Eroi della mitologia greca, chi sono i 5 più grandi ed importanti

eroi della mitologia greca

La storia degli eroi della mitologia greca più famosi, attraverso le narrazioni che ne hanno fatto i miti e gli autori dei poemi epici dell’antichità.

Il mondo classico è contraddistinto dall’essere un mondo in cui la religione ha sempre avuto un ruolo predominante in ogni aspetto della vita. In quest’ottica vanno considerati i racconti mitologici e i poemi epici. Nella loro diversità e nei loro obiettivi le due narrazioni hanno un punto in comune: la presenza degli eroi della mitologia greca, che vestono un ruolo principale.

La caratteristica peculiare degli eroi greci è quella di possedere poteri al di fuori dei comuni mortali, nonostante siano radicati alla loro natura umana. In pratica gli eroi greci si possono considerare gli antenati dei moderni supereroi e di tutti i personaggi di fantasia dotati di forza, intelligenza e abilità incomprensibili con le sole leggi della realtà: da Superman a Kenshiro, passando per Goku e Iron Man, non c’è personaggio che non abbia risentito dell’influenza degli eroi della mitologia greca, di cui ora parleremo nel dettaglio.

Eroi della mitologia greca, la storia dei più famosi

Teseo

Teseo era il figlio di Egeo, re di Atene che aveva scelto come moglie Etra, originaria della cittadina di Trezene. Poco prima che Teseo nascesse, il padre si recò da quelle parti e nascose un sandalo e una spada sotto una roccia, la quale sarebbe stata sollevata dal figlio una volta divenuto grande.
L’eroe compì la profezia e si diresse nella città d’origine per reclamare il trono. Intanto Egeo si era risposato con Medea, la quale si spaventò trovandosi davanti il giovane. Gli chiese allora di catturare il toro di Maratona, una creatura pericolosa che cacciava fuoco dalle narici. Per il giovane fu un gioco da ragazzi uccidere il toro ed Egeo riconobbe il figlio dalla spada e dal sandalo che portava con sé, cedendogli il trono.
Ma l’eroe doveva superare una prova ancora più difficile: affrontare il Minotauro, una creatura con testa taurina e corpo umano, violenta e priva di raziocinio, nata dal rifiuto del re di Creta Minosse di sacrificare a Poseidone il toro più bello di tutti con cui, spinta da una furiosa passione, si unì la moglie Pasifae. Dedalo, l’architetto di corte, fece rinchiudere la bestia in un enorme labirinto dove si consumava un crudele tributo: a quei tempi Atene era sottomessa a Creta e, in segno di sottomissione, sette fanciulli e sette ragazze venivano spediti nell’isola come offerta al Minotauro, che li divorava senza pietà.
Teseo si imbarcò sulla nave con i giovani da sacrificare e, una volta dentro il labirinto, uccise il Minotauro. Poi Arianna, la figlia di Minosse, aiutò lui e i ragazzi a uscire dalla struttura tramite un gomitolo, il cui filo segnava il percorso compiuto nel labirinto. Una storia a lieto fine, se non fosse stato per un “incidente di percorso”. Teseo si dimenticò di sostituire le vele nere della nave con quelle bianche, segnali che indicavano la riuscita dell’impresa. Egeo, credendo che il figlio fosse morto, si gettò nel mare che prese il suo nome.

Achille

Si tratta senza dubbio del più celebre tra gli eroi della mitologia greca, grazie anche all’impresa della guerra di Troia che Omero racconta nell’Iliade. Nacque dall’unione tra Peleo e Teti, una ninfa Nereide (cioè, una ninfa marina). Secondo il racconto che ne fa Stazio nell’Achilleide l’eroe fu educato dal centauro Chirone e la madre, per renderlo immortale, immerse il suo corpo nelle acque del fiume Stige ad eccezione del tallone, la parte del corpo sorretta proprio dalla ninfa. Achille fu poi nascosto presso la corte di Licomede dalla madre, la quale aveva saputo da un oracolo che sarebbe andato incontro a morte certa qualora avesse partecipato alla guerra di Troia. Egli si travestì da donna per poi venire smascherato da Odisseo, che lo costrinse a prendere parte alla guerra.
Achille subì un torto dal capo dell’esercito acheo Agamennone. Egli gli aveva sottratto la schiava Briseide e per ripicca Achille si rifiuterà di combattere fino a quando Patroclo, l’amico che lo aveva seguito, verrà ucciso dal guerriero troiano Ettore. Disperato e addolorato, Achille si fa forgiare un’armatura dal dio Efesto e si scontra in duello con Ettore, uscendone vittorioso. Non contento, però, fa scempio del suo cadavere fino a quando Priamo, re di Troia e padre di Ettore, implora l’eroe di restituirglielo per concedergli un degno funerale. Secondo alcune versioni la causa della morte di Achille fu una freccia avvelenata, forse lanciata dallo stesso Paride, che lo colpì proprio in quel tallone che era rimasto mortale. Non a caso l’espressione “tallone di Achille” viene usata nel linguaggio comune per designare il punto debole di una persona.
La storia di Achille ha avuto una grande influenza sull’arte e sulla letteratura di ogni tempo, in particolare il suo duello con Ettore. Persino uno scrittore contemporaneo come Stefano Benni ha proposto la sua versione in un racconto de Il bar sotto il mare, dal semplice titolo di Achille ed Ettore. La scena si sposta dalle epiche lande troiane alla realtà di un immaginario paesino italiano dove i due eroi, ridotti a due paesani, si lanciano in un epico duello a vino e salsiccia per contendersi… una bicicletta!

