Film anni ’90, sette pellicole da vedere

Film anni '90

I film anni ’90 sono entrati nell’immaginario collettivo di ognuno di noi. Scopriamo insieme quali sono quelli da vedere.

Negli ultimi decenni del XX secolo il cinema attraversa un periodo particolare. Sono anni in cui il supporto della pellicola vive gli ultimi anni e in cui si sperimentano le prime innovazioni del digitale. Inoltre un universo di generi e tematiche spazia nel cinema di questi decenni: thriller, film catastrofici, fantascienza, commedie romantiche, film d’impegno e sul disagio giovanile, film d’animazione il cui emblema è il rinascimento Disney e blockbuster che hanno segnato l’immaginario collettivo.

Consci che non si tratta di un qualcosa di esaustivo, vi proponiamo una lista di film anni ’90 da vedere, rivedere e scoprire. Preparate i popcorn e accendete il videoregistratore, si parte!

Film anni ’90, sette pellicole da vedere

Il silenzio degli innocenti – Johnatan Demme

Tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Harris, Il silenzio degli innocenti è considerato uno dei più grandi thriller degli anni ’90. L’agente Clarice (Jodie Foster) viene incaricata dall’ FBI di catturare Buffalo Bill (Ted Levine), un serial killer che rapisce giovani donne per poi ucciderle e scuoiarle. Alle indagini partecipa anche Hannibal Lecter (Antony Hopkins), ex psichiatra detenuto in un carcere di massima sicurezza per via delle sue tendenze al cannibalismo. Clarice scoprirà che il dottor Lecter è un abile lettore dell’anima e scaverà nel passato più profondo della giovane agente per aiutarla a catturare il pericoloso serial killer, ma riaprendo anche dolorose ferite del passato.

Quello che colpisce di più de Il silenzio degli innocenti è la continua tensione e l’atmosfera cupa che si respira, complici la fotografia di Tak Fujimoto e le musiche di Howard Shore. A dare il suo contributo ci pensa anche Antony Hopkins, che con la sua interpretazione ha contribuito a plasmare l’immagine oscura ed inquietante di Hannibal Lecter come la conosciamo oggi.

Il film ha vinto cinque premi oscar per il miglior film, miglior regia, miglior attore ad Antony Hopkins, miglior attrice a Jodie Foster e migliore sceneggiatura a Ted Tally.

«Uno che faceva un censimento una volta tentò di interrogarmi: mi mangiai il suo fegato con un bel piatto di fave e un buon Chianti» (Hannibal Lecter/Antony Hopkins)

Mediterraneo – Gabriele Salvatores

Il cinema italiano ha sempre sfornato capolavori di film e lo dimostra anche Mediterraneo, pellicola di Gabriele Salvatores che ha vinto l’oscar per il miglior film straniero nel 1992.

Siamo nel 1942 e un gruppo di soldati italiani viene mandato su un’isola greca del mar Egeo per costruirvi un presidio militare. Il gruppo è formato dal sergente maggiore Nicola Lorusso (Diego Abatantuono), il tenente Raffaele Montini (Claudio Bigagli) e un gruppo di soldati tra cui spiccano Antonio Farina (Gisueppe Cederna) e Corrado Noventa (Claudio Bisio). In quel luogo destinato a scopi bellici, ben presto i soldati riscopriranno il contatto con la semplicità della vita lontano dai clamori della guerra.

Mediterraneo è forse il miglior film anni ’90 italiano mai realizzato. Il messaggio di fondo è prettamente antimilitarista, ma quello che colpisce di più del film di Salvatores è il fascino che esercitano sullo spettatore le immagini dell’isola di Castelrosso, location delle riprese. Un eden ideale che con la sua natura e le sue tradizioni lasciate vive dagli abitanti del luogo diventa un ideale desiderio di fuga da una realtà che non ci appartiene. Ciò è dimostrato anche dai protagonisti che approfittano della pace dell’isola per riprendere in mano le loro passioni (il tenente Montini, ad esempio, insegna latino e greco e ama molto dipingere).

Un film poetico, suggestivo e imperdibile per chi si sente alieno nel mondo comunemente accettato e che ci mostra anche Diego Abatantuono in un ruolo diverso da quello del violento capo ultrà o di Attila “flagello di Dio” , il che lo rende un po’ più sopportabile.

«Dedicato a tutti quelli che stanno scappando» (Didascalia finale del film)

Una storia vera – David Lynch

A chi è appassionato di serie TV I segreti di Twin Peaks non passerà inosservato: si tratta di uno dei prodotti per il piccolo schermo più importanti degli anni ’90 e a dirigerlo è stato David Lynch, considerato uno dei registi più visionari, criptici ed inquietanti. Ma nel 1999 il regista originario di Missoula stupisce tutti girando Una storia vera.

