Zero Dark Thirty (film) | Recensione

Zero Dark Thirty

Zero Dark Thirty è un film del 2012 diretto da Kathryn Bigalow. Il film si basa sull’attività dei servizi segreti legata all’individuazione di Osama Bin Laden in Pakistan il 2 maggio 2011, da parte dell’unità antiterrorismo della Marina degli Stati Uniti. Nel gergo militare il titolo del film vuol dire mezzanotte e mezzo, e si rifà all’ora in cui scattò l’operazione militare che poi portò all’identificazione e all’uccisione del leader dell’organizzazione terroristica Al-Quaeda. Zero Dark Thirty ha ricevuto numerose candidature tra cui ricordiamo 5 nomination ai Premi Oscar, 4 ai Golden Globe e 5 per il Premio BAFTA.

La trama di Zero Dark Thirty

Maya Harris, ruolo interpretato dalla talentuosa Jessica Chastain, è un agente della CIA impiegata a tempo pieno nella ricerca di Osama Bin Laden. Maya viene assegnata all’ambasciata americana in Pakistan per lavorare accanto all’agente Dan Fuller, personaggio interpretato dall’attore Jason Clarke. Le indagini per trovare il responsabile degli attentati dell’11 settembre si sviluppano nell’arco di circa dieci anni, anche se il momento decisivo avviene nel 2004, quando i due impiegati della CIA, tramite un bluff, fanno rivelare ad Anmar, un affiliato di Al-Quaeda, l’esistenza di Abu Ahmad Al-Kuweti, il corriere più fidato di Bin Laden. Attraverso il traffico telefonico, la CIA riesce a risalire all’uomo, individuandolo in Pakistan. I vari appostamenti portano ad un complesso fortificato situato nei pressi di Abbottabad. L’edificio viene sorvegliato per molti mesi con l’uso di spie e satelliti. Maya arriva alla certezza che all’interno possa esserci una figura di rilievo legata al terrorismo, seppur non si abbia ancora la piena consapevolezza che si tratti di Bin Laden. Nella notta tra 1º e il 2 maggio scatta l’operazione Geronimo. I 24 assaltatori della Marina partono su due elicotteri diretti ad Abbottabad. L’operazione viene portata a termine con successo rivelando effettivamente la presenza di Bin Laden nella struttura. L’uomo verrà ucciso e prelevato insieme a diversi documenti presenti nella sua abitazione. All’agente Maya spetta l’ultimo compito della sua missione: effettuare il riconoscimento del cadavere di Osama bin Laden.

La centralità del personaggio di Maya Lambert

Zero Dark Thirty si propone l’obiettivo di raccontare circa 8 anni di storia americana, mettendo in evidenza il ruolo di Maya Lambert, un’agente intenzionata a lavorare sodo e con grande intuito per concludere con successo la sua missione. Spesso vediamo una Maya che, poco supportata dai suoi colleghi della CIA, opera con determinazione ed ostinazione tra l’indifferenza e la misoginia del contesto lavorativo in cui si trova. L’andamento del film prosegue, dunque, sulla base di una prospettiva femminile molto orientata. Nel complesso la regista, Kathryn Bigalow, sembra concentrarsi sul forte contrasto tra l’umanità delle persone coinvolte in questo genere di operazioni e l’aspetto robotico di personaggi che operano nel loro campo d’azione senza difetti o mancanze. Del resto anche Maya non è esente da questa visione narrativa. Durante una delle prime scene della pellicola l’agente della CIA abbassa lo sguardo mentre davanti a lei un affiliato di Al-Quaeda viene brutalmente torturato, quasi come se per la donna quella fredda violenza fosse difficile da reggere. Eppure, man mano che la narrazione del film prosegue, Maya inizia fieramente a combattere contro la diffidenza e lo scetticismo dei suoi colleghi, che hanno molta difficoltà ad affidarsi alla probabilità delle sue intuizioni. Lo sguardo di Maya, alla fine di Zero Dark Thirty, diventa molto più freddo, distaccato e deciso. In una delle scene finali, dove è chiamata ed effettuare il riconoscimento del cadavere di Osama bin Laden, vediamo una Maya che agisce in modo altrettanto freddo e meccanico. Solo quando la donna sale su un aereo che la riporterà a casa, si lascia finalmente andare ad un pianto liberatorio e di sollievo per aver portato a termine la sua missione. Il gioco di contrasti che individuiamo nelle scelte della regista Kathryn Bigalow, peraltro, è incisivo anche per quel che riguarda l’uso della fotografia e delle luci: vediamo infatti come nelle scene iniziali che ritraggono le varie torture agli affiliati di Al-Quaeda, la luce riesca a penetrare sola tramite le fessure delle porte, mentre quando si giunge al momento clou, riguardante l’operazione militare, assistiamo ad una studiata alternanza tra i raggi infrarossi dei militari e l’oscurità della notte che contribuisce a trasmetterci una giusta dose di suspense.

Fonte immagine: Prime video. 

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