The Hungry Tide – il tema dell’ecologismo affrontato da A. Ghosh

The hungry tide

The Hungry Tide (in italiano Il Paese delle maree) è un romanzo pubblicato dallo scrittore indiano Amitav Ghosh nel 2004. La storia narrata racconta delle avventure che hanno come protagonisti due giovani ragazzi, Pia Roy e Kanai Dutt (biologa lei, uomo d’affari lui),  ambientate sulla costa orientale dell’India, nella Baia del Bengala, un immenso labirinto di isolotti.

La selvaggia Baia del Bengala

Nella realtà, quella del Bengala è una terra inospitale, soprattutto per gli esseri umani. Abitare in quelle zone diventa particolarmente difficoltoso in quanto uomini e donne non sarebbero in grado di predire quello che potrebbe accadere in un’area naturalistica così selvaggia: tornado e cicloni sono molto frequenti e l’acqua del mare risulta essere troppo salata per poter essere bevuta. Per questi motivi, per molti anni il luogo è stato dichiarato santuario naturale, quindi destinato allo sviluppo e alla salvaguardia di specie in via d’estinzione, tigri e delfini su tutti.

Il massacro di Marichjhapi

Tuttavia, in seguito alla divisione del Bengala (avvenuta durante la partition indiana del 1947), molti bengalesi indù fuggirono dal Pakistan orientale (ora Bangladesh) e decisero di insediarsi nella zona del Bengala occidentale. Negli anni ’70 una nuova ondata di indù cercò di raggiungere il medesimo territorio, non riuscendo però nell’intento: la zona, infatti, era satura e questa secondo gruppo di migranti fu trasferita verso le terre rocciose, inospitali e semi aride del deserto del Dandakaranya. Questa situazione provocò lo storico massacro di Marichjhapi del 1979, ovvero lo sfratto di migliaia rifugiati bengalesi che, sfiniti da fame e carestie, decisero di trasferirsi dalle aree desertiche del Dandakaranya a quelle più ospitali del Bengala occidentale. Il governo bengalese dapprima istituì un blocco economico, nella speranza che i rifugiati si convincessero autonomamente di evacuare la zona occupata; in seguito, resosi conto dei miseri effetti ottenuti dall’imposizione di questo tipo di politica, il governo optò per un vero e proprio massacro di massa. Migliaia di isolani furono uccisi dai colpi d’arma da fuoco sparati dai poliziotti locali, altri annegarono in mare in un disperato tentativo di fuga. Vediamo come in The Hungry Tide viene affrontato il tema dell’ecologismo.

Due visioni ecologiste a confronto

In particolare, sono due le visioni ecologiste che emergono da questo racconto storicamente accaduto, incarnate da due personaggi del romanzo, cioè Nirmal e Nilima, zii di Kanai, che si lasciano guidare da due percezioni diametralmente opposte:

  • la visione marxista dell’intellettuale Nirmal fa sì che l’uomo si lasci attirare dalla possibilità che nella zona bengalese occupata scoppi una rivoluzione. Il suo obiettivo è quello di dar vita ad una sorta di società utopica, nella quale lasciare che la popolazione di rifugiati continui a condurre serenamente la propria vita;
  • più ambientalista sembra essere, invece, il punto di vista sostenuto da Nilima. Lasciandosi influenzare dalla sua maggiore consapevolezza ecologista, la donna tenta di far comprendere al marito che la proprietà di quel territorio non apparteneva né a loro, né ai rifugiati. Sostiene, inoltre, il dovere morale di ognuno di loro tenendo in considerazione le pericolose ripercussioni che quella inusuale presenza umana avrebbe potuto avere sull’ambiente circostante.

Dunque, il quesito che viene posto al lettore è: In una situazione del genere, si dovrebbe supportare la causa di un gruppo di rifugiati che, altrimenti, non avrebbe un posto in cui poter vivere oppure sarebbe più giusto da parte nostra favorire la salvaguardia della Natura, della sua flora e della sua fauna?

Tenendo in considerazione proprio questo interrogativo e il modo in cui in The Hungry Tide viene approfondito il tema dell’ecologismo, si riesce a comprendere quanto quella ecologista sia una tematica fortemente spinosa e controversa: dire di essere ambientalisti è facile nella teoria ma molto meno nella pratica. La sfida a cui siamo sottoposti quotidianamente è quella di proteggere la specie umana e l’ambiente che ci circonda, forse l’unica possibilità plausibile, in quanto elementi strettamente interdipendenti e connessi l’un l’altro.

Fonte immagine: The Borough press

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