“L’unica notte che abbiamo” è un romanzo di Paolo Miorandi, edito da EXòrma, un libro che sin dal principio, catapulta in una lettura impegnativa, che richiede un’intensa concentrazione, ricca di spunti di riflessione. Infatti, si sentono voci che il lettore non può capire, voci incomprensibili ma in realtà perfettamente delineate nell’immaginazione dell’autore. Il racconto nasce da un incontro causale, non programmato, un errore nella consegna della posta, tra due ignari vicini di casa, nello stesso palazzo ma a qualche km di distanza.
Trama
È notte, un uomo si trova alla finestra e ascolta voci che sembrano riecheggiare nel buio. Le voci sono quelle di un’anziana signora, poco prima di tramutarsi anche lei in pulviscolo di parole, ha consegnato all’uomo che ne diventa il custode. Una serie di voci, di persone, realtà, situazioni e vicende diverse, racchiuse in quello che potrebbe essere un ricordo.
L’anziana signora rivive le vicende della sua famiglia che nessuno ha mai voluto né raccontare né ascoltare. Cerca tra i confini immaginari (presumibilmente mentali) di un paese senza vita la ragazza che ha abbandonato il figlio, suo padre, poco dopo averlo messo al mondo. Ripercorre le fasi della propria infanzia, unico ricordo di una labile felicità. Rivive rapporti conflittuali, vicende intimamente segrete, la propria famiglia, la propria dimora, il proprio Pese, alla ricerca di un possibile perdono dei protagonisti, irrimediabilmente colpevoli.
La scrittura del libro di Paolo Miorandi è quasi ossessiva, ma non nell’accezione negativa del termine, è un’ossessione che va oltre la realtà, con una serie di dettagli che man mano si legano l’uno all’altro. L’autore non si serve di giri di parole, va dritto al fulcro della questione, raccontando, in modo coinciso ma diretto, concetti e vicende diverse, soprattutto per delineare un punto di vista, che si discosti da una prospettiva tradizionale.
In questo spazio ben definito, dato da una cornice narrativa dunque ‘ossessiva’, si delineano i personaggi, i cui destini e le cui attività si incrociano. Come se fossero tutti sulla stessa strada.
Miorandi è infatti uno psicoterapeuta che dedica gran parte del proprio tempo alla scrittura. “L’unica notte che abbiamo”, è il suo nuovo romanzo, all’interno del quale l’autore di Rovereto, riesce a concentrare tutta l’adrenalina che oscilla tra casualità e incontri. Tra memoria e ricordo. Tra voce ed evocazione. Tra la finzione che sembra prendere il sopravvento sulla realtà, inspiegabilmente deforme.
“L’unica notte che abbiamo”, è un libro coinvolgente, nel corso del quale, tra le pagine che lo compongono, si “confrontano” tre generazioni nell’arco di un secolo, da fine Ottocento a fine Novecento, narrando una storia reale che l’autore sembra però trasfigurare, attraverso la propria penna, e mediante ciò che è avvenuto, mescolando vicende di famiglie, bambini abbandonati, mutilati, matrimoni falliti e tutto ciò che ne consegue. I personaggi del libro (come l’anziana signora) sembra che desiderino esser ricordati a tutti i costi. Ciò nasce probabilmente da un bisogno intrinseco di voler raccontare per necessità. In realtà, man mano che si procede nella lettura si comprende il motivo per il quale l’anziana donna desideri raccontare tutto. Un motivo profondo.
“Ogni essere umano, ogni uomo”, così come si legge nel libro, “prima o poi è chiamato a prendere in consegna la voce di un altro essere umano, e ogni vita è chiamata a offrire la propria voce, per quanto flebile essa sia, a un’altra vita”.
“L’unica notte che abbiamo” è un romanzo in cui non contano le etichette predefinite di un determinato stile narrativo, o dettate dalla modernità, è piuttosto una rivendicazione dell’identità, attraverso il ricordo e il racconto soprattutto. La narrazione si basa su una gamma di eventi e comunicazioni, rapporti, figure differenti, in un tempo “aperto”, definibile saggiamente poetico.
Immagine in evidenza: http://www.exormaedizioni.com/catalogo/l-unica-notte-che-abbiamo/