italiana ma europea, le poesie sull’amore, e le più belle sono forse proprio le poesie d’amore italiane: dai trovatori provenzali ai rimatori siciliani e poi toscani dello Stilnovo, fino alla Vita Nuova di Dante, dalle rime d’amore del Petrarca – così spesso richiamate, nello stile, nelle poesie d’amore italiane e finanche nelle altre letterature europee fino alla prima età moderna- fino a quelle del Leopardi, per arrivare ai più moderni Montale ed Alda Merini, il sentimento amoroso ha ispirato generazioni e generazioni di poeti e ci ha regalato alcune tra le poesie più belle di ogni tempo.
Scopriamo insieme 7 tra le le più belle poesie d’amore.

Le più belle poesie d’amore di poeti famosi: 7 meravigliose dichiarazioni d’amore

La nostra carrellata di poesie d’amore di poeti famosi non può che cominciare con Cavalcanti e Dante.

Voi che per li occhi mi passaste ‘l core, Guido Cavalcanti

Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.

E’ vèn tagliando di sì gran valore,
che’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore.

Questa vertù d’amor che m’ha disfatto
10da’ vostr’ occhi gentil’ presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco.

Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto,
che l’anima tremando si riscosse
veggendo morto ’l cor nel lato manco.

La poesia non ha sempre cantato gli effetti positivi di Amore – qui personificato – sull’amante: i dardi infuocati che colpiscono l’io lirico nella poesia del Cavalcanti, con un’immagine topica nella letteratura stilnovista ma non soltanto, che vede negli occhi dell’amata la sua più crudele arma ma anche la sua più efficace arma di seduzione, lasciano il povero amante trafitto e sofferente, senza possibilità di salvezza. Salvezza che potrebbe arrivare soltanto dall’amore della donna amata, invece impietosa ed insensibile alle lusinghe di Cupido.

Tanto gentile e tanto onesta pare, di Dante Alighieri

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: sospira

Dante, padre della lingua e della letteratura italiana, è tra gli autori di poesia d’amore migliori di sempre.
Il sonetto, tra le rime della Vita Nuova (1292 circa) in lode di Beatrice, ci descrive una donna-Angelo caratterizzata da una grazia ed un’umiltà quasi ultraterrene: è infatti definita “cosa venuta da cielo in terra e miracol mostrare”, capace d’infondere una dolcezza al cuore di chi la incontra tale da lasciare senza fiato. L’amore raccontato da Dante in queste righe non è l’amore ardente di Paolo e Francesca nel canto V dell’Inferno, rovente come le fiamme dell’Inferno in cui i due amanti bruciano, ma sentimento edificante capace di scaldare il cuore con la grazia e la dolcezza del caldo sole primaverile, ancora più forte e potente del primo perché nobilitante ed in grado di elevare l’amante verso Dio attraverso la visione della donna.

A Silvia, di Giacomo Leopardi

Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore

Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano. 

Tra le più belle e rinomate rime del Leopardi, nonché tra le più famose poesie d’amore italiane, A Silvia (1828), ricorda, attraverso la bellezza e la purezza della giovane filatrice (identificata con Teresa Fattorini, morta di tisi nel 1818), la bellezza di un passato, quello della giovinezza recanatese, che è bello nel momento in cui lo si rimembra da lontano: e come l’illusione della bellezza del passato cade di fronte all’arido vero del presente, così la fanciulla, negli anni più belli, cade sconfitta dalla malattia.

Rimani, di Gabriele D’Annunzio

Rimani! Riposati accanto a me.
Non te ne andare.
Io ti veglierò. Io ti proteggerò.
Ti pentirai di tutto fuorchè d’essere venuto a me, liberamente, fieramente.
Ti amo. Non ho nessun pensiero che non sia tuo;
non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.
Lo sai. Non vedo nella mia vita altro compagno, non vedo altra gioia.
Rimani.
Riposati. Non temere di nulla.
Dormi stanotte sul mio cuore…

La poesia (tratta da Canto novo, 1882) racconta il dolcissimo congedo di due amanti dopo una notte di passione, e la richiesta dell’amante, alla sua donna, di restare per condividere qualcosa che, se possibile, è ancora più intimo di ciò che hanno già vissuto: le chiede infatti di restare con lui e condividere la notte, il riposo, i sogni, i desideri. Perché è nel sonno che l’uomo, indifeso, di mostra davvero nudo.

