Intervista a Giuseppe Galato e a uno dei suoi tanti alter ego, SOLO

Giuseppe Galato

Giuseppe Galato e Solo: chi è l’uno e chi è l’altro? Viaggio nell’universo di una delle personalità più influenti del Cilento

In Cilento Giuseppe Galato è un’istituzione: musicista, scrittore, giornalista, artista poliedrico. Non c’è una sola cosa che Giuseppe Galato non abbia fatto. La sua è una delle voci più influenti di tutto il Cilento: riesce a mescolare acume, intelligenza e ironia, e soprattutto è apprezzato dal pubblico per la sua personalità brillante e il suo carisma.
Nessuno saprebbe raccontare il suo universo meglio di lui in persona e quindi gli diamo la parola, in questo viaggio che trascende la sola persona di Giuseppe Galato e s’incarna nelle fattezze di uno dei suoi tanti alter ego, chiamato SOLO.

Innanzitutto partiamo dalla domanda più semplice (o più difficile, “conoscendoti”). Chi è Giuseppe Galato?
Dopo essere stato un giovane vecchio, Giuseppe Galato è, allo stato attuale, un vecchio giovane. È una persona che cerca di guardare al mondo con occhio critico, secondo i propri metri, ma con distacco e fare cinico. Per evitare delusioni, sfrutta il sarcasmo.

E chi è SOLO?
È uno dei (vari) alter ego di Giuseppe Galato. È un personaggio solitario, e che della solitudine ne ha fatto condizione propria, per poter sviluppare un discorso musicale personale.

Come ti è venuta in mente l’idea di un progetto solista? E quando?
Le canzoni ce le avevo da un bel po’. Ho cercato di mettere su una band, ma con scarsi risultati. Quindi, dopo vari tentativi, e annoiato dal non riuscire a trovare dei compagni di viaggio, ho deciso di fare da me.

Cosa troviamo di diverso in questo progetto rispetto alle altre avventure musicali che hai intrapreso?
Rispetto alla The Bordello Rock ‘n’ Roll Band, più o meno tutto: con loro faccio esclusivamente rock ‘n’ roll / r ‘n’ b / punk. Ha più punti in comune con i GianO, e cioè un’attitudine all’eclettismo, per cui non mi pongo limiti sui generi musicali che vado ad affrontare, facendo un po’ quello che mi gira per la testa, senza pensare “devo essere rock”, “devo essere pop”.

Quali sono le tue influenze?
Non basterebbe un articolo intero. Per questo ultimo brano di sicuro i Rolling Stones di “Their Satanic Majesties Request”, i Beatles più psichedelici e i Pink Floyd di Syd Barrett. Ma immagino che molto lo debba ai Radiohead e ai Muse, in generale, guardando agli altri miei brani.

Parlaci di “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)”, dicendoci cose che non hai mai detto a nessuna rivista.
Nessuno mi chiede mai del testo. Quindi, parliamo del testo. Il testo parla di schizofrenia: è diviso in due parti, la strofa in cui viene ritratto il protagonista in uno stato delirante, bloccato nel suo letto che vede la sua ombra ballare, e il ritornello, completamente distaccato dalla strofa, dove si parla di questo fantomatico pianista, che però non c’è. Infatti, nel brano il pianoforte compare solo dopo che il protagonista chiede “sta suonando, ma dov’è il pianoforte?”, per poi concludere, nel verso finale, che “può suonare anche senza pianoforte”. Fa parte un po’ di una visione solipsistica del mondo, per cui tutto quello che vediamo, percepiamo, è frutto della nostra mente (il sottotitolo del brano, in questo senso, è una sorta di indizio su come interpretarne il testo).

