Coco Chanel: l’immortale icona di stile

Coco Chanel, l’immortale icona di stile

È stata un’icona Coco Chanel. Un’avanguardista, mai al passo coi tempi ma fedele a se stessa e alla sua concezione del bello. Purezza, semplicità e perfezione: a questo aspirava, con tutta la sua anima. Una donna emancipata, libera, visionaria. Istintiva, innamorata dell’arte, della poesia.

Gabrielle Bonheur Chanel, detta Coco, nacque il 29 agosto 1883 a Saumur, in Francia. I primi decenni della sua vita non sono molto chiari, ha sempre cercato di avvolgere attorno ad essi un velo di mistero. Spesso, se non sempre, mentì sulla sua infanzia, su dove avesse passato i primi vent’anni della sua vita, sul suo luogo di nascita: mascherava la verità con disinvoltura quasi come se sperasse che le bugie che raccontava agli altri, in qualche modo, diventassero realtà. Suo padre, Henri-Albert Chanel era un venditore ambulante sempre troppo assente, sua madre, invece, Jeanne De Volle, era una donna innamorata di un fantasma, morta a causa di quest’ultimo e di tubercolosi.

L’orfanotrofio  di Aubazine e il simbolismo

Era una bambina insolita Gabrielle. Credeva ai simboli, alle streghe, ai fantasmi, alle anime torturate; le piaceva andare al cimitero vicino casa, dai suoi morti, parlare con loro, tenergli compagnia, occuparsene. Credeva nei momenti, negli attimi fuggenti, tanto che ogni volta che suo padre tornava da un viaggio di lavoro e le portava un oggettino come souvenir lei lo riponeva, assieme a tutti gli altri, in una fossa nel terreno, che poi ricopriva per immobilizzare l’attimo, renderlo eterno, per sempre suo.

Dopo la morte della madre, abbandonata dal padre all’orfanatrofio di Aubazine, assieme alle sorelle Julia-Berthe e Antoinette, Gabrielle passò la sua infanzia rinchiusa in una bolla di rabbia e delusione che, trattenuta, non fece mai esplodere. Fu proprio all’orfanatrofio, dalle suore del Sacro Cuore, nonostante rifiutasse il mondo monacale freddo e severo nel quale era stata gettata, che Gabrielle trasse ispirazioni a livello estetico, creando in lei un’idea del bello che la segnò a vita: non a caso, i colori prediletti, furono il bianco e il nero, semplici, sobri, puri, essenza del suo stile, dello stile Chanel. Coco rimase affascinata anche dalla bellezza dei luoghi, dalla simbologia, dalle cifre che apparivano sui pavimenti, in particolare il 2, il 19, giorno di nascita suo e di suo padre e il 5, numero che fu per tutta la sua vita il suo portafortuna: non a caso le sfilate per presentare le nuove collezioni furono, invariabilmente, il 5 febbraio e il 5 agosto.

La seconda fase della vita di Coco Chanel

Nel 1901, a 18 anni, una Coco ormai ben consapevole che suo padre non sarebbe più tornato a prenderla, si trasferì a Moulins dove iniziò a lavorare come sarta nella bottega Maison Grampayre. In quel periodo Coco guardava con disprezzo, attraverso le vetrine dei caffè, donne frivole, strizzate nei loro corsetti, con le labbra rosso ciliegia, cinguettare e lasciarsi offrire da giovani ragazzi una scatola di Palets d’or, non sapeva che di lì a poco anche lei avrebbe amato il lusso, lo sfarzo: anche lei avrebbe ricevuto la sua personalissima scatola di Palets d’or. E come se non fosse abbastanza, tornarono nella sua vita i presagi, i simboli: infatti, un pomeriggio, mentre era ai giardini con sua zia Adrienne, le si presentò davanti una donna che le predisse un futuro in cui non sarebbero mancati uomini e denaro e, come segno della sua sincerità, le fece scivolare nella mano un dono: un anello, un quarzo citrino ovale cerchiato d’oro che Coco porterà sempre al dito mignolo della mano sinistra.

