Bilinguismo: un alleato contro la demenza

Demenza e bilinguismo

La demenza senile è una malattia neurodegenerativa che colpisce ogni anno milioni di persone. Solo in Italia si stima che un milione di pazienti soffra di demenza e che circa 600.000 siano affetti da demenza di Alzheimer. La scienza continua, ormai da decenni, i suoi studi in materia, con l’obiettivo di rallentare la comparsa di questa terribile condizione. Recentemente si è scoperto un improbabile alleato nella lotta contro la demenza: il bilinguismo.

Cosa vuol dire essere bilingue?

Essere bilingue significa essere in grado di parlare e comprendere due lingue. Solitamente la lingua materna, ossia la lingua che impariamo e ascoltiamo fin dai primi giorni di vita, viene definita come “Lingua 1” o, più brevemente, L1 mentre l’idioma appreso successivamente alla prima infanzia viene chiamato “Lingua 2” o L2. Chiaramente parlare più di una lingua consente al cervello di svolgere un’intensa ginnastica: il passaggio continuo da una lingua all’altra attiva diverse aree del cervello che invece, nel caso dei monolingue, vengono utilizzate raramente. Tutt’oggi gli scienziati continuano a studiare il cervello dei bilingue, al fine di comprendere il meccanismo cerebrale che permette il passaggio repentino dalla L1 alla L2.

Ma com’è possibile che il bilinguismo possa effettivamente rallentare la comparsa della demenza? 

Lo studio in materia, pubblicato sul The New England Journal of Medicine, ha dimostrato che nelle persone bilingue la demenza tende a comparire in media 4,5 anni più tardi rispetto ai monolingue. Ma perché questo accade? Il cervello di chi parla più di una lingua lavora diversamente: per passare da un idioma all’altro, l’encefalo deve essere abile nel filtrare le informazioni necessarie e scartare invece quelle superflue; in questo modo i processi cognitivi vengono costantemente allenati, favorendo una migliore elasticità mentale. Inoltre il bilinguismo ha un forte impatto anche sulla neuroplasticità del cervello.

Cos’è la neuroplasticità?

Con neuroplasticità si indica la capacità del cervello di creare nuove connessioni neuronali e di modificare quelle esistenti in risposta all’apprendimento. Tale fenomeno, nonostante si verifichi in scala maggiore durante l’infanzia, persiste per tutta la vita, anche nell’età adulta. Ebbene, il cervello dei bilingue deve continuamente adattarsi e riconfigurare le proprie connessioni per gestire entrambe le lingue, il che favorisce la neuroplasticità. Ad esempio, quando un soggetto bilingue ha necessità di comunicare nella L2, deve necessariamente sopprimere la sua lingua materna, per evitare interferenze linguistiche della L1 nel suo discorso. Inoltre è importante sottolineare che l’effetto positivo del bilinguismo sulla neuroplasticità non si limita all’infanzia: se un uomo o una donna adulta decidono di intraprendere un percorso di apprendimento di una seconda lingua, possono beneficiare della plasticità cerebrale, anche se il processo potrebbe essere più difficoltoso e richiedere più tempo. 

L’allenamento constante del cervello è il primo passo per cercare di rallentare la demenza è imparare un’altra lingua, ad oggi, sembra la palestra più efficace. 

Fonte immagine: pixabay

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