Altre 3 splendide poesie d’amore famose

A mia moglie, Umberto Saba

Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l’occhio, se il giudizio mio
non m’inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun’altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.

Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se l’incontri e muggire
l’odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l’erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t’offro quando sei triste.

Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d’un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia. 

Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l’angusta
gabbia ritta al vederti
s’alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?

Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest’arte. 

Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un’altra primavera.

Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l’accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun’altra donna.”

“Se un bambino potesse sposare e scrivere una poesia per sua moglie, scriverebbe questa”: con queste parole Saba, il fanciullesco Piccolo Berto, commenta una delle più belle poesie d’amore del Novecento italiano: dedicata alla moglie Lina, presenza costante nel Canzoniere, cui il poeta è sempre stato profondamente legato, la poesia, intrisa di una tenerezza ed una dolcezza infantile eppure matura, paragona la donna di volta in volta ai “sereni animali che si avvicinano a Dio”, cogliendo di ogni animale le peculiarità ed i più grandi pregi, gli stessi che fanno grande la sua donna e la rendono unica agli occhi del marito e diversa da ogni altra.

Ho sceso dandoti il braccio, di Eugenio Montale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

La poesia, tratta dalla raccolta Satura (1971), rivela tutto il dolore del poeta per la perdita della moglie Drusilla Tanzi, chiamata affettuosamente “Mosca” da Montale, a causa degli occhiali che portava per curare una forte miopia: la donna, nonostante le “pupille offuscate”, assurge qui a vera guida spirituale del poeta, ora smarrito, nella quotidianità (“un milione di scale”). Privato del sostegno che solo l’amata moglie poteva dargli, Montale avverte ora “il vuoto ad ogni gradino” e ci racconta, con parole semplici e quotidiane, il senso di sgomento e di abbandono di un uomo che ha perso, con la sua compagna, ogni certezza e punto fermo.

E poi fate l’amore, di Alda Merini

E poi fate l’amore.
Niente sesso, solo amore.
E con questo intendo
i baci lenti sulla bocca,
sul collo,
sulla pancia,
sulla schiena,
i morsi sulle labbra,
le mani intrecciate,
e occhi dentro occhi.
Intendo abbracci talmente stretti
da diventare una cosa sola,
corpi incastrati e anime in collisione,
carezze sui graffi,
vestiti tolti insieme alle paure,
baci sulle debolezze,
sui segni di una vita
che fino a quel momento
era stata un po’ sbiadita.
Intendo dita sui corpi,
creare costellazioni,
inalare profumi,
cuori che battono insieme,
respiri che viaggiano
allo stesso ritmo.
E poi sorrisi,
sinceri dopo un po’
che non lo erano più.
Ecco,
fate l’amore e non vergognatevi,
perché l’amore è arte,
e voi i capolavori.

Il binomio “poesie amore” trova in Alda Merini sfumature sensuali poiché coglie il senso più profondo dell’erotismo, la comunione delle anime insieme a quella dei corpi, anime che, come i corpi, trovano appagamento nella vicinanza, nel riscoprirsi simili, nel curarsi reciprocamente le ferite nell’amplesso amoroso: un vero miracolo di cui è capace soltanto l’amore, che è “arte”, in grado di forgiare veri e propri “capolavori”.

Termina così la nostra carrellata di poesie d’amore di poeti famosi, ora la parola passa a voi! Scrivete nei commenti qual è la vostra poesia sull’amore preferita e discutiamone insieme.

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A proposito di Giorgia D'Alessandro

Laureata in Filologia Moderna alla Federico II, docente di Lettere e vera e propria lettrice compulsiva, coltivo da sempre una passione smodata per la parola scritta.

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