Poco tempo dopo, arrivò il primo uomo, un militare di leva ed erede di una delle prima industrie tessili francesi: Étienne Balsan. Il fascino misterioso di una Coco, ormai ventenne, fece innamorare il giovane che iniziò a corteggiarla fino allo sfinimento. Gabrielle, tuttavia, era ancora alla ricerca del suo futuro e, come prima tappa, tentò la fortuna sul palco: una sera, a La Rotonde, un caffè-concerto in voga, Coco interpretò, fra le altre canzoni, Qui qu’a vu ma Coco? e, non tanto per la sua voce quanto per la sua grande presenza scenica, i primi tentativi furono tutt’altro che fallimentari. Alcuni credono che sia proprio da questo momento, per questa canzone, che le persone iniziarono a chiamarla Coco ma, in realtà, fu suo padre il primo a chiamarla così. Coco, tuttavia, era ben consapevole che non sarebbe stata la musica a portarla alla gloria e proprio in quel momento, al Grand Café, sua grande brama quotidiana, Étienne de Balsan, porgendole una scatola di Palets d’or, realizzò il suo sogno più folle, portandola con sé a La-Croix-Saint-Quen, vicino Campiègne, e a Royallieu, un antico monastero usato per le feste.

Fu così che la giovane Coco Chanel si accostò per la prima volta alle delizie del lusso con un desiderio che non avrebbe mai immaginato di possedere. Iniziò a divertirsi, a godersi la vita ma mantenne la sua particolare audacia nel vestire, utilizzando arditamente papillon, cravatte, cappotti maschili e, soprattutto, i cappelli. Furono proprio quest’ultimi a dare il via al suo successo: finanziata da Étienne, Coco iniziò a creare cappelli per tutte le habitué di Royallieu, che divennero demi-mondaines con cappelli firmati Chanel. Nel 1908 però, accadde l’impensabile: durante una battuta di caccia Coco conobbe Arthur Capel, detto Boy, e se ne innamorò perdutamente.

La prima boutique di Chanel

Con Boy, il successo di Coco iniziò a crescere: nel 1910 aprì Chanel Modes, una boutique di cappelli a Parigi, al 21 rue Cambon. Tuttavia, le aspirazioni erano sempre più grandi e il talento di Coco sempre più stravolgente così, nell’estate del 1913, Boy affittò un negozio a Deauville, in rue Gontaut-Biron e proprio lì Coco aprì la sua prima boutique, Gabrielle Chanel, dove, rivoluzionaria e controcorrente lanciò una linea di vestiti sportswear in jersey, fuori da ogni costrizione, al contrario delle donne di quel tempo che erano rinchiuse in malsani ed estrosi corsetti. Si diede quindi il via, oltre che ai cappelli, alle bluse alla marinara, agli abiti morbidi e agli accessori.

Nel 1916, spinta da Boy, Coco aprì a Biarritz la sua prima vera casa di moda in cui consacrerà anima e corpo alla ricerca della perfezione, una perfezione per lei evasiva, che le serviva per allontanare i demoni del suo passato, la stessa perfezione che la portò alla gloria eterna. E allora le gonne si accorciarono, il punto vita venne abbandonato e iniziò a privilegiare il movimento, la vestibilità e la linea a scapito dell’ornamento. Nacque il suo camicione a V, acclamato dalla stampa americana e riprodotto dalla rivista Harper’s Bazaar.

«Finiva un mondo, un altro stava per nascere. Io ero lì. Avevo l’età del nuovo secolo, e quindi è a me che si è rivolto per esprimersi attraverso la moda. I veri successi sono fatali».

Boy, poi, sposò un’altra donna con cui ebbe una figlia e in un brutto incidente stradale, nel 1919, morì.

Lo stile Chanel

Prima della morte di Boy, però, Coco lasciò il numero 21 di rue Cambon per trasferirsi al 31 dove, finalmente, si sistemò come stilista. Il suo stile anticipò i cambiamenti della società: taglio alla maschietta che rende la testa adatta ad indossare un cappello a cloche o un caschetto, imitazioni di abiti maschili, libertà, linee dritte e fluidità. A dispetto dei suoi avversari che chiamavano i loro abiti con nomi simili a sciatti libri di fiabe, lei battezza i suoi capi con dei numeri, i numeri che l’hanno sempre accompagnata nella vita.

