A tu per tu con i Neri per Caso

Neri per Caso,

Neri per Caso, una serata in loro compagnia

Ci sono gruppi che, un po’ come la prima fidanzata o il ricordo del primo bacio dato da bambino sotto un tramonto spensierato che illuminava una spiaggia della costiera amalfitana, continueremo a portare sempre nel nostro cuore.
Il 1995 per molti trentenni ha rappresentato l’annata di uno dei pochi Festival passati ad aspettarlo seduti sul divano. Quello che, ancora bambino, ti faceva rompere le scatole alla mamma, la quale, poverina, magari si stava godendo il pezzo di Zarrillo con te che continuavi a chiederle “ma quando tocca a loro, quando vengono i “Neri per Caso?”. Insomma, mentre Pippo Baudo si destreggiava col suo stile inconfondibile e Anna Falchi e Claudia Koll si alternavano per la discesa delle scale del Teatro Ariston, tu aspettavi solo loro. Quel gruppo di Salerno che di lì a poco avrebbe accompagnato le tue sere d’estate e le prime postegge in riva al mare. Abbronzati dal sale e cotti dalle ragazzine. Quelle che avresti tanto voluto invitare a mangiare un gelato da soli, ma eri alle prime armi, impacciato come pochi e brillante manco da lontano e non sapevi come dirglielo. Ti restavano la brillantina nei capelli e la pista che in piazzetta verso le dieci lasciava partire “Le ragazze” e “Sentimento Pentimento”.
Abbracciati dalla splendida cornice di Castel Sant’Elmo, in occasione di una tappa del loro tour con il quale stanno portando in giro il loro ultimo disco “NPC 2.0” e tanti altri brani, con una vista su Napoli e una puntatina su Capri che non guasta mai, li abbiamo incontrati e provato a tenerli a bada con Mimì che continuava a dispensare birre in giro per la stanza.

Neri per Caso, l’intervista

Ragazzi, come siete cambiati voi Neri per Caso dal ’95?

Siamo ringiovaniti di quindici anni. Ma il cambiamento più importante è stato quello che ha visto lasciare il gruppo da un membro storico, Diego, che ha deciso di dedicarsi ad altre attività ed è stato sostituito da questo giovanotto: Daniele Blaquier.

Siamo molto legati a voi da quel Festival di Sanremo, perché è successo questo secondo voi? Perché ci sentivamo così, vi sentivamo vicini per appartenenza territoriale o cosa?

Dai, però in quell’anno c’erano anche Grignani, Silvestri, Giorgia, i Bluvertigo.
Non sei l’unico bambino che si sentiva legato a noi. Non credo sia solo questione di appartenenza, ma di sound. Fa molta presa sui bambini. Anche oggi, durante i nostri concerti abbiamo sempre un gruppo di bambini che vengono sempre davanti e restano, così, a bocca aperta. La voce arriva prima perché credo ci sia anche una spiegazione “scientifica” a tutto ciò: la musica nasce attraversa dalla voce, gli strumenti nascono ad imitazione della voce. Uno strumento primordiale e che attecchisce subito il suo effetto. L’idea di cantare a cappella nasce da un grande film, “Amici miei” di Mario Monicelli e la fantastica interpretazione dei suoi cinque madrigalisti moderni che, maglia a collo alto e vestiti di nero, sconvolgono i prelati in prima fila. Un pezzo che ha fatto la storia del cinema e che abbiamo anche in repertorio.

Una domanda stupida, ma che mi porto dietro dall’età di sette, otto anni: Ciro, eri il mio preferito e sei stato sempre un mio dilemma. Ma perché cantavi soltanto e non parlavi mai?

Risata generale. Parlavamo poco tutti. Diciamo che avevo un ruolo ben preciso, non era quello di solista. Ho un ruolo molto importante che è quello di arrangiatore. Forse sono esageratamente critico, ma in realtà ho la fortuna di essere affiancato da solisti straordinari. Ho un ruolo all’interno dell’armonia e “per fortuna” non c’è bisogno.
La parte delle public relations ce la siamo sempre divisa un po’, ci sono filmati su YouTube in cui alla domanda dell’interlocutore la risposta era il silenzio, in cui ci guardavamo in panico per venirci in aiuto. Ci viene molto più facile cantare che parlare!

Cos’è cambiato tra “le ragazze” dei Novanta e quelle di oggi?
Cos’è cambiato dopo il 2000?

