La seconda giornata di Incontri con il Cinema Buddhista ha tracciato un percorso compatto e coerente: dal racconto di un territorio fragile ma ancora vivo, alla memoria di un rito che ha segnato l’ingresso del buddismo in Occidente, fino all’incontro tra poesia, attivismo e meditazione.
Una programmazione intensa, un pubblico numeroso e partecipe e una direzione che conferma l’intento della rassegna: trasformare il cinema in uno strumento di consapevolezza.
La serata ha proposto una serie di documentari dedicati ai legami tra spiritualità, cultura americana e riflessione interiore. L’apertura è stata affidata a un mediometraggio in anteprima europea, seguito da una sezione che esplora la nascita del buddismo americano, fenomeno sorto negli anni Settanta e profondamente intrecciato con la controcultura e la Beat Generation.
Tra i protagonisti evocati nel corso di Incontri con il Cinema Buddhista spicca il poeta Allen Ginsberg, la cui ricerca spirituale e il rapporto con la tradizione tibetana sono al centro del documentario presentato dal regista Colin Still.
My Lens, My Land (Ke Chen, 2024, anteprima europea)
Il pomeriggio si è aperto con un film che osserva l’Amdo tibetano attraverso gli occhi dei suoi abitanti: i nomadi. Dalle immagini d’archivio di Daze, padre di famiglia e regista, affiora un racconto asciutto e sincero sul legame tra uomo e ambiente, sulla crisi di un ecosistema e sul tentativo di preservarlo.
La relazione con la natura, la vita domestica e il rapporto con la figlia compongono un quadro intimo, dove “abitare” assume il valore di un gesto morale oltre che geografico: la terra non è sfondo, ma presenza viva.
Incontri con il Cinema Buddhista: The Dalai Lama’s Gift (Ed Bastian, 2024)
Il centro simbolico della giornata di Incontri con il Cinema Buddhista è stato il documentario che ripercorre la prima iniziazione del Kalachakra tenuta in Occidente. L’evento, avvenuto nel 1980 in una pianura del Wisconsin e guidato dal Dalai Lama, allora ancora poco noto al grande pubblico, rappresentò un momento di svolta nella diffusione del buddismo in America.
Un campo agricolo trasformato in tempio, migliaia di persone riunite per giorni, dubbi e entusiasmi di una società in cerca di nuovi riferimenti spirituali.
Il rito, denso di simboli e di gesti, riflette il principio dell’impermanenza e della trasformazione. Quell’esperienza pionieristica segnò l’inizio di un dialogo duraturo tra Oriente e Occidente — un bisogno di ritualità collettiva che resta vivo anche oggi.
Beat, buddismo e immagini: i corti di Colin Still e il ritratto di Allen Ginsberg
A seguire, Colin Still ha presentato tre cortometraggi e un documentario dedicati alla figura di Allen Ginsberg, poeta e testimone della Beat Generation, ponte tra spiritualità, politica e poesia.
The Cracked Goddess
Un poemetto visivo su sculture buddhiste (Amy Evans McClure) dove la materia sembra fendere il tempo. La musica di Terry Riley non accompagna, ma guida. Il corto rivendica la possibilità del sacro dentro la forma.
What Were They Like
Ispirato alla poesia di Denise Levertov contro la guerra del Vietnam, il corto alterna voce narrante e immagini essenziali, intense, strazianti, trasformando la denuncia in meditazione collettiva.
Pochi minuti bastano a ricordare che la poesia, quando è autentica, resta sempre un gesto pubblico.
No More to Say & Nothing to Weep For
Un mediometraggio di 51 minuti realizzato nel 1997, con interviste esclusive al poeta Allen Ginsberg proprio nell’anno della sua morte. Un preludio al film successivo, fatto di frammenti e voci che ricompongono la memoria, preparando lo spettatore all’incontro con l’uomo Ginsberg, più che con il suo mito. Il film intreccia arte, meditazione e impegno civile in un racconto personale e delicato. L’opera, proiettata in anteprima italiana dopo l’uscita nel Regno Unito, offre un ritratto umano e spirituale del poeta.
Father Death
Girato pochi giorni dopo la morte di Ginsberg (aprile 1997), il film entra nel suo appartamento e lo lascia parlare attraverso le cose: libri, oggetti, carte, tracce sonore. Still evita l’enfasi elegiaca e lavora di sottrazione. Ne esce il ritratto di un poeta capace di tenere assieme Beat e meditazione, diritti civili e zazen, performance pubblica e ricerca interiore. Nel dialogo con la sala, il regista ha richiamato anche la figura di Gary Snyder, compagno di strada e pensatore ecologico, per mostrare come la spiritualità beat non fosse moda, ma pratica quotidiana.
Durante il dibattito finale, Still spiega che Ginsberg si definiva un “ebreo omosessuale, induista e buddista politicamente attivo” e che la sua spiritualità era indissolubilmente legata al suo impegno sociale. Alla domanda sul legame tra poesia e buddismo, il regista risponde di non essere buddista ma di avere grande rispetto per tutte le fedi, raccontando il suo legame con il poeta Gary Snyder, figura chiave della Beat Generation e del pensiero ecologico-buddista. L’incontro si chiude con un ringraziamento del regista e degli organizzatori, che evidenziano come la rassegna di quest’anno sia dedicata alla tradizione Vajrayana e alla riflessione sul senso umano e universale della spiritualità.
Incontri con il Cinema Buddhista: l’America che cercava il Dharma
Dal Kalachakra del 1980 al canto finale di un poeta nel 1997, la programmazione ha delineato una mappa coerente della ricerca spirituale americana: un viaggio iniziato tra musica e poesia, proseguito nelle comunità che hanno costruito i primi centri di pratica e ancora oggi capace di parlare al presente.
Il pregio della rassegna è quello di proporre queste immagini non come reliquie, ma come strumenti di riflessione sul nostro modo di abitare il tempo.
Incontri con il cinema buddhista: pubblico e atmosfera
Il pubblico, numeroso e attento, ha seguito con concentrazione ogni intervento, ponendo domande e riflessioni.
L’organizzazione, nonostante il grande successo, è riuscita a conferire quella sensazione di intimità, accompagnata da chiarezza e profondità, presentando contesti storici e simboli rituali con equilibrio e precisione. I materiali d’archivio sono stati valorizzati per ciò che sono: corpi, gesti e memorie che continuano a vivere sullo schermo e nell’animo umano, costantemente alla ricerca di sé stesso.
Fonte immagini: locandina ufficiale e foto scattata in loco