Jean de La Fontaine è stato un celebre scrittore e poeta francese del XVII secolo, attivo durante il regno di Luigi XIV. Tra le sue opere, sono passate alla storia soprattutto le sue favole in versi. Ispirandosi in gran parte alla tradizione classica di Esopo e Fedro, La Fontaine seppe reinterpretarle con uno stile unico e una fine ironia. Le sue favole, i cui protagonisti sono quasi sempre animali personificati, sono adatte a un pubblico di bambini, ma non solo. Ogni racconto, nella sua apparente semplicità, nasconde un messaggio più profondo e l’intenzione di trasmettere un insegnamento universale sulla natura umana e sulla società.
Indice dei contenuti
5 favole di La Fontaine da leggere e riscoprire
Presentiamo una selezione di 5 racconti tra i più noti dello scrittore francese, completi di testo e della loro intramontabile morale. Per un’analisi biografica più approfondita, è possibile consultare fonti autorevoli come l’enciclopedia Treccani.
Favola | Morale principale |
---|---|
La cicala e la formica | La previdenza e il duro lavoro vengono premiati, mentre l’imprevidenza porta alla rovina. |
Il corvo e la volpe | Diffidare degli adulatori, perché spesso nascondono un secondo fine. |
La volpe e l’uva | È facile disprezzare ciò che non si può ottenere. |
La volpe e la cicogna | Chi la fa, l’aspetta: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. |
Il topo di città e il topo di campagna | È meglio una vita umile ma serena, che una vita di lussi ma piena di paure. |
1. La cicala e la formica
Durante l’estate la cicala passa tutto il tempo a cantare, mentre la formica si affanna per accumulare provviste in vista dell’inverno. Arrivata la stagione fredda, la cicala si ritrova senza nulla da mangiare e va a chiedere aiuto alla formica. Questa le risponde che, dato che ha tanto cantato in estate, può continuare a ballare anche ora.
La Cicala, che l’intera
state canta e ricanta,
si trovò sprovveduta e senza niente
quando il vento d’inverno si levò.
Neppur un briciolo, un vermetto,
un moscerino per campare.
Corse a cercar pietà dalla Formica
vicina, e le narrò la sua disdetta,
pregandola di darle un po’ di grano
per vivere fino alla primavera.
«Ti pagherò – le disse – se Dio vuole,
interessi e capitale, da bestiola onesta».
Ma la Formica, si sa, non presta volentieri,
e questo è il suo difetto più piccino.
«Che hai fatto questa estate?». alla Cicala
chiese. «Giorno e notte, a chi passava,
cantavo, se vi piace». «Cantavi? Bravo!
rispose la Formica. Adesso balla!».
Morale: la favola è esemplare nel suo messaggio. Usando un proverbio, la lezione è: «Prima il dovere e poi il piacere».
2. Il corvo e la volpe
Questa è una delle favole di La Fontaine riprese direttamente da Esopo. Racconta la storia di un corvo che, appollaiato su un albero, tiene un pezzo di formaggio nel becco. Passa di lì una volpe che, rappresentata come un animale molto astuto, comincia ad adulare il corvo, chiedendogli se il suo canto sia bello quanto le sue piume. Il corvo, per darle una dimostrazione, apre il becco, lasciando cadere il formaggio che la volpe afferra prontamente.
Un Corvo stava sopra un albero in riposo,
e teneva nel becco un bel pezzo di cacio.
Una Volpe attirata da quell’odore ghiotto,
gli disse: «Corvo mio, se il tuo canto è sì bello
come son belle queste penne nere,
tu sei la meraviglia di tutti gli animali».
Il Corvo, a cui salì la vanità alla testa,
per farle il gorgheggio sentire,
spalancò il becco, e il cacio andò a finire
in bocca della Volpe, che gli disse:
«Ricordati, mio caro, che chiunque ti adula,
lo fa per impinguarsi alle tue spalle.
Questa lezione vale un cacio, senza dubbio».
Il Corvo, vergognoso e stupefatto,
giurò, ma un po’ in ritardo, che mai più ci avrebbe cascato.
