La lingua spagnola nel Regno di Napoli, caratteristiche e curiosità

La lingua spagnola nel Regno di Napoli

Il Regno di Napoli, denominato anche Regno delle due Sicilie, fu integrato come vicereame alla Corona di Spagna, per circa due secoli. In questo articolo, ci occuperemo della diffusione della lingua spagnola nel Regno di Napoli.

Lo spagnolo nel panorama linguistico del Regno di Napoli

A partire dal 1503, e per ben due secoli (fino al 1707), il Regno di Napoli formò parte della Corona di Spagna e, naturalmente, ciò ebbe importanti conseguenze in diversi ambiti: più di tutti, quello linguistico. La lingua spagnola nel Regno di Napoli, dai primi anni del ‘500, si fece spazio negli ambienti di corte, in quelli vicereali, negli ambienti amministrativi e burocratici, ma anche attraverso le truppe che avevano contatti con la popolazione locale. In questo modo, ben presto, si iniziò ad assistere alla creazione di spazi comunicativi caratterizzati da un forte plurilinguismo, in continuità con la situazione che già vi era durante l’epoca aragonese. Tuttavia, è doveroso ricordare che tale convivenza linguistica si inserisce all’interno di una – già presente – situazione plurilingue, poiché, nel panorama linguistico della penisola, coesistevano diverse forme di italiano volgare e il latino. Così, si osservò il progressivo sviluppo della lingua spagnola nel Regno di Napoli, anche se in forma e in maniera diversa a seconda delle zone. In particolare, la capitale del Regno annoverò il castigliano come una delle sue lingue letterarie.

La lingua spagnola nel Regno di Napoli: la diffusione testuale

A testimoniare il complesso multilinguismo che caratterizzava il panorama linguistico del Regno di Napoli vi sono varie manifestazioni testuali, grazie alle quali è possibile parlare di quelle che furono le probabili strategie comunicative, adottate a seconda delle differenti situazioni sociali. Si parla, ad esempio di plurilinguismo ricettivo: la capacità, da parte di parlanti di lingue strettamente imparentate, di comprendere ciò che l’altro dice. L’elemento che, più di tutti, rese possibile la formazione di certi fenomeni e strategie comunicative fu, senza dubbio, il lunghissimo periodo di contatto linguistico fra l’italiano (e tutte le varianti linguistiche ad esso legate) e la lingua spagnola. Nonostante la duratura convivenza di queste due lingue, però, non vi fu nessuna forma di conflitto tra esse: nessuna delle due si impose sull’altra. Nel corso di questo lungo periodo storico, quindi, spesso i parlanti si affidavano alle proprie capacità linguistiche, soprattutto passive, per poter far fronte alle situazioni comunicative in cui erano coinvolti. A sostegno di ciò, vi è una lunga serie di testi che ci permettono di comprendere tali situazioni di comunicazione: basti pensare, ad esempio, agli atti. Questi ultimi sono legati ad uno degli strumenti di controllo politico ed amministrativo della Corona spagnola, ovvero i Visitatori generali. Essi avevano il compito di analizzare, nei vari territori italiani, il lavoro degli organi amministrativi e dei funzionari. Durante le Visite generali, si faceva ricorso a diverse strategie linguistiche, per poter superare le possibili difficoltà di comprensione. In particolare, dai verbali delle inchieste risulta che, durante le visite napoletane, le domande del visitatore venissero poste e trascritte in spagnolo, mentre le dichiarazioni dei funzionari e dei testimoni locali venivano trascritte in italiano, fatta eccezione per la parte relativa alla posizione professionale. Da ciò deriva il fatto che, all’origine di questa situazione comunicativa, vi fosse una conoscenza – almeno passiva – da entrambi i parlanti della lingua dell’altro.

Fonte dell’immagine in evidenza: Di Fabio di Giovanni Antonio Magini – Enciclopedia Bompiani, vol. 6 (Storia), Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, etas; Milan 1988, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11906073

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