Spaccanapoli times di Ruggero Cappuccio: tra umorismo e malattia

Spaccanapoli times

Spaccanapoli Times di Ruggero Cappuccio (scenografie di Nicola Rubertelli), andato in scena per la prima volta nel 2015, è un’opera in cui la comicità vela il dramma umano di fronte alla globalizzazione, che non tiene conto delle varie identità delle persone; Spaccanapoli Times rappresenta, in questo senso, il trampolino di una riflessione per riconquistare, magari in un futuro remoto, il proprio spazio nei limiti di un mondo sempre più soffocante.

Spaccanapoli Times di Ruggero Cappuccio: l’identità e l’inconscio familiare

«Non si può toccare un cuore senza ferirlo». Un Moderno/Giuseppe Acquaviva

Sin dalla prima scena Spaccanapoli Times pone innanzi al pubblico la scissione dell’individuo con la società di cui l’uomo si fa portavoce. Entrare nella vecchia casa Acquaviva, ripercorrendo le viscere materne di Spaccanapoli, è un ritorno alle origini, alla genesi della coscienza dei protagonisti. Così Giuseppe (Ruggero Cappuccio) sembra guardare la casa dei suoi avi, la propria casa; a poco a poco, gli altri personaggi appaiono come fantasmi o ricordi di quelle pareti: Romualdo (Giovanni Esposito), Gabriella (Gea Martire), Gennara (Marina Sorrenti); ogni personaggio diventa suono che si armonizza con esse e che contribuisce a delineare quell’identità, singola e collettiva, della famiglia Acquaviva per mezzo della sua presenza nel luogo avito; ciò si realizza anche nella lingua, dell’opera al fine di conferire quel senso di unicità dei quattro protagonisti attraverso un’alternanza di napoletano, siculo ed inglese, tipico della poetica di Cappuccio (si pensi a Shakespea Re di Napoli, Edipo a Colono o Desideri mortali).

Da tali presse si svolgono i casi dei protagonisti, che, posti agli estremi della società, tentano di mantenere inalterate le voci della propria identità di fronte alla confusione della modernità: i fratelli Acquaviva sembrano e si dichiarano affetti da psicosi e patologie di tal genere e per continuare a usufruire dei sussidi a loro riconosciuti, è necessario “superare” una verifica da parte dell’ispettore preposto dell’ASL, il dr. Lorenzi (Ciro Damiano; altro esponente della società fredda e imborghesita è anche il personaggio Norberto Boito – Giulio Cancelli –, fidanzato di Gennara). Tale processo si scontra, come si diceva, con la “guerra” della modernità: così come la si definisce nel dramma; attraverso l’imposizione di sovrastrutture estetiche e ideologiche si vuol tendere a omologare gli individui, e in un tale mondo l’unico modo per sopravvivere, cercando di salvaguardare il proprio essere, è fingere: «’e cos’ s’ hann’ ’a fà ch’ over’ pàreno pecché ’a gent’ over’ s’ ’e crer’». Riprendendo un’ idea già esposta di Shakespea Re di Napoli, Giuseppe/Cappuccio mette così in evidenza la contraddizione dei tempi moderni, ovvero l’essere cosciente della marcescenza e della falsità su cui si fonda. Di qui la triste commedia dei protagonisti, che, nel secondo atto, in seguito alla frammentazione delle proprie identità rappresentata dal crollo delle innumerevoli bottiglie di vetro che compongono le antiche pareti della loro casa, in un discorso che si fa meta teatrale, muovono lo spettatore attento a contemplare i loro casi attraverso il filtro di un riso profondamente amaro.

Umorismo e malattia

«Jung diceva, “Datemi un uomo sano e io lo guarirò”, ma, per sua fortuna, Jung è  morto». Carl Gustav Jung/Giuseppe Acquaviva

Due temi portanti sono l’“umorismo” e la “malattia”, che richiamano a due concezioni molto care alla letteratura dei nostri giorni: quella pirandelliana e quella sveviana. Nel primo caso, evidenti sono i rimandi relativi al senso drammatico di certe scene che effettivamente muovono al riso; si tratta però di un riso consapevole e non spensierato che proietta lo spettatore attento in riflessioni che, attraverso il teatro, investono il suo ruolo nella vita di tutti i giorni; la sua recita, la vita, può forse apparire come un “giuoco delle parti” di cui può aversi maggiore o minore consapevolezza. Per quanto riguarda poi la “malattia”, essa si configura come senso di estraneità rispetto al ruolo affidato dalle sovrastrutture; in questo, Zeno Cosini si fa portavoce dell’estraneità: egli è lo straniero e il malato per eccellenza rispetto alla società, e in tal senso le due cose finiscono per fondersi. In questo modo, i fratelli Acquaviva si sentono ugualmente estranei, e come tali da essa sono percepiti; per questo sono considerati malati e destinati ai margini.

Sorge, quindi, una domanda: quella dei fratelli Acquaviva è una malattia reale o fittizia? La risposta potrebbe essere che il vero e il falso si confondono, giacché la malattia affibbiata dalla società borghese a chi non si uniforma ai suoi requisiti finisce con l’essere percepita come reale da chi ne sarebbe affetto. Di qui Zeno Cosini; di qui Giuseppe Acquaviva, che si fa portavoce, nel nome, del contrasto tra la purezza dell’acqua e la marcescenza dei valori.

Tra innovazione e tradizione, dunque, Spaccanapoli Times di Ruggero Cappuccio si pone come critica sociale alla maniera di Hard times di Dickens, effuso di una forte critica del dilagante utilitarismo e pragmatismo della realtà contemporanea, che tende a soffocare le sfaccettature dell’identità impersonate dai quattro protagonisti del dramma.

Immagine: Ufficio stampa

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A proposito di Salvatore Di Marzo

Salvatore Di Marzo, laureato con lode alla Federico II di Napoli, è docente di Lettere presso la scuola secondaria. Ha collaborato con la rivista on-line Grado zero (2015-2016) ed è stato redattore presso Teatro.it (2016-2018). Coautore, insieme con Roberta Attanasio, di due sillogi poetiche ("Euritmie", 2015; "I mirti ai lauri sparsi", 2017), alcune poesie sono pubblicate su siti e riviste, tradotte in bielorusso, ucraino e russo. Ha pubblicato saggi e recensioni letterarie presso riviste accademiche e alcuni interventi in cataloghi di mostre. Per Eroica Fenice scrive di arte, di musica, di eventi e riflessioni di vario genere.

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