Morale: la favola vuole mettere in guardia dai pericoli dell’adulazione, che raramente viene usata senza secondi fini.
3. La volpe e l’uva
La protagonista è di nuovo la volpe. Mentre cammina affamata, vede un grappolo d’uva appetitoso appeso a un’alta vite. Comincia a saltare per afferrarlo, ma ogni suo tentativo è vano. Alla fine, se ne va borbottando, convincendosi che quell’uva fosse non ancora matura e quindi non degna di essere mangiata.
Una Volpe di Guascogna, o forse della Normandia,
morta di fame, vide sopra un’alta vite
dell’uva moscadella, in bei grappoli d’oro,
già matura, e che le fece venir l’acquolina in bocca.
Avrebbe volentieri fatto un pasto di quell’uva,
ma non poteva arrivarci: «È ancora acerba», disse,
«roba da far venire il mal di pancia».
Non fece forse meglio che lamentarsi?
Morale: l’atteggiamento della volpe simboleggia il comportamento di tutti coloro che, per orgoglio, quando non riescono a ottenere qualcosa, fingono di non averlo mai desiderato.
4. La volpe e la cicogna
La volpe invita la cicogna a pranzo e, per scherzo, le serve del brodo in un piatto dai bordi molto bassi. Ovviamente la cicogna, a causa del suo lungo becco, non riesce a mangiare nulla. Qualche tempo dopo, la cicogna decide di ricambiare l’invito e serve il pasto alla volpe in un vaso dal collo lungo e stretto. Questa volta è la volpe a rimanere a bocca asciutta.
La Volpe un giorno invitò la Cicogna a cena.
Le offrì un brodo leggero, che a lei piaceva molto,
ma lo servì in un piatto così basso e largo,
che la Cicogna, col suo lungo becco, non poté assaggiarne
neanche una goccia. La Volpe, invece, in un momento
leccò tutto. Per vendicarsi di quello scherzo,
la Cicogna, a sua volta, invitò la Volpe.
«Verrò volentieri», disse la furbacchiona.
Arrivata all’ora stabilita, trovò da mangiare
della carne tritata, un piatto prelibato,
ma servita dentro un vaso dal collo lungo e stretto.
Il becco della Cicogna ci passava benissimo,
ma il muso della Volpe era troppo largo.
Tornò a casa a digiuno, con la coda tra le gambe,
vergognosa come una volpe che una gallina ha gabbato.
Morale: come scrive lo stesso La Fontaine, la favola dimostra che «chi la fa l’aspetta».
5. Il topo di città e il topo di campagna
Il topo di città invita il suo cugino, il topo di campagna, a cena da lui. Il topo di campagna rimane sbalordito dall’agiatezza e dalla ricchezza della casa cittadina. Mentre i due stanno banchettando con cibi prelibati, un forte rumore li spaventa. Il topo di città lo rassicura, ma poco dopo il rumore si ripete. A quel punto, il topo di campagna ringrazia per l’ospitalità ma decide di tornare a casa, preferendo i suoi pasti semplici ma consumati in pace.
Un Topo di città invitò un giorno, con grande cortesia,
un Topo di campagna a un banchetto di avanzi.
Sopra un tappeto persiano il pasto fu servito:
un vero pranzo da re, non c’è che dire.
Ma appena cominciato, un rumore alla porta
fece scappare i due commensali. Il rumore cessò,
i due tornarono, ma un altro frastuono
li mise di nuovo in fuga.
«Addio, amico», disse allora il Topo rustico,
«domani verrai da me. Non vivo da gran signore,
ma almeno mangio in pace, senza paura».
La gioia senza timore vale più di un tesoro.
Morale: la favola suggerisce che è meglio condurre una vita umile e tranquilla, piuttosto che una vita agiata ma nella paura costante. Per consultare le opere originali, si può fare riferimento all’archivio della Bibliothèque Nationale de France (BnF).
Fonte immagine in evidenza: Wikimedia Commons
Articolo aggiornato il: 19/09/2025