Michele Di Vico, intervista all’autore di “L’amore brigante”

Michele Di Vico, intervista all’autore di “L’amore brigante”

Sguardo penetrante, modi cortesi, profilo discreto.

Abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere con il prof. Michele Di Vico, autore del libro in prossima uscita “L’amore brigante. Il Sannio tra sangue e passione” (Edizioni 2000 diciassette), una trasposizione di fatti storici, studiati e documentati attraverso libri parrocchiali, documenti d’archivio e libri coevi e posteriori, in un dramma storico teatrale.

Chi è Michele Di Vico?

Innanzitutto un insegnante. La mia intenzione è scrivere tre libri, uno per ogni anno del triennio delle superiori, per avvicinare i ragazzi alla storia. Il primo, già pubblicato, Streghe e cavalieri. Una storia d’amore nel Sannio del 1300”. É rivolto ai ragazzi che frequentano il terzo anno, questo di cui oggi parliamo agli alunni del quarto e l’ultimo, in cantiere, ai frequentanti del quinto.

 Cosa l’ha spinta a voler dedicare la sua vita all’insegnamento della storia?

La storia mi ha da sempre affascinato e sono convinto che dobbiamo conoscere le nostre radici per poi puntare alla nostra meta ma io non sono interessato alla storia in generale, da trovare sui manuali. Io cerco di scavare tra le cose minute, di portare a galla le abitudini, le tradizioni del nostro territorio. La mia visione della storia è quella di un orticello non di un grande campo! Dietro al mio impegno di scrittore c’è dunque una finalità didattica: il mio pubblico è stato da sempre rappresentato dalla scuola e dai miei alunni.

Perché la tecnica teatrale?

I ragazzi non sono più abituati a leggere e quindi avvicinarli ad un testo di storia scritto con un linguaggio specialistico è difficile mentre la forma teatrale credo sia la tecnica che può colpirli di più e con maggiore immediatezza.

 Cosa significa essere docente di storia e scrittore nel 2018? Cos’è la scrittura per lei?

Essere insegnante di storia è un mestiere difficile, bisogna avere una forte passione. L’insegnante che tratta i suoi allievi come se fossero i propri figli è un buon maestro, oggigiorno.

La scrittura, invece, è un po’ il nostro doppio, l’alter ego. Lo scrittore rinasce nelle pagine che scrive, vive altre vite e ha un ampliamento di orizzonte non indifferente. Creiamo personaggi, che a volte arrivano naturalmente nella mente dell’autore o che altre volte l’autore va a cercare, in cui rispecchiarci e su cui riflettere e che dobbiamo rispettare: una volta definita una personalità, tutto vi è condizionato.

Michele Di Vico e il suo “L’amore brigante. Il Sannio tra sangue e passione” 

Il 7 agosto 1861, i briganti di Cosimo Giordano occupano Pontelandolfo e Casalduni (Bn), proclamandovi un governo provvisorio. Tre giorni dopo un commando composto da quaranta soldati e quattro carabinieri, inviati ad appurare la portata della sommossa, vengono uccisi dai briganti e da alcuni abitanti del posto. Il generale Enrico Cialdini, appresa la notizia, invia due reparti. I cittadini di Casalduni, avvertiti, riescono in gran parte a mettersi in salvo; quelli di Pontelandolfo, colti di sorpresa, saranno brutalmente uccisi e le case del paese incendiate.

Il testo si divide in tre sezioni: corpus teatrale, sintesi storiche con schede semplici e notiziole anche da gossip e poi i documenti, con cui è possibile verificare le informazioni.

Qual è il suo parere sul fenomeno del brigantaggio?

Il brigante è stato tale prima, durante e dopo l’Unità. Ci sono diverse interpretazioni sui briganti che potrebbero andare bene perché il fenomeno è complesso, si pensi solo alla dicotomia brigante/patriota! Egli, tuttavia, non è il patriota. Sicuramente alcuni tra loro hanno veramente creduto e davvero sono stati fedeli agli ideali dei Borbone ma ho individuato quasi sempre gli stessi topoi all’inizio delle loro attività di brigantaggio: vendetta e onore da salvare. Non c’è da parte del brigante una vera e propria presa di responsabilità politico-ideologica dell’individuo rispetto alle istituzioni ma una scelta sempre di opportunismo. Questo a causa, soprattutto, di un retroterra culturale molto basso. La loro reazione è istintiva, non meditata o di tipo ideologico. Non ci sono né un semplice ragionamento di tutela dei diritti da parte di un monarca rispetto ad un altro, né una presa di coscienza delle masse, perché la ribellione si rivolge a tutti coloro che potevano essere derubati, aldilà delle loro posizioni filoborboniche o filopiemontesi.

 Secondo lei perché quella del brigante è rimasta una figura così iconica?

Perché noi siamo influenzati da un certo romanticismo. Abbiamo bisogno di attaccarci a figure leggendarie. A volte sbagliate.

Come si inserisce un dramma storico sul brigantaggio in un’epoca come la nostra?

Quel che voglio trasmettere agli alunni è che bisogna conoscere almeno gli eventi che sono stati alla radice delle nostre esistenze. In passato si tramandavano i fatti oralmente, consuetudine terminata con la fine della famiglia patriarcale e l’avvento di quella ristretta. Un’opera teatrale su avvenimenti accaduti nella nostra terra può sopperire a quella mancanza di continuità di tradizione.

Oggi esiste ancora il brigantaggio?

Se consideriamo un aspetto del brigantaggio, inteso come mezzo di cui il re si serve per raggiungere i propri scopi, penso alla politica che si è servita della mafia ma il mafioso non è il brigante…o al massimo lo è il mafioso dell’800, dei primi tempi…

Cosa ci dobbiamo aspettare da questo libro?

Che susciti polemiche, non fini a se stesse, bensì risolutive per smetterla una volta tanto con le controversie, da cui potrebbe nascere una verità maggiore rispetto a quella che oggi si ha.

Cosa c’è di personale di Michele Di Vico in quest’opera?

Tutto. Innanzitutto una presa di posizione contro i briganti e contro chi ha attuato l’Unita d’Italia in questo modo, realizzata male! Voler trasportare sic et simpliciter la cultura piemontese nel nostro territorio non è stato per noi vantaggioso ma neanche è fattibile dare la colpa di tutti i mali del meridione al nord e alla cosiddetta piemontesizzazione. Dobbiamo scrollarci di dosso questa menzogna, questo continuo vittimismo che i filoborbonici tramandano ancora. Il meridionale deve alzare la testa e deve capire che deve agire.

In attesa della presentazione ufficiale del libro del 12 maggio, ringraziamo di cuore Michele Di Vico per la gentilezza e la disponibilità offerte.

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