Quinto Sereno Sammonico si presenta come una delle personalità più problematiche del panorama culturale dell’età dei Severi, la nuova dinastia nata dalle ceneri dei governi effimeri, seguiti all’uccisione di Commodo, all’insegna di un’instabilità politica e sociale che inevitabilmente proietta i propri esiti nella produzione letteraria, di prevalente carattere rielaborativo.
Il singolare testo di argomento medico in esametri a lui ascritto, il Liber Medicinalis, ben s’inserisce nel sempre più vivo interesse per l’ars medica che si sviluppa a partire dall’età imperiale. Dal II secolo, infatti, Roma diviene polo di attrazione per numerosi eruditi di provenienza greca: qui i progressi della medicina alessandrina favoriscono l’emergere di figure professionali, di scuole mediche, in primis la Schola medicorum sull’Esquilino, e la necessità di norme deontologiche. Ciò crea anche le condizioni per la nascita di una letteratura medica e farmacologica in lingua latina.
Riguardo al suo autore, le notizie offerte dalle fonti antiche sono utili a distinguere due personaggi omonimi, presunti padre e figlio: il primo, vissuto al tempo di Settimio Severo (193-211), è dipinto come un dotto ricercatore di curiosità antiquarie, in intimità con la corte e ricco di reputazione a Roma, assassinato per ordine di Caracalla; circa il secondo personaggio, gli scritpores dell’Historia Augusta riferiscono che fu lo storico di Alessandro Severo (222-235) e precettore di Gordiano II, cui cedette in eredità la ricca biblioteca del padre omonimo.
Il Liber medicinalis: un ricettario medico in versi
Il testo, trascurato nell’antichità e nel primo Medioevo, sembra invece aver goduto di un’improvvisa fortuna e diffusione a partire dal IX sec., in connessione con la trascrizione commissionata da Carlo Magno; esso si presenta come un ricettario medico in esametri suddivisi in capitoli, che raccoglie i rimedi della farmacopea romana proposti in rapporto ai vari organi nell’ordine a capite ad calcem, secondo la classificazione nosologica dei ricettari attestata in ambito latino. In effetti, Quinto Sereno si inserisce in una produzione di ricettari particolarmente fiorente a partire dal I secolo, in lingua sia greca che latina; tuttavia, egli innova la materia farmacologica e divulgativa mediante la versificazione del testo, distintiva ma non peculiare, perché in ambito greco è possibile riscontrare alcuni testi farmacologici in versi, come i Theriaká e gli Alexiphármaka di Nicandro di Colofone; in ambito latino, il precedente più autorevole di un testo di argomento medico-farmacologico sviluppato in poesia è il De medicamine faciei foeminae di Ovidio, di cui restano soli 100 distici elegiaci. Inoltre il Liber medicinalis si segnala come prodotto di un’epoca di complessiva “stanchezza” della poesia, che rielabora per lo più temi e argomenti della poesia classica con una marcata tendenza a ricercare raffinati tecnicismi e sperimentalismi metrici, e di sviluppo di una prosa manualistica e nozionistica, riguardante discipline di interesse pratico e tecnico, di tradizione orale, che sono così codificate.
Quinto Sereno Sammonico e la medicina popolare
Attraverso frequenti puntualizzazioni sulla sua esperienza empirica, che è comprovata anche dalla prescrizione di una splenectomia, ovvero di una pratica paleochirurgica di asportazione della milza, Quinto Sereno vuole ribadire il rigore specialistico delle sue proposte terapeutiche; tuttavia le incoerenze mediche, la mancanza di una posologia e soprattutto le frequentissime reminiscenze classiche rivelano la sua prevalente identità di poeta ed erudito e la preponderante finalità letteraria del testo, che prevale sull’intento scientifico. Sereno vuole far apprezzare l’importanza di una medicina semplice, domestica, di stampo catoniano e di antica tradizione. In effetti l’autore, mediante gli ingredienti proposti nel suo ricettario, mostra d’inserirsi in una secolare tradizione di medicina popolare, fondata sull’utilizzo di erbe curative, organi animali, fumi di oggetti combusti, amuleti e formule magiche. Si tratta di ingredienti tipici di un sapere medico prescientifico e preletterario, proprio di una cultura contadina, basato sulla terapia domestica del pater familias trasmessa oralmente, sulla medicina teurgica di ascendenza indigena ed etrusca e su un approccio terapeutico magico, che valorizza i prodotti del suolo italico e concede spazio all’impiego di formule incantatorie, riflesso di livelli antichi di pratiche in uso nell’Italia protostorica. In particolare, il Liber medicinalis conserva la prima attestazione della formula abracadabra, prescritta come amuleto per la febbre semiterzana.
In conclusione, il Liber medicinalis nasce dalla particolare combinazione tra un poemetto didascalico nella forma e una trattazione tecnico-scientifica nel contenuto: un prodotto di sintesi tra il fiorire dei ricettari medici e la marcata erudizione poetica di II-III secolo, distintivo di un’età di cambiamenti socio-culturali.
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