A thousand suns: analisi del concept album dei Linkin Park

A thousand suns, il quarto album in studio della celebre band statunitense Linkin Park, è sicuramente il più polarizzante e misterioso del gruppo. Alla sua uscita nel 2010 fu incompreso da molti ascoltatori e fan, e solo chi ha deciso di esplorare il grande significato che si cela dietro questo disco è riuscito a comprenderne la grandezza e la profondità. A thousand suns è un concept album che tratta di un tema che purtroppo non invecchierà mai e che penderà per sempre sulle nostre teste come la spada di Damocle: la guerra nucleare. È come se l’album fosse diviso in tre micro-temi all’interno di un macro-tema più grande: una sorta di sequenza che parte dallo scoppio della bomba, passa per la rinascita e arriva all’accettazione dell’accaduto. Per comprendere appieno questo album, ho intenzione di accompagnare l’ascolto con un’analisi traccia per traccia.

Il disastro nucleare

L’opera si apre con The Requiem, un brano elettronico con autotune e synth distorti che crea un’atmosfera estraniante, lontana dai Linkin Park di A Place for My Head e Faint. Prosegue con The Radiance, che include un campione dell’intervista di Robert Oppenheimer con la celebre frase “Now I’ve become death, the destroyer of worlds”. La prima vera canzone è Burning in the Skies, dove Mike Shinoda canta melodicamente, accantonando il rap, lasciando poi spazio a Chester Bennington che interpreta un ritornello carico di disperazione e pentimento: “I’m swimming in the smoke of bridges I have burned”. Segue Empty Spaces, un breve interludio che introduce When They Come For Me, traccia politica e auto-apologetica in cui i Linkin Park affermano di non seguire schemi predefiniti ma solo il loro istinto artistico. Il brano è caratterizzato da cori tribali e tamburi evocativi che creano un’atmosfera selvaggia e di rivolta. È chiaro che queste prime cinque tracce affrontano il tema del senso di colpa portato dalla distruzione: ogni essere umano sente parte della responsabilità dell’accaduto.

La rinascita

L’atmosfera cambia con Robot Boy, rivolta direttamente all’ascoltatore, aperta da una tastiera in scala minore, malinconica e oscura, ma che nel corso del pezzo lascia spazio a speranza e fede. Dopo l’interludio Jornada del Muerto si arriva a Waiting for the End, uno dei brani più celebri e amati, in cui Mike Shinoda e Chester Bennington si uniscono tra canto e rap, in un climax emotivo che esplode nelle fasi finali. Blackout segna un ritorno alle sonorità metal della band, anche se con synth al posto delle chitarre elettriche. Wretches and Kings è la traccia più politica, aperta dal discorso dell’attivista Mario Savio contro l’oppressione dei più deboli. La rabbia e la frustrazione sono palpabili e culminano in un invito alla rivolta. Wisdom, Justice, and Love usa un campione di Martin Luther King, la cui voce viene disumanizzata con effetti robotici, simbolo del declino dell’umanità in seguito ai continui conflitti. In questa seconda parte si lascia spazio a una rinascita spirituale e fisica, come se si ripartisse dalle ceneri descritte in Burning in the Skies.

La speranza

Segue Iridescent, una power ballad che invita l’ascoltatore a lasciare andare i fallimenti e rialzarsi, con un coro in cui partecipano tutti i membri della band. Fallout vede la voce robotica di Mike Shinoda diventare sempre più umana, segno di speranza che continua con The Catalyst. Quest’ultimo descrive metaforicamente l’esplosione nucleare come “symphonies of blinding light”, cercando di dare un’immagine positiva al disastro. Il brano si interroga sulla colpa collettiva dell’umanità, concludendosi con una risposta negativa, che ci assolve dalle colpe che ricadono su chi ha più potere. La chiusura dell’album è affidata a The Messenger, una ballad acustica e intima con la voce graffiata di Chester e la chitarra di Brad Delson. Il brano è un inno all’amore come forza che ci riporta a noi stessi dopo qualsiasi difficoltà, infondendo un profondo senso di speranza.

Conclusioni

Pur essendo un album intriso di disperazione e distruzione, A Thousand Suns termina con un messaggio di speranza. Più che una raccolta di canzoni, è un’esperienza, un testamento politico e sentimentale che ha stravolto il sound dei Linkin Park, pur rimanendo saldo alle loro radici. Sebbene criticato da molti, se si mettono da parte le emozioni e la nostalgia, si può tranquillamente affermare che questo album segna la maturità artistica del sestetto, facendo intendere che per loro non importa vendere, né riciclare la stessa formula per avere ascoltatori facili, ma esprimersi, mandare un messaggio e, soprattutto, creare arte pura. A Thousand Suns supera la prova del tempo e si scolpisce nella pietra come uno dei migliori album del nuovo millennio.

Immagine in evidenza: pagina Spotify dell’artista

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