Seppur distrutta dalla morte del suo grande amore, Gabrielle non era intenzionata a fermare la sua strada verso la gloria. Nel 1920, infatti, incontrò il granduca Dimitri Pavlovich e si lasciò conquistare dall’anima russa: tutto la incantava e così anche rue Cambon visse il suo momento russo. Senza mai allontanarsi dalla sobrietà che le aveva donato tanta fama, Coco arricchì i suoi modelli con lunghe camicie, con la cintura che richiamavano quelle dei mugiki, con abiti e cappotti ricamati e le immancabili pellicce. Inoltre, fu proprio il granduca, sulla strada per Montecarlo, durante una sosta a Grasse, a presentare Coco a Ernest Beaux, un chimico specializzato in profumi e da questo incontro nacque il celebre N°5, la quinta essenza, che Coco riconobbe come «il profumo da donna che sa di donna». Così, il 5 maggio 1921, al numero 31 di rue Cambon, lo Chanel N°5, venne lanciato ufficialmente. Qualche anno dopo, nel 1924, assieme ai fratelli Pierre e Paul Wertheimer, Coco creerà la Société des parfums Chanel. Nel 1944, durante un soggiorno in Svizzera, luogo da lei prediletto, Coco si pose una nuova sfida: creare i propri profumi. Lasciò i fratelli Wertheimer e creò altri tre profumi con il nome di Mademoiselle Chanel, tra cui il N°31, poi diventato il famoso N°19.

A partire dal 1924 Coco fu circondata da artisti di ogni calibro: da Picasso a Stravinsky, da Serge Diaghilev a Cocteau, che la chiamava il cigno, per il quale creò dei vestiti per sue opere teatrali, tra cui l’Antigone, l’Orfeo e l’Edipo Re. Coco fu musa e mecenate di questi grandi artisti, li ospitò a La Pausa, una villa mediterranea dai muri bianchi che aveva comprato a Roquebrune, vicino Montecarlo. Poi ci fu il poeta Reverdy, un amante folle e appassionato, che l’avvicinò ancor di più al mondo della poesia tanto da spingerla a scrivere dei piccoli componimenti. E poi ancora il duca di Westminster, che la portò con sé al suo castello e la cosparse di gioielli, compresa una collana formata da trenta smeraldi quadrati inframezzati da diamanti a rosetta che Coco sfoggiava con disinvoltura su semplici tubini o maglioni neri, e che poi, dopo la guerra, fece smontare per trasformarla in spille e braccialetti da offrire ai parenti. Ma nonostante le attenzioni che costantemente le dedicava, il duca capì ben presto che Coco non sarebbe mai diventata sua moglie e così tra loro rimase solo una grande amicizia che, successivamente, portò la stilista a fare la conoscenza e, in seguito, a diventare intima amica, di Winston Churchill.

Nel 1926 lanciò La petite robe noir: un semplice tubino di crêpe nero con le maniche lunghe e attillate che arriva appena sopra al ginocchio, insomma, il famoso tubino alla Chanel che Coco imporrà come antidoto al cattivo gusto e ai colori forti e chiassosi. Nel 1928, per la presentazione della collezione di alta moda, fece installare in rue Cambon un salone completamente rivestito di specchi che le permise di osservare le reazioni di tutti senza essere vista, nascosta in cima a una scala che divenne leggendaria. Fino al 1931, lo stile Chanel fu quasi prettamente ispirato all’alta borghesia inglese: giubbe dai bottoni dorati, berretti, tweed morbidi, giacche, cardigan eleganti ma comodi che, con sfrontatezza e audacia, abbellirà con collane di pietre preziose e cascate di fili di perle.

