Sportwashing: cos’è e tre casi

Sportwashing: cos'è e tre casi

Quando dei calciatori hanno deciso di inginocchiarsi contro il razzismo o di indossare una fascia da capitano di color arcobaleno ci sono state delle critiche perché «la politica deve restare fuori dallo sport». Tale critica ci sembra essere sbagliata visto il ruolo sociale che lo sport ha avuto ed ha ma anche perché difficilmente è presente nel caso dello sportwashing.

Lo sportwashing è una pratica adottata da persone, gruppi, organizzazioni e paesi la cui reputazione risulta macchiata da una o più azioni e quindi si decide di utilizzare lo sport per ripristinare la propria immagine  o semplicemente per spostare l’attenzione e dissimulare la realtà. Difatti, tale strategia è adottata soprattutto da quei governi che, in modi differenti, violano i diritti umani e se ne parla soprattutto a proposito dell’operato dei paesi arabi, ma in realtà, come si evince da uno dei tre casi qui riportati è una pratica molto vecchia.

Olimpiadi 1936

Quando venne presa la decisione che i Giochi della XI Olimpiade avrebbero avuto luogo a Berlino era il 1931 e la Germania era ancora una repubblica democratica. La presa di potere di Hitler avvenne nel 1933 e nonostante le richieste di molti paesi, il Comitato Olimpico Internazionale non cambiò la sede dei successivi giochi. Dall’altra parte lo stesso Hitler era restio all’organizzazione di tale evento nel proprio paese ma cambiò idea quando alcuni dei suoi collaboratori gli fecero notare l’opportunità che tale evento rappresentava a livello internazionale: un mezzo propagandistico non solo dell’immagine di una nuova Germania ma anche dell’ideologia nazista, naturalmente nascondendo tutte le violazioni messe in atto dal governo tedesco, dalle leggi alle persecuzioni.

Mondiali di calcio 2018

Alcuni vedono nel Coppa del mondo del 2018 un altro caso di sportwashing. La competizione si è svolta in Russia e l’assegnazione è avvenuta nel 2010, tuttavia si può ipotizzare che tale evento sia stato utilizzato per spostare l’attenzione dalla politica estera attuata dal paese ospitante: nel 2014, in seguito all’Euromaidan, ebbero luogo delle proteste filorusse nella regione della Crimea e gruppi di soldati russi privi di mostrine presero il controllo dei centri amministrativi della regione; ci fu poi l’invio ufficiale delle forze armate russe e un referendum con cui la regione è stata annessa alla Russia e non ritenuto valido dall’Assemblea Generale dell’ONU, difatti è stato solo l’inizio dello scontro tra i due paesi. Come tutti sappiamo, la situazione è degenerata nel 2022 con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Mondiali di calcio 2022

Nel dicembre del 2010 viene annunciato che la Coppa del mondo del 2022 avrebbero avuto luogo in Qatar, caso più recente di sportwashing. Ospitare un evento di tale portata non significa solo benefici e ricavi dal punto di vista economico ma, come si evince anche dagli altri casi, rappresenta anche un contributo positivo e significativo all’immagine di quel paese. Le violazioni dei diritti umani all’interno del paese sono ben documentate e riportate da Amnesty International, ma qui ci limitiamo a menzionare i lavoratori e le lavoratrici migranti non pagati e, come si ipotizza, i migliaia di loro morti durante la costruzione degli stadi. Tutto ciò e le conseguenti contestazioni non sono state sufficienti e il mondiale si è giocato tra le diverse città qataresi fino alla vittoria dell’Argentina: l’immagine emblematica della competizione di Leo Messi che alzava la coppa indossando il bisht, un tradizionale mantello arabo, appoggiato sulle sue spalle dall’attuale emiro Tamin bin Hamad al-Thani.

Questi sono solo tre tra i casi più rappresentativi di sportwashing, ma si potrebbe dire che anche l’acquisto da parte di paesi arabi di squadre come il PSG, il Manchester City e il Newcastle siano un esempio di sportwashing o ancora l’acquisto di calciatori come Ronaldo, Benzema e altri che ha portato tanta attenzione al campionato arabo. Questi paesi acquisiscono potere ma le violazioni dei diritti umani non si fermano.

Fonte immagine di copertina: Pixabay. 

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