Il film narra della storia di Alvin Straight (Richard Fansworth), un settantenne che decide di andare nell’Iowa a trovare suo fratello malato di cuore, con il quale ha avuto un rapporto burrascoso. Non avendo la patente l’uomo decide di compiere il viaggio a bordo di un.. tosaerba. Lungo il tragitto incontrerà una galleria di personaggi che avranno da dirgli qualcosa: una ragazza incinta, due bizzarri fratelli meccanici, una donna che si dispera per aver investito un cervo e molti altri ancora.

Come si è detto, Una storia vera è l’opera più straniante e atipica dell’intera filmografia lynchiana. Non ci sono visioni perturbanti come in Eraserhead o enigmi irrisolti come in Mulholland Drive. Lynch si limita a girare un road movie asciutto ed essenziale, in cui narra una storia che lo ha colpito profondamente: quella di un anziano signore che nel 1994 compì un viaggio dall’Iowa al Winsconsin su un tosaerba, in sei settimane per andare a trovare il proprio fratello. Lynch la arricchisce con una patina malinconica, a cui contribuiscono le musiche dell’irrinunciabile Angelo Badalamenti. Una storia vera, con la sua semplicità e la sua umanità, è capace di riscaldare e commuovere anche il più freddo tra i cuori.

«Ho combattuto in trincea nella seconda guerra mondiale.. perché dovrei aver paura a dormire in un campo di mais?» (Alvin Straight/Richard Fansworth)

Hana bi – Takeshi Kitano

I film anni ’90 vengono spesso identificati con le grandi produzioni hollywoodiane. Ma anche in Asia vennero girate pellicole di notevole interesse e una di queste, Hana bi di Takeshi Kitano, vinse il Leone d’oro al festival di Venezia del 1997.

La trama ruota attorno Nishi (Takeshi Kitano), un ex-poliziotto dai metodi poco ortodossi che vive un duplice dramma: da un lato quello della moglie malata terminale di leucemia, dall’altro quello di un suo collega rimasto paralizzato dopo un’operazione di polizia e che per distrarsi si mette a dipingere. Come se non bastasse Nishi è perseguitato dalla yakuza, la mafia giapponese con la quale ha dei debiti. Egli decide quindi di rapinare una banca e di usare i soldi per godersi gli ultimi momenti con la moglie e per regalare colori al suo collega.

Hana bi è un film che si regge sul binomio violenza/dolcezza. Alla violenza e al sangue tipici di un film d’azione si alternano scene di compostezza e di tranquillità. Non a caso la parola che dà il titolo al film significa “fiori di fuoco” e indica tanto la violenza delle pistole quanto la delicatezza dei colori. Kitano lavora sia sul colore del sangue quanto su quello dei dipinti fatti dal suo collega e che possiamo ammirare nel film.

L’altro merito di Hana bi è che rielabora i canoni di un genere tanto apprezzato nel Sol levante come lo yakuza movie e li usa per costruire una storia sulla debolezza umana, su come un carattere di ferro come quello di Nishi (un Takeshi Kitano che sembra un samurai moderno) sia frutto di un dolore nascosto a tutti. Importante è anche la scarsità dei dialoghi presenti, in favore di una storia giocata sui contatti e sullo stupore verso le piccole cose.

Pulp Fiction – Quentin Tarantino

Una lista di film anni ’90 non è tale se non ci sono Tarantino e Pulp Fiction, vincitore della palma d’oro al festival di Cannes del 1994.

In una caffetteria una coppia di amanti, “Zucchino” (Tim Roth) e “Coniglietta” (Amanda Plummer), stanno per organizzare una rapina. Nello stesso istante i sicari Vincent Vega (John Travolta) e Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) si recano in un appartamento per recuperare una misteriosa valigetta appartenente al loro capo Marcellus Wallace (Ving Rhames) e in seguito Vincent viene incaricato da questi di intrattenere per una serata sua moglie Mia (Uma Thurman), con conseguenze inimmaginabili. Il pugile Butch Collidge (Bruce Willis) viene obbligato da Marcellus a perdere il suo prossimo incontro e finirà per essere coinvolto anche lui in una situazione assurda.

Tarantino narra tre storie seguendo una linea non cronologica, come era già successo con Le Iene, e ciò diventa un preteso per sovvertire le regole stesse del cinema. Basti pensare alle lunghe inquadrature, ai dialoghi originali e a sequenze divenute emblematiche (dall’Ezeichele 25:17 tuonato da Samuel L. Jackson alla scena di ballo tra John Travolta e Uma Thurman sulle note di You Never Can Tell di Chuck Berry). Se poi si aggiunge un citazionismo cinefilo che diverrà uno dei sigilli di garanzia del regista (da Godard ad Hitchcock, passando per Fellini e Scorsese), una galleria di personaggi indimenticabili quali Mr. Wolf (Harvey Kietel) e una violenza d’impatto e sanguinolenta unita a riferimenti pop, Pulp Fiction rientra tra i film anni’90 importanti per il decennio e ha lanciato Quentin Tarantino nell’ olimpo del cinema.

