Disco Boy di Giacomo Abbruzzese | Recensione

Disco Boy scena dal film (Credits: Lucky Red)

Disco Boy, la recensione dell’opera prima di Giacomo Abbruzzese con Franz Rogowski, Morr N’Dyaye, Laetitia Ky, Leon Lucev e Matteo Olivetti

È pronto a correre dei rischi?

Chi ha paura resta a casa

Aleksei in Disco Boy

È in questa citazione che Giacomo Abbruzzese condensa tutto il valore simbolico della sua opera prima. Il bielorusso Aleksei (Franz Rogowski) e il rischio di attraversare l’Europa per approdare nella Parigi capitale della Francia, il rischio di perdere tutto e di lasciar andare per sempre il suo migliore amico, il rischio di arruolarsi nella Legione Straniera per combattere la guerra contro il nemico. E il rischio di chi non ha paura di pagarne le conseguenze. Disco Boy è il salto qualitativo che il cinema italiano stava aspettando da tanto tempo.

Disco Boy, l’opera prima di Giacomo Abbruzzese tra Europa e Italia

È una lotta armata Disco Boy. Armi puntate contro il villaggio nigeriano capitanato dal leader JomoMorr N’Dyaye nel suo primo ruolo in un film ‒ che difende il suo habitat dallo sfruttamento petrolifero. Carabine e mitragliatrici puntate contro i rivali e sé stessi. E per legittima difesa due occhi, uno di un colore e uno di un altro, guardano per l’ultima volta la violenza del soldato che uccide il disco boy che in un’altra vita voleva ballare piuttosto che imbracciare un fucile. È qui che comincia ad albergare nella parte più profonda dell’anima un latente lato oscuro. Che Tormenta. Stravolge. Accarezza malignamente i sensi del corpo, divorandoli. Inizia la metamorfosi: la morte si trasforma in vita. Rinasce. Desidera. Gli occhi di colore diverso si intensificano. Jomo diventa Aleksei. Aleksei diventa Jomo. Insieme trascinano gli echi ignoti della guerra più reconditi.

Disco Boy è la visione atipica di amalgama tra due carnefici che diventano vittime del medesimo annichilire. Due soldati appartenenti a due reggimenti antitetici crollano, muoiono e si reincarnano sotto la ponderata cinepresa di Giacomo Abbruzzese che inquadra la bravura di Franz Rogowski ‒ reduce dal successo di Freaks Out (2021) di Gabriele Mainetti ‒ e di Morr N’Dyaye ben in parte nella sua prima veste da co-protagonista. Ma è nei suoi colori a tratti allucinanti, nelle sue inquadrature in soggettiva a infrarossi con qualche sintomo disturbante, nella sua bellissima fotografia, nei suoi riferimenti al cinema europeo e, in particolare, al gioco di simbolismo psichedelico tipico del cinema danese di Nicolas Winding Refn, nella coinvolgente colonna sonora firmata dalla stella della musica elettronica Vitalic e nella sua ombra utopica nell’altro che Disco Boy trova tutta la sua forza espressiva. Una forza che ha invaso il cinema italiano, elevandosi a unico film italiano ‒ e opera prima, non dimentichiamolo ‒ presentato in concorso per l’Orso d’Oro al 73⁰ Festival Internazionale del Cinema di Berlino e vincitore dell’Orso d’Argento per il Miglior Contributo Artistico: la Fotografia.

Un inizio scoppiettante per un giovane regista conosciuto per i suoi documentari e cortometraggi. Che sia l’inizio di una carriera prolifica per un nuovo autore italiano che ha osato e che è stato ripagato.

VOTO: 8/10

Martina Corvaia

Immagine: Lucky Red

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