Little Room, il nuovo album di Oscar Molinari

Little Room, il nuovo album di Oscar Molinari

Oscar Molinari è un aspirante cantautore della provincia napoletana. Un giovane come tanti, che alla passione innata per la musica accompagna gli studi universitari presso la facoltà di Fisioterapia. Little Room è il titolo del suo secondo disco, disponibile da pochi giorni presso tutti i maggiori canali di distribuzione. Un lavoro intimo e semplice, quasi ruvido nei suoni e nei testi, frutto del lavoro solista di un giovane che compensa la pochezza di mezzi a disposizione con una fortissima voglia di mettersi in gioco. Seconda produzione originale del giovane Oscar, dopo Something in Our Heads, pubblicato ad inizio luglio con le medesime modalità di distribuzione. La storia di Oscar è insomma la storia di un ragazzo che non si arrende, che insegue i propri sogni e le proprie passioni in un’area che solitamente non è mai stata troppo fertile per la scena musicale.

Little Room è il tuo secondo album, Oscar, un traguardo importante e raggiunto in poco tempo, per di più praticamente da solo.

Il disco nasce dalla vita vissuta, quella che ogni giovane della mia età vive quotidianamente. Un’esistenza fatta di amicizia, amori, musica, università, treni che passano: è così che è nato Little Room, tra un pensiero e l’altro, un accordo e l’altro suonato magari per ingannare il tempo. La stanza piccola del disco non è un luogo immaginario di fuga: è proprio la mia cameretta, il mio personale rifugio che mi tiene al sicuro dalle ansie e dalle preoccupazioni.

Da dove nasce l’ispirazione per la tua musica?

Ho sempre ascoltato musica fin da piccolo, non saprei neanche definire un momento preciso nel quale questa passione è cominciata. Più che altro mi ha sempre appassionato la capacità della musica di ergersi a linguaggio universale, di mettere in contatto persone che altrimenti non si sarebbero mai rivolte la parola. Per dire, quando mi esibisco nei locali, ancora oggi l’emozione più grande è quella di vedere la gente cantare le tue canzoni, anche se scritte in inglese, una lingua non così parlata dalle nostre parti.

Ascoltando Little Room e Something in Our Heads colpisce subito la presenza di musica con testi scritti esclusivamente in inglese. A cosa è dovuta questa scelta così singolare?

In realtà non ho mai pensato troppo a questa scelta, ho sempre avvertito la scrittura in inglese come un passaggio spontaneo e non frutto di chissà quali pensieri. Questa lingua mi permette di dare un’interpretazione più aperta a ciò che voglio comunicare, a differenza magari dell’italiano che per la ricchezza di termini si presta poco a questa vaghezza. In più è praticamente da sempre la musica dei miei modelli e punti di riferimento dal punto di vista musicale, per cui anche indirettamente subire una certa influenza era quasi inevitabile.

Hai parlato di modelli e punti di riferimento.  A chi ti ispiri generalmente per la tua musica?

Non ho modelli e punti di riferimenti precisi, sono cresciuto con l’influenza del rock classico con band come Led Zeppelin, Deep Purple e Pink Floyd, per poi passare a periodi più introspettivi con la musica folk (Bob Dylan, Dave Van Ronk e Nick Drake). In generale cerco di prendere ispirazione e imparare qualcosa di nuovo da tutti gli artisti che ascolto e tutta la musica che anche casualmente arriva a me, ad esempio attraverso la radio. Altri artisti che meritano una citazione sono sicuramente Pino Daniele, Radiohead e Dave Matthews Band.

Il disco è molto eterogeneo a livello di temi e atmosfere, pur nella sua struttura molto intima che vede quasi prevalentemente voce e chitarra. C’è una canzone alla quale tieni più di altre?

Scelta difficile, tengo molto a ciascuno degli undici pezzi del disco e sono quasi dei figli per me. Se dovessi sceglierne una in particolare direi “Ocean”, che ho scritto in un periodo complicato ed è stata anche la prima ad essere completata in produzione. Spesso la riascoltavo mentre registravo altre canzoni e riusciva a darmi la forza per continuare a lavorare in modo positivo, sono molto soddisfatto della sua realizzazione. Citando il ritornello “You chased away all of my fear”. Ocean mi ha aiutato a superare ostacoli personali e spero possa essere d’aiuto anche ad altre persone.

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A proposito di Matteo Pelliccia

Cinefilo, musicofilo, mendicante di bellezza, venero Roger Federer come esperienza religiosa.

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