Odisseo

Un altro eroe che partecipò alla guerra di Troia è, come già detto, Odisseo. Il suo nome in greco significa “colui che è odiato” o “colui dai molti nemici”(dal greco odýssomai). A Roma fu invece conosciuto come Ulisse, ovvero “colui ferito ad un’anca”, stando alla traduzione latina, ad opera di Livio Andronico, dell’Odissea omerica.
Anche Odisseo cercò inizialmente di sottrarsi alla guerra – dato che anche per lui un oracolo aveva previsto un destino di morte – fingendosi pazzo. Ovviamente ciò non bastò a sottrarsi a suoi doveri di guerriero e partì, anche se il successo dell’impresa fu merito suo. Egli infatti ideò il celebre cavallo di legno che, con l’inganno, fu donato ai troiani in segno di pace, permettendo agli achei di entrare nel campo nemico. A guerra conclusa Odisseo si imbarcò con i suoi compagni per tornare ad Itaca, isola di cui era sovrano, dove ad attenderlo pazientemente c’erano il figlio Telemaco e la moglie Penelope, che teneva a bada i tanti pretendenti al trono.
Ma chi avrà letto e studiato l’Odissea saprà benissimo che il viaggio di Odisseo fu tutt’altro che facile. Dovette affrontare un sacco di avventure, tutte pericolose e non prive di conseguenze: il ciclope Polifemo, crudele e antropofago, che fu accecato tramite un inganno, la maga Circe e i suoi inganni, le sirene che ammaliavano i marinai con il loro canto facendo scontrare le navi sulla loro scogliera e tanti altri ancora. Alla fine Odisseo, unico superstite, tornerà a Itaca, ucciderà i pretendenti e si ricongiungerà con l’amata moglie (nonostante le scappatelle con Circe, Calipso e Nausicaa).
Odisseo è considerato, tra tutti gli eroi della mitologia greca, l’archetipo dell’uomo geniale e quello capace di districarsi anche nelle situazioni più complesse. Per questo motivo il proemio che apre l’Odissea lo designa come «l’uomo dal multiforme ingegno» per il suo spirito di adattamento e la sua innata curiosità, un tratto che nella letteratura ha sviluppato il mito della fine dell’eroe. Celeberrimo è il ventiseiesimo canto dell’Inferno, dove Dante inserisce Ulisse nella bolgia dei consiglieri fraudolenti assieme al compagno Diomede. Lì, per bocca di Virgilio, l’eroe racconta al poeta fiorentino del suo ultimo viaggio verso le Colonne d’Ercole, quello che nel medioevo era considerato il limite del mondo conosciuto. L’eroe e compagni, mossi dal desiderio di «non viver come bruti»  e di seguire «virtute e canoscenza», oltrepassano le Colonne e intravedono la montagna del Purgatorio poco prima che il mare si apra e inghiottisca la loro nave. Odisseo, in questo caso, simboleggia la troppa fiducia nelle proprie capacità che porta l’uomo a peccare di superbia.
Suggestivo è anche il racconto che ne fa Giovanni Pascoli ne L’Ultimo viaggio, un piccolo poema in quattordici canti contenuto all’interno dei Poemi Conviviali del 1904. Qui Odisseo, oramai invecchiato e prossimo alla morte, per l’ultima volta prende il mare e ripercorre tutti i luoghi che ha visitato nel suo mitico viaggio di ritorno. Ma si accorge che tutte le creature che ha incontrato non esistono e se ne accorge quando, in preda al delirio, va a schiantarsi con la propria nave su alcune rocce, scambiando il rumore delle onde che si infrangono per il canto delle sirene.