Cosa ne pensi della situazione attuale della musica rock in generale, nel nostro panorama italiano?
“Rock” è un termine così generico che è difficile dare una risposta. Di sicuro abbiamo avuto una scena molto interessante, e nel sottobosco continuano ad esserci un sacco di artisti validi, così come tanti altri che non valgono niente, dal punto di vista artistico. Il problema in Italia è che il rock (a esclusione della parentesi progressive negli anni ’70) non ha mai avuto gli stessi spazi e le stesse possibilità che gli si danno all’estero, nel senso che quando una band rock arriva(va) in mano a una major, la major cercava di modificarne il suono, per renderlo più radiofonico, piuttosto che “spingere” la band in modo da far interiorizzare quelle determinate sonorità al pubblico, educandolo (che brutto termine: mi sa sempre di fascista). In Italia trattiamo le persone, il pubblico, come dei mentecatti, per cui non si osa mai. C’hanno ragione? Forse si, se penso a Grignani che, dopo l’esordio con “Destinazione Paradiso” (che ha una produzione pessima, da pop becero da classifica, quindi apprezzatissimo dal largo pubblico), ha fatto due album alternative rock come “La fabbrica di plastica” e “Campi di popcorn”, che non sono andati per niente bene. Però il discorso, a mio avviso, torna sempre lì, e cioè che se chi ha il potere, in questo caso le etichette e i media collegati, non sdogana un certo modo di ascoltare la musica, saremo sempre legati a delle sonorità banali.

Cosa ne pensi delle nuove correnti, ,come ad esempio la trap? L’ascolti?
Non l’ascolto ma ho ascoltato alcune cose interessanti. Ma, in line di massima, i generi ripetitivi mi scocciano, e la trap (almeno, per come la facciamo in Italia) è un mero copia/incolla continuo: stesse sonorità, stesse ritmiche, stesso flow, stesse tematiche (spesso talmente banali da farmi venire l’orticaria): sembra di ascoltare sempre lo stesso artista che fa sempre la stessa canzone. Stesso discorso per l’itpop, eh.

Cosa hai provato a vedere la tua faccia su “Prog”, magazine inglese con un pubblico gigantesco?
Beh, grande soddisfazione! Diciamo che non me l’aspettavo nemmeno: gli ho mandato il video, proponendogli di lanciarlo in anteprima sui loro canali, senza sperarci troppo (ma io sono di quelli che pensano “Meglio provarci e avere un rifiuto che non provarci e avere un rimpianto”), e loro hanno accettato. FIGATA!

Cosa consiglieresti a un musicista che vuole provare a farsi sentire senza fare rap, hip hop o trap?
Ma credo che il “farsi sentire” sia qualcosa di troppo sopravvalutato, questa necessaria corsa al successo. Il consiglio che posso dare a chi vuole fare arte, è di fare ciò che più piace (oltre a studiare un sacco, ascoltando quanta più musica possibile e leggendo quanti più aneddoti si può, per quanto riguarda tecniche di registrazione e produzione). Se poi lo scopo è avere visibilità, il successo, queste menate qui, andate ad X-Factor. O buttate i soldi comprandovi le sponsorizzate.

Chiudiamo con i progetti futuri.
Sto chiudendo due nuovi brani, uno dream pop /dance, l’altro alternative rock sullo stile dei Radiohead più chitarristici e dei primi Muse, che spero di far uscire quanto prima. Intanto, lavorerò ad altri brani per fare un album che uscirà l’anno prossimo.

Fonte immagine: https://www.cilentotime.it/dont-shoot-the-piano-player-its-all-in-your-head-il-nuovo-singolo-rock-del-cilentano-giuseppe-galato-in-arte-solo/

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A proposito di Monica Acito

Monica Acito nasce il 3 giugno del 1993 in provincia di Salerno e inizia a scrivere sin dalle elementari per sopravvivere ad un Cilento selvatico e contraddittorio. Si diploma al liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania e inizia a pubblicare in varie antologie di racconti e a collaborare con giornali cartacei ed online. Si laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e si iscrive alla magistrale in Filologia Moderna. Malata di letteratura in tutte le sue forme e ossessionata da Gabriel Garcia Marquez , ama vagabondare in giro per il mondo alla ricerca di quel racconto che non è ancora stato scritto.

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