Junk love: Anna Gramaccia e Simone Zaccagnini

Junk love: Anna Gramaccia e Simone Zaccagnini

Junk love: Anna Gramaccia e Simone Zaccagnini

Il 23 febbraio, nella splendida Galleria di Francesco Annarumma, sita a via del Parco Margherita 43, è stata inaugurata la mostra d’arte contemporanea dal titolo Junk love; sarà possibile visitarla fino al 23 Marzo. La doppia personale vede come protagonisti due giovani artisti: Anna Gramaccia e Simone Zaccagnini.

La Galleria Annarumma è nota per aver preferito in passato artisti stranieri di qualità, e la scelta coraggiosa di proporre oggi due artisti italiani – Anna e Simone – è determinata dal desiderio di vincere una scommessa con un mercato ormai esterofilo.

Il titolo della mostra “Junk love” è stato scelto dall’intellettuale Scott Elliot, amico di Anna e Simone; il suo pensiero, che fa da accompagnamento al testo, si trova sul retro del comunicato stampa, che va ad interpretare al meglio il sentire dei due giovani.

Junk Love: arte made in Italy

Francesco Annarumma, gallerista esperto, con professionalità e cordialità ci ha concesso un’intervista sulla mostra Junk love

Qual è l’ idea alla base della produzione artistica di Simone e di Anna?

I due artisti sono vicini sentimentalmente, ma sul piano del lavoro non potrebbero essere più lontani.

Simone Zaccagnini realizza dei lavori estroflessi sia sul piano materiale – perché le sue sono delle sculture bidimensionali – sia sul piano ideale; lavori estrusi, imbottiti di gommapiuma. Le opere si risolvono in delle t-shirt colorate di marca “FuBu”, degli anni ’90, in patches, jeans vintage, espressione di una cultura americana Pop. Opere elaborate e personalizzate con maestria tese a superare i confini del tradizionale linguaggio pittorico per approdare ad una dimensione plastica di stampo industriale.

Anna Gramaccia, invece, fa l’operazione inversa. I suoi lavori sono introflessi, cercando nella materia le potenzialità che la materia stessa può esprimere.

L’ artista usa pochi materiali essenziali, come fogli di carta sovrapposti, che colora a pennarello. Il procedimento di lavorazione è semplice. Si parte dalla materia finita, la carta, per arrivare alla polpa di cellulosa. Pettina con lamette e taglierini il foglio di carta, che una volta sfibrata acquista un volume morbido come batuffoli di cotone. Batuffoli che, senza soluzione di continuità, ripiegati su se stessi vanno a riempire lo spazio di un’intelaiatura. Il tutto poi è fissato con uno spray plastico che dona alla superficie una granulosità, un senso di pulviscolo.

Nei lavori di Anna c’ è uno scavare sotto la superficie delle cose?

Il lavoro di Anna è molto introspettivo, uno scavare dentro. C’è una meditazione, un lavoro quasi da amanuense benedettino.

Volendolo cercare, c’è un punto d’incontro sul piano concettuale tra i due artisti?

Non credo che ci sia, ed il fatto che i due giovani si siano sottratti per ragioni di riservatezza ad un’intervista dice molto del loro carattere. Se di incontro si vuol parlare, allora il loro è stato un incontro d’anime.

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