«Tre pomodori camminano per la strada: papà pomodoro, mamma pomodoro e il pomodorino. Il pomodorino cammina con aria svagata e papà pomodoro allora si arrabbia e va da lui, lo schiaccia e dice: “Fai il concentrato!”» (Mia Wallace/ Uma Thurman)

Toy Story – John Lasseter

Gli anni ’90 hanno rappresentato il trionfo del cinema d’animazione. Portabandiera è ovviamente la Disney che con il suo “Rinascimento” ha dato vita a capolavori in disegno tradizionale, supportati da una (seppur timida) animazione digitale. Proprio quest’ultima è protagonista di uno dei film anni ’90 più noti e amati dal pubblico: Toy Story, diretto da John Lasseter nel 1995.

Andy è un bambino come tutti gli altri che si diverte con i suoi giocattoli. Quello che però non sa è che, in sua assenza, i giocattoli prendono vita propria e formano un gruppo con a capo Woody, un bambolotto con le sembianze di uno sceriffo. Il giorno del compleanno di Andy fa la sua comparsa Buzz Lightyear, un giocattolo ultratecnologico e questo preoccupa enormemente Woody e i suoi compagni, terrorizzati dall’idea di essere rimpiazzati. Tra lo sceriffo e Buzz nasce una forte rivalità per decidere chi tra loro due meriti di più le attenzioni di Andy.

Artefici di quello che è considerato il primo passo per la rivoluzione del cinema d’animazione è la Pixar, casa di produzione cinematografica che nel tempo si è specializzata in animazione digitale e che, divenuta una costola della Disney, ha dato vita a capolavori stupendi. Ma tutto ha avuto inizio con Toy Story, un film anni ’90 che ha si cambiato il modo di concepire il cinema d’animazione ma non solo. Nei personaggi di Buzz e Woody si può notare una dialettica interessante, un dialogo immaginario tra due età del cinema: quello vecchio e tradizionale rappresentato dallo sceriffo Woody (il richiamo al western, uno dei generi classici del cinema hollywoodiano, è evidente) e quello nuovo, rappresentato da Buzz (il cinema pieno di effetti digitali e spettacolare). Per questo è sbagliato ridurre il lavoro di John Lasseter a quello di una fiaba moderna per i più piccoli, poiché è uno dei simboli più importanti e imprescindibili della rivoluzione del cinema avvenuta nei film anni ’90.

Toy Story ha poi dato il via ad una delle saghe cinematografiche più apprezzate, con due seguiti e un terzo che arriverà quest’anno, ma qui da noi lo ricordiamo anche per il compianto Fabrizio Frizzi, voce italiana dello sceriffo Woody.

«Ho un serpente nello stivale!» (Woody)

Man on the moon – Milos Forman

Come ultimo film anni ’90 abbiamo scelto una pellicola di Milos Forman che forse è la meno nota di tutte, ma non per questo meno valida: Man on the moon, del 1999.

Si tratta di un biopic su uno dei comici più controversi e misteriosi mai esistiti, Andy Kaufman. Ad interpretarlo è Jim Carrey, il quale si è definito un suo grande ammiratore. La particolarità fondamentale è che in questo film traspare tutta l’essenza del personaggio di Kaufman, tramite la sua vicenda biografica. Dagli esordi nel mondo del cabaret fino alla consacrazione nel mondo televisivo, fino ad intraprendere persino una breve carriera nel mondo del pro wrestling. Non mancano nemmeno i litigi che Kaufman ebbe con il pubblico e i suoi collaboratori, i quali contribuirono ad accrescere la sua fama di comico controverso.

Il titolo del film fa inoltre riferimento alla canzone che i R.E.M. scrissero in onore dello stesso Andy Kaufman e che è inserita all’ interno dell’album Automatic for the People. Il gruppo ha anche scritto una canzone originale per il film, The great beyond.

«Sa, non mi interessano le risate facili, voglio suscitare delle reazioni profonde, voglio che la gente viva dell’esperienze emotive, che mi amino, che mi odino, che vadino via. È tutto grandioso» (Andy Kaufman/Jim Carrey)

 

Fonte immagine di copertina: https://www.moviepilot.de/movies/pulp-fiction/images/488725

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

Vedi tutti gli articoli di Ciro Gianluigi Barbato

Commenta