Lo sbarco in America

A quasi cinquant’anni era all’apice della sua arte, le riviste francesi e americane di Vogue veneravano i suoi modelli. L’America l’acclamava, Hollywood la desiderava. Sam Goldwyn, magnate del cinema, le propose un miliardo di dollari per vestire le sue dive e andare due volte all’anno ad Hollywood: Coco, dopo essersi fatta desiderare, accettò la proposta. Il 4 marzo 1931 arrivò a New York e l’America estasiata alla vista di quella donna di classe capì che «l’eleganza può essere sobrietà ma senza rigidità, femminile ma senza artifici» (dal libro Coco Chanel. Un profumo di mistero di Isabelle Fiemeyer). Proprio in America, Coco conobbe il suo secondo grande amore, l’unico e l’ultimo dopo Boy: lo scenografo e disegnatore Paul Iribe, il primo uomo che pensò seriamente di sposare. Paul l’accompagnava ovunque, l’assisteva nell’impossibile ricerca della perfezione. Nell’esposizione del novembre 1932, i due mostrarono il loro amore, sigillandolo con la presentazione di una parure di diamanti e platino che idearono assieme. A più di cinquant’anni, Coco accettò di sposarlo ma, durante l’estate del 1939, a La Pause, durante una partita a tennis, Iribe morì e una parte di Coco morì con lui.

Nel frattempo, si fecero avanti i primi avversari, prima fra tutti Elsa Schiapparelli che Coco ribattezzò come l’italiana che fa vestiti: l’estremo opposto dello stile Chanel. Completamente agli antipodi, i modelli della Schiapparelli erano eccentrici, i colori acidi e sgargianti: fu proprio lei, infatti, a lanciare il famoso rosa shocking. Coco guardava a quei vestiti come se fossero delle vere e proprie tragedie messe in atto e replicava, imperituramente, ad ogni collezione, il suo stile Chanel, puro, elegante, femminile.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Coco Chanel decise di chiudere i battenti, lasciando aperto solo il negozio di profumi e accessori, un po’ per patriottismo, un po’ perché non voleva trarne profitto come, invece, aveva fatto durante il primo conflitto mondiale. Successe però, qualcosa che Coco non avrebbe mai voluto accadesse: André Palasse, suo nipote, figlio dell’ormai morta Julia-Berthe, venne imprigionato. Coco, disperata, fece di tutto pur di farlo liberare ma si sa, ognuno ha un suo tornaconto e, nel caso di Coco Chanel, per la liberazione di suo nipote fu costretta dai tedeschi a partecipare ad un’operazione segreta: una certa Frau Chanel, così venne chiamata nei documenti segretati, nell’aprile del 1944, aveva il compito di avviare delle negoziazioni politiche con il suo amico Churchill, in quanto nemica della Russia e desiderosa di aiutare la Francia e la Germania i cui destini, secondo lei, erano strettamente legati. Per questo motivo, Coco Chanel fu da molti definita una spia tedesca ma le fonti sono ancora troppo poche e incerte per dare un giudizio al riguardo. Da quel momento in poi, Coco passò il suo tempo tra la Svizzera e New York, soggiornò in vari posti ma lasciò il suo cuore a Losanna, luogo in cui, secondo il suo volere, venne sepolto il suo corpo. 

La rinascita prende il nome di Chanel

Tuttavia, dopo che le ombre oscure del suo passato continuavano a tormentarla, dopo la morte di Misia Sert, sua migliore amica, sua musa e sua complice, a più di settant’anni, Mademoiselle Coco Chanel, riaprì la sua casa di moda e i suoi laboratori e iniziò a preparare la sua nuova collezione, la cui uscita, sempre per superstizione, fu stabilita per il 5 febbraio 1954. Ma se l’America si dimostrò entusiasta, con pagine e pagine di apprezzamenti e di lusinghe, se anche Marilyn Monroe alla domanda «Cosa mette per dormire, signorina Monroe?» rispose «Qualche goccia di Chanel N°5», era dalla Francia che Coco voleva riconoscimento, quella stessa Francia che si dimostrerà terribile e ripugnante nei confronti della nuova collezione Chanel.

