Circa 15.000 anni fa si verificò un evento vulcanico eccezionale nell’area flegrea. L’eruzione del Tufo Giallo Napoletano. Fu un evento imponente ed è considerato secondo per potenza solo alla devastante eruzione dell’Ignimbrite Campana. Questa eruzione lasciò un segno indelebile, plasmando il paesaggio che oggi conosciamo tra Napoli e i Campi Flegrei.
Un mondo scomparso sotto le ceneri
Proviamo a immaginare come appariva la regione prima di questo sconvolgimento. Il mondo era diverso. Il livello del mare si trovava molto più in basso di oggi. Ischia e Procida non erano isole separate ma unite in un’unica penisola e Capri era ancora saldata alla penisola sorrentina. La linea di costa vicino a Napoli era ben più arretrata verso sud. Qua e là spuntavano colline vulcaniche, testimoni di un’attività che durava da almeno 20.000 anni.
Tufo Giallo Napoletano: l’eruzione che cambiò tutto
L’eruzione vera e propria si è scatenata nella parte nord-orientale dei Campi Flegrei, e non è stato un evento semplice: le sue dinamiche sono state potenti e piuttosto complesse. Un elemento chiave che ha fatto la differenza è stato lo scontro esplosivo tra il magma caldissimo e la tanta acqua che si trovava in superficie. Questo tipo di interazione, che gli esperti chiamano freatomagmatica, ha aumentato moltissimo la forza dell’eruzione. Si calcola che siano stati lanciati fuori tra i 30 e i 50 chilometri cubi di magma. Immaginate poi un’enorme nuvola di ceneri e altro materiale vulcanico che ha coperto una zona gigantesca, arrivando fino alla Piana Campana, alle prime montagne dell’Appennino e depositandosi persino giù nel Golfo di Napoli.
La Caldera del Tufo Giallo Napoletano
La caldera ha una forma quasi ellittica e oggi ingloba anche una parte del Golfo di Pozzuoli. Sulla terraferma, l’unica traccia evidente del suo bordo è la collina di Posillipo, che altro non è che l’antica scarpata di faglia nata dal collasso. Per ricostruire l’intera struttura, soprattutto la parte sommersa, i geologi si affidano a rilievi del fondale marino, a indagini geofisiche e allo studio della distribuzione dei centri eruttivi più giovani sorti dopo l’evento.
Al centro di questa struttura si trova il terrazzo marino della Starza, una zona dove, durante il dominio romano, furono costruite moltissime ville con vista panoramica sul golfo. Oggi è una collina alta circa 45 metri sul livello del mare, ma un tempo era sott’acqua. Rappresenta il pavimento della caldera che, dopo l’eruzione, ha iniziato a sollevarsi (un fenomeno chiamato risorgenza). Studi recenti indicano che nella zona centrale della caldera i depositi sommersi del Tufo Giallo Napoletano si sono sollevati di circa 100 metri: un chiaro segno che l’attività geodinamica dei Campi Flegrei è tutt’altro che conclusa.
Un’eredità che vive ancora oggi
L’eruzione del Tufo Giallo Napoletano non è solo un capitolo affascinante della storia geologica terrestre. Ha lasciato un’impronta indelebile sul paesaggio, sulla natura e sulla stessa memoria geologica dei Campi Flegrei. Studiare questo evento è fondamentale per capire i rischi vulcanici presenti nell’area napoletana e per tenere sotto controllo uno dei sistemi vulcanici più dinamici e attentamente monitorati del pianeta.
Fonte immagine: archivio personale