Negli ultimi anni, la realtà in cui viviamo ci sta abituando a confrontarci con queste semplici e spaventose parole: violenza e revenge porn. Attribuiamo, in maniera quasi spontanea, la parola violenza ad aggressioni fisiche, inconsapevoli di quanto anche la violenza psicologica e quella indotta dalla tecnologia siano parte integrante delle nostre vite. Se da una parte l’uso diffuso dei social ha permesso di ridurre le distanze, dall’altra ha provocato la diffusione di fenomeni negativi, tra cui proprio il revenge porn.
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Cos’è il revenge porn e perché avviene
Il termine revenge porn significa letteralmente “vendetta porno” e descrive qualsiasi immagine o video sessualmente esplicito creato e/o distribuito senza il consenso della persona ritratta. Comprendere cosa spinga una persona a condividere materiale intimo di un’altra sarebbe complesso, perché non esiste una ragione che possa giustificare un atto simile. Vendetta, ricatto, guadagno economico, fragilità e mancanza di empatia possono spingere una persona a distruggere la vita di qualcun altro.
Il reato secondo la legge italiana (Codice Rosso)
Molte persone sono ignare del fatto che il revenge porn sia un reato specifico. In Italia, la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti è punita dall’articolo 612-ter del Codice Penale, introdotto con la legge n. 69 del 2019, nota come “Codice Rosso“. La legge prevede la reclusione da uno a sei anni e una multa da 5.000 a 15.000 euro per chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda immagini o video a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso delle persone rappresentate. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da una persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. Il testo completo della normativa è consultabile sulla Gazzetta Ufficiale.
Il caso di Phica e l’impatto mediatico
Un caso che ha contribuito ad aumentare la consapevolezza sul fenomeno in Italia è quello di “Phica”, una giovane donna di Napoli. La sua storia, emersa pubblicamente, ha mostrato con forza la violenza psicologica e la gogna mediatica che le vittime subiscono quando i loro video privati vengono diffusi online senza consenso. Il coraggio di esporsi e di raccontare la sua esperienza ha acceso un faro sulla necessità di una risposta sociale e legale più forte, evidenziando come la condivisione di materiale intimo non sia un “gioco” ma un atto di profonda violenza.
Quali sono le conseguenze per le vittime
Spesso quando si parla di violenza e revenge porn, si commette il grave errore di colpevolizzare la vittima. Vi è, infatti, la tendenza a non considerare le reali conseguenze morali e fisiche. Gran parte delle vittime sviluppa sintomi da stress post-traumatico, ansia, depressione e attacchi di panico. Il timore di essere nuovamente oggetto di attacco e giudizio sviluppa profonda sfiducia verso se stesse e preoccupazione per la propria sicurezza personale. Talvolta, le vittime diventano bersaglio di stalking da parte di sconosciuti, sono costrette ad abbandonare la propria città o vengono allontanate dal posto di lavoro.
Il reato: cosa dice la legge | Le conseguenze: l’impatto sulla vittima |
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È una diffusione illecita di materiale intimo. | Causa profonda violazione della privacy e della dignità. |
È punito con la reclusione da 1 a 6 anni. | Genera ansia, depressione e disturbo da stress post-traumatico. |
È punito con una multa da 5.000 a 15.000 euro. | Porta a isolamento sociale e stigmatizzazione. |
È un’aggravante se commesso da un partner o ex partner. | Può portare a stalking, perdita del lavoro e necessità di cambiare vita. |
Cosa fare se si è vittime di revenge porn
È fondamentale sapere come agire. La prima cosa da fare è rivolgersi immediatamente alla Polizia Postale e delle Comunicazioni, l’organo specializzato in reati informatici. Sul loro sito ufficiale è possibile trovare informazioni e sporgere denuncia. È importante non cancellare le prove (chat, immagini, link) ma conservare tutto il materiale per la denuncia. In parallelo, è importante cercare supporto psicologico per affrontare il trauma. Jean de la Fontaine affermava: «Bisogna aiutarsi l’un l’altro, è legge di natura». Chiedere aiuto è il primo passo per far valere i propri diritti.
Fonte immagine di copertina: Pixabay
Articolo aggiornato il: 17/09/2025