Jude Law in The Young Pope, l’antiserie di Sorrentino

The Young Pope, l'antiserie di Sorrentino con Jude Law

The Young Pope, l'antiserie di Sorrentino con Jude LawUn Jude Law plastico e flessuoso, imbellettato negli abiti talari e con gli occhi chiari quasi luciferini, si affaccia su una stracolma piazza San Pietro.

Le sue movenze sono quasi feline, così come felini sono i suoi scatti quando prende la parola per arringare la folla di fedeli, come un novello Nerone deciso a bruciare secoli di credenze, ciarpame, convenzioni e cardinali: in un J’Accuse blasfemo, il nuovo Papa accusa la folla di aver dimenticato di essere felice.
E di masturbarsi.

I toni sono onirici e sfumati, come un affresco sacro e torbido allo stesso tempo.

È questo l’orizzonte su cui si staglia la nuova creatura del regista  Paolo Sorrentino, “The Young Pope”, le cui prime due puntate sono andate in onda venerdì 21 ottobre su Sky Atlantic.

Jude Law si fa monumentale, incarnando nella geografia del suo viso espressivo i fasti degli antichi imperatori romani e la gestualità dei personaggi di House of Cards, tracciando col suo corpo la scia di un pontefice deciso a rompere strati di ghiaccio e immobilismo. I suoi lineamenti raccontano le vicende di Lenny Belardo, primo Papa americano e 47enne, approdato in Vaticano col nome di Pio XIII: il pontefice ha una sorta di sensualità conturbante e disturbante, tanto forte quanto capace di spiazzare l’osservatore, che si stupisce di vedere una carnalità così accentuata in un Papa, che nell’immaginario collettivo ha, si sa, la stessa desiderabilità di un arazzo o di un affresco.

Jude Law è un Papa dalla mimica iconica, lo spirito della Chiesa da lui rappresentata si fa corpo e sangue, non il sangue di Cristo, ma il sangue dell’uomo Pio XIII, che in questa serie scorre a fiotti, in tutta la sua liquidità e fisicità traboccante.

Un Papa (Jude Law) conturbante, enigmatico e sensuale: una contraddizione in termini

Eletto al soglio pontificio a causa di una complessa tessitura ordita ad arte durante il Conclave, venata di ricatti e giochi di potere (forse perché qualche cardinale credeva che un giovane americano fosse manipolabile e plasmabile), Pio XIII si sveglia presto dal sogno della sua omelia “masturbatoria”.

Avrebbe voluto parlare di masturbazione, godimento carnale non finalizzato alla procreazione e omosessualità, ma decide di attaccare l’istituzione della Chiesa giocando d’astuzia, usando il suo stesso linguaggio. Si fa fautore di un ritorno all’antica e rigida dottrina, cucendosi sul volto una maschera d’intransigenza, acclama a gran voce la purezza del passato, come a voler confondere e attirare la folla e anche la stessa congrega di cardinali, che avrebbero voluto manovrarlo come abili burattinai ma si ritrovano a essere messi in riga dal giovane pontefice.

Pio XIII è una contraddizione vivente, è camaleontico e ha dei balzi di dissidium intimo e viscerale che fanno intravedere, in filigrana, i guizzi di Habemus Papam di Moretti. I motivi più profondi di tale contraddizione li scopriremo nelle prossime puntate, quando tutte le caselle del minuzioso mosaico di questa serie si ricomporranno progressivamente.

Sorrentino tratteggia il volto del Papa rimanendo coerente e fedele solo a se stesso

Lo stile di Paolo Sorrentino si tocca con mano e lo si può tastare abbondantemente, innanzitutto dalle sententiae (frasi ben orchestrate scolpite come pietre d’angolo e disseminate sui cigli della strada e della bocca del Papa), ma anche nelle inquadrature d’ampio respiro di Roma, e qui i paragoni (fatti e rifatti più volte) con Fellini e Antonioni si sprecano a grappoli.

Una Roma barocca e dolente, sfumata e crepuscolare, che si abbina ai toni liquidi degli occhi del Pontefice, che definisce la città come “sobborgo del Vaticano”, fa da teatro delle movenze del pontefice, che è enigmatico e rigido all’esterno e stravagante nella sua vita privata. Il Pio XIII di Jude Law e Sorrentino cita l’artista Banksy e i Daft Punk, beve whiskey e fuma sigarette in modo gaudente, si aggira tra i palazzi del potere strizzando l’occhio a secoli di storia ma minandola profondamente dal suo interno.

È palese la sensazione di trovarsi di fronte ad un prodotto che trasuda arte e sprigiona valore estetico da tutti i pori, e Sorrentino rimane coerente e – per ora – senza tradirsi: ogni cosa urla il suo nome con rimandi a Youth e a La Grande Bellezza.

Silvio Orlando, nei panni del cardinale Voiello, ci fornisce una prova attoriale di tutto rispetto, tratteggiando in modo imponente le sfumature della spregiudicatezza del Vaticano, così come Diane Keaton, nei panni di Suor Mary, donna di chiesa che si prende cura dell’orfano Pio XIII fin dall’infanzia, con mano materna e salda.

Un Papa volto alla decostruzione della sua aurea di santità, un Papa che corruccia le sue labbra carnose nello stesso modo in cui corruccia le pieghe della sua mente per confondere le folle e se stesso. Per sapere fino a dove arriverà, staremo a guardare questa nuova opera d’arte, per scoprire e muovere nuovi fili di un arazzo che arriverà a completa tessitura solo alla fine.

A proposito di Monica Acito

Monica Acito nasce il 3 giugno del 1993 in provincia di Salerno e inizia a scrivere sin dalle elementari per sopravvivere ad un Cilento selvatico e contraddittorio. Si diploma al liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania e inizia a pubblicare in varie antologie di racconti e a collaborare con giornali cartacei ed online. Si laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e si iscrive alla magistrale in Filologia Moderna. Malata di letteratura in tutte le sue forme e ossessionata da Gabriel Garcia Marquez , ama vagabondare in giro per il mondo alla ricerca di quel racconto che non è ancora stato scritto.

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