Nonostante ciò, Coco non cambiò il suo stile, continuò a lavorare come aveva fatto fino a quel momento, lavorando direttamente sull’indossatrice, creando abiti che si adattassero alle forme, senza essere scomodi o impacciati ma eleganti e senza tempo. Così, finalmente, nel 1955 Parigi fu ai suoi piedi e lo fu ancor di più dopo la nascita del tailleur Chanel: giacca dritta, tasche, cordoncino, bottoni gioiello e accessori. E, quando il 22 novembre 1963, il mondo intero vide il sangue del presidente Kennedy assassinato sul tailleur Chanel di tweed rosa di Jackie Kennedy, la scena assunse una dimensione iconica, una risonanza mondiale. Da quel momento Coco fu consapevole che lo stile Chanel era, finalmente, arrivato a tutti.

Tuttavia, la solitudine divenne insostenibile, non riusciva più a sopportare i demoni del passato che, puntualmente, ogni notte, tornavano da lei. Era stanca di rivivere le morti e gli abbandoni, divenne bisognosa di attenzioni, persino dai suoi domestici e dalle sue collaboratrici che, alla fine, per lei erano più di una famiglia. Coco si raccontò solo a pochi intimi, in particolare a Gabrielle Labrunie, figlia di suo nipote André Palasse, gli altri preferì riempirli di storie inventate. Tuttavia, nel 1970, ripensando a quando era circondata da grandi artisti, diede il consenso per la realizzazione di una commedia musicale: Coco. Si affidò completamente ai produttori, lei nel frattempo pensava già al vestito che avrebbe indossato la sera della prima: mussola di seta o lamé nei colori più delicati. Purtroppo, però, qualche giorno prima del debutto, si svegliò con la mano paralizzata, la paralisi degli innamorati, così la definì il medico e il viaggio in America fu annullato. Nonostante la mano ormai tenuta su da una fascia elastica nera che il personale, per il suo bene, fece finta di non vedere, Coco continuò a lavorare, lanciando addirittura un nuovo profumo, il N°19, che divenne il suo preferito.

Il tragico giorno avvenne di domenica, a Coco non erano mai piaciute le domeniche.

La fine di un’epoca 

Il 10 gennaio 1971, con indosso un tailleur di tweed rifinito di cordoncini di seta rosa, un cappello e ricoperta di gioielli Gabrielle Bonheur Chanel, detta Coco, dopo pranzo, in una Cadillac nera, diede le indicazioni all’autista: arrivò all’ippodromo, sua destinazione preferita, ci si fermò per un po’, poi ripartì, costeggiò il Museo di Arte Moderna, ricordò Dalì e la tela nera con la spiga di grano che le regalò, ricordò di quando la chiamava il mio piccolo capsigragne, poi arrivò a destinazione, si fermò poco prima della porta del Ritz, dove ormai abitava dal 1934, si voltò verso Claude e gli disse di non dover andare a pranzo l’indomani. In seguito, andò in camera, si tolse la giacca, si guardò intorno accertandosi che tutto fosse al posto giusto, poi si stese sul letto e sospirò le sue ultime parole: «È così che si muore».

La cerimonia ebbe luogo alla Madeleine, con tutte le operaie, le indossatrici, i dipendenti della maison Chanel, gli amici e le alte personalità e solo dopo raggiunse il cimitero svizzero, tranquillo, come quello in cui andava da bambina. Sulla tomba, a sua grande richiesta, vennero scolpite cinque teste di leone per tenerle compagnia e, di lato, venne posta una panchina di pietra così che chi avesse voluto, sarebbe potuto andare da lei a parlare o ad ascoltarla. Non volle alcuna lapide ma una stele innalzata sopra un’aiuola di fiori bianchi: «Così, se ne ho voglia, potrò venir fuori».

Coco Chanel è la leggenda che tutti vorremmo essere, è stata la donna dalle mille sfaccettature, quella che andò avanti con il suo stile per decenni senza mai modificarlo, che non si adattò mai ai canoni di una società ma che portò avanti la sua idea di bello, un bello, quello Chanel, che ha fatto di lei un’immortale icona di stile.

Fonte immagine: Wikipedia 

A proposito di Di Costanzo Mariachiara

Mariachiara Di Costanzo, classe 2000. Prossimamente laureata in Lingue e Culture Comparate all'Università degli Studi di Napoli L'Orientale. Appassionata di moda, musica e poesia, il suo più grande sogno è diventare redattrice di Vogue.

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