Eroi della mitologia greca famosi: Giasone e gli Argonauti

Figlio di Esone, re di Iolco, e di Alcimede, Giasone divenne famoso per essere il capo della spedizione degli Argonauti, le cui vicende sono raccontate principalmente nel poema di Apollonio Rodio Le argonautiche. All’origine dell’impresa vi era la reclamazione del trono da parte dello zio di Giasone, Pelia. Questi disse che gli avrebbe ceduto il trono qualora fosse riuscito a ritrovare il vello d’oro, il manto di un ariete dotato di enormi poteri custodito nella Colchide. L’eroe si imbarcò così su una nave assieme ad altri cinquanta eroi detti Argonauti (dal nome della suddetta nave, Argo). Tra di essi va ricordato Orfeo, il mitico cantore della Tracia che riuscì a salvare i suoi compagni ammaliati dal canto delle sirene intonando con la sua lira una melodia più dolce.
Giunto nella Colchide, Giasone riesce a conquistare il vello d’oro grazie anche all’aiuto di Medea, figlia del governante locale Eeta. La donna si innamora dell’eroe, che tuttavia non ricambia i sentimenti. Egli infatti considera Medea solo un mezzo utile ai propri scopi che, una volta compiuti, può anche non servire più.
Anche un’altra donna si innamorò di Giasone: Isifile, regina dell’isola di Lemno presso cui gli Argonauti fecero tappa durante il loro viaggio. Venne letteralmente sedotta e abbandonata dall’uomo con un bambino in grembo e per questo motivo Dante, nel diciottesimo canto dell’Inferno, lo inserisce nella prima delle dieci malebolge, quella dei seduttori. Egli, rispetto agli altri dannati, affronta il supplizio eterno fiero e incurante delle frustate dei diavoli, ma ciò non basta a lavare via la propria colpa.

Eracle

Chiamato dai romani (e dagli amici) Ercole, è il prototipo dell’eroe per eccellenza: grande, muscoloso e forte. Egli fu il risultato di una delle tante “scappatelle” di Zeus, questa volta con la mortale Alcmena. Era (o Giunone) ovviamente si infuriò e cercò di sbarazzarsi del neonato mettendo nella sua culla due serpenti. Questi però già possedeva un’enorme forza fisica, avendo bevuto il latte materno della dea con un inganno, dato che li afferrò per la gola e li strozzò.
Raggiunta la maturità Eracle ebbe in sposa Megara, figlia del re di Tebe Creonte. Ma Era instillò in lui una scintilla di pazzia che lo condusse a uccidere la moglie e i figli nati dal loro matrimonio. Così, allo scopo di eliminare l’onta con cui questo terribile atto aveva macchiato la propria anima, si mise al servizio del re Euristeo il quale, avendo consultato l’oracolo di Delfi, gli impose di superare dodici prove: le famose dodici fatiche.

Ovviamente queste prove erano difficili, degne degli eroi della mitologia greca. Dall’uccidere il leone di Nemea, all’apparenza invincibile e la cui pelle fu poi indossata da Eracle, allo scontrarsi con mitiche creature quali l’Idra (un mostro dalle nove teste che si rigeneravano una volta tagliate) e Cerbero, il mastino infernale custode dell’Ade che fu temporaneamente portato sulla Terra dall’eroe. Ma c’era anche spazio per una prova molto imbarazzante: pulire in un solo giorno le stalle del re Augia, colme di letame e maleodoranti. Per fare ciò Eracle deviò il corso del fiume Alfeo, ripulendo le stalle in un batter d’occhio.
Anche per Eracle il destino ultimo fu la morte. Nonostante la natura semidivina, egli morì quando la moglie Deinara lo avvolse con un mantello imbevuto del sangue di un centauro ucciso dall’eroe stesso. Una volta morto, egli fu accolto nell’Olimpo ed ebbe in sposa la dea della gioventù Ebe.
Si potrebbe parlare per ore di come il personaggio di Eracle abbia costituito l’archetipo dell’eroe grande e forte, capace di imprese straordinarie e a tratti invincibile. Non a caso Gabriele d’Annunzio creò per il film di Giovanni Pastrone Cabiria del 1914 il fortunato personaggio di Maciste, un gigante pronto a combattere le ingiustizie e a difendere i più deboli. Non dimentichiamo poi le varie opere dedicate al figlio di Zeus e Alcmena: dal film Disney Hercules del 1997, dove il nostro semidio è un giovane trattato alla stregua di un moderno atleta (con tanto di merchandising) alla mitica serie tv degli anni ’90, rimasta nel cuore di molti appassionati.

Fonte immagine copertina per l’articolo sugli eroi della mitologia greca : https://pixabay.com/it/photos/eracle-ercole-scultura-bull-1374830/

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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