Siamo passati dalla vita bassa alla vita alta.
Ma a parte i pantaloni, è il punto di vista nostro che non è più lo stesso. Oggi da potenziali coetanei siamo diventati potenziali padri. Le ragazze hanno gli stessi sentimenti. Prima era tutto più semplice, gli si offriva un pizza. Oggi la pizza c’è sempre, ma loro ti rispondono “ma camma fa cu ’sta cosa”.
Le ragazze sono però quelle che ci hanno seguite nel tempo, è il nostro modo per dirgli anche grazie. Resta sempre il brano al quale siamo più legati.
Vedere ragazzi e ragazze che sono cresciuti con noi nel corso di tutti questi anni è una cosa che ci rende orgogliosi e che al tempo stesso ci porta anche responsabilità.
Qualche mese fa abbiamo fatto una serata al Piper ed è stato straordinario. Una folla assurda e gli organizzatori che avevano la tua età. Una piacevole sorpresa e una bella soddisfazione.
Abbiamo addirittura sentito un ragazzino che diceva “ammazza so’ proprio fighi i Neri Per Caso, c’aveva ragione mamma…”
Ci sono mamme che facevano tutte le tappe dei nostri concerti e che oggi portano i loro figli: dalle “ragazze della nostra età” alle “signore della nostra età”.

Che tipo di convivenza avete all’interno del gruppo dei Neri per Caso?

Dipende dal risveglio al mattino. Oggi è più nervoso uno, domani è più nervoso l’altro. Ci si confronta più che litigare. Siamo come fratelli da più di vent’anni ormai, ambiamo al Record dei Pooh!

Veniamo alla Bella Napoli. Voi siete di Salerno. Sembra sempre di voler prendere la vostra città come modello di riferimento, è possibile?
Questa competizione che spesso si sente nell’aria esiste davvero?

Napoli è una città che non ci ha mai tradito e forse abbiamo più fans a Napoli che a Salerno. Napoli è una città che ha la cultura dell’accoglienza e che tratta sempre benissimo gli artisti. Purtroppo con la Salernitana in Serie A, anni fa, nacque questa disputa dalla quale ci discostiamo del tutto.
Salerno morfologicamente è più piccola, Napoli è una metropoli e molto più caotica per forza di cose.
Dobbiamo liberarci dei cliché che ci perseguitano ormai da sempre. E poi anche di calcio ce ne intendiamo davvero poco, il nostro calcio resta solo PES!
Napoli oggi ha più bisogno di intellettuali che di calciatori. Ma la vera scintilla che manca alle altre città è quel quid in più che solo Napoli riesce ad offrire.
Bisognerebbe prendere il tutto in maniera un po’ più ironica, come la Napoli di “Così parlò Bellavista” di Luciano De Crescenzo.

Ultima domanda. Cosa consigliereste ai giovani che vogliono sfondare nel mondo dello spettacolo?

Sembra tutto cambiato. Si finisce troppo spesso per conoscere Ed Sheeran e non i Doors.
I ragazzi dovrebbero lavorare di più, non dovrebbero lavorare per “farsi conoscere” ma per il “motivo per cui devono venirti a cercare”.
Oggi i mezzi non mancano e se tu riesci a fare qualcosa di davvero originale ti cercano. Si punta alla musica come strumento per arrivare al successo, ma il successo deve essere una cosa che capita mentre tu fai la musica.
Il messaggio della televisione è sbagliato, c’è la talent-mania, ma è una miopia.

E quindi, Sanremo?

Sembra diventato un prolungamento di Amici e X-Factor, una serie distaccata. La metamorfosi definitiva si è compiuta l’anno scorso con Maria De Filippi. Troppi collegamenti tra le case discografiche e i talent e, di conseguenza, anche con Sanremo. Probabilmente un po’ troppo condizionato.
Ma ti assicuro che Maria De Filippi era già lì, dietro le quinte dell’Ariston nel ’95. Noi l’abbiamo conosciuta lì, quando presentava la prima versione di “Saranno Famosi”. Quella in cui ancora tutti i ragazzi erano seduti per terra a formare un grande cerchio.

Il nostro più grande cerchio, invece, resterà sempre quel cordone ombelicale che ci lega alla loro musica.
I Neri ci salutano, si allontanano per la cena con Ciro che in ascensore finalmente mi confessa “comunque è vero, non parlavo anche perché c’era un po’ di timidezza”.

Neri per Caso live a Castel Sant’Elmo

Foto: Marcello Affuso

A proposito di Jacopo Menna

Nato a Napoli, di domenica, a mezzogiorno, vista sul golfo e Ciro a Mergellina. Capisce che gli piace scrivere, quando, in quarto ginnasio, comincia a prendere 2 in Italiano e, a fine anno, lo salva solo la traccia libera. Si fa chiamare il Sannazaro, perché, nella vita, le doppie sono importanti, ma continuano a scriverlo tutti con due zeta. 'A vita è na strunzata, ma imparerà a conoscerla comodamente seduto sulla tazza. Perché, comunque vada, sarà sul cesso.

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