Orpheus Groove di Annalisa D’Amato | Recensione

Orpheus Groove di Annalisa D'Amato | Recensione

Al Teatro Bellini di Napoli prosegue la stagione 2024/25 e va in scena Orpheus Groove di Annalisa D’Amato, uno spettacolo eclettico tra musica, poesia e prosa.

La nota umana e la riarmonizzazione dell’universo attraverso la sperimentazione del suono

Una donna che soffre di acufene, un lungo fischio continuo che le ovatta tutto quanto la circonda. Con questa immagine di una donna simbolo fecondo di un ventre che genera, dell’origine mitologica, Orpheus Groove di Annalisa D’Amato si pone l’obiettivo di rappresentare metaforicamente un’umanità ormai disfunzionale, incapace di ascoltare, all’apice di un inesorabile declino vitale. Ma ecco che un gruppo di fisici, figure stravaganti tra mito e scienza, presso l’Istituto di Riarmonizzazione Universale si propongono di aiutarla attraverso varie sperimentazioni sonore. L’equazione: [(la frequenza vibratoria dell’essere umano) + √(la frequenza di tutti gli elementi)] ÷ 2 = l’equilibrio dinamico e rigenerativo dell’Armonia Φ, ovvero il sunto di partenza è che il pianeta intero e con esso gli esseri umani si strutturano secondo certe vibrazioni e, pertanto, riarmonizzare l’universo è possibile con la musica.

Si legge, infatti, nelle note di regia su Orpheus Groove di Annalisa D’Amato: Anzitutto c’è una donna. Una figura femminile attraversa lo spazio e lo determina con la sua presenza. La vediamo compiere un atto di volontà: recarsi presso il Centro per la Riarmonizzazione Universale, luogo di cura e riassestamento dell’individuo attraverso l’esercizio della musica sul corpo umano. Qui, un gruppo di esperti del suono, guidati dal Professor Orpheus Shivandrim, conduce trattamenti all’avanguardia, mediante la somministrazione di getti musicali ad uso terapico. Ecco cosa c’è. Un presupposto futuristico, la musica come cura. Poi c’è la giovinezza di lei, la sua fragilità. La sua fermezza. E un’espressione di volontà chiara come il sole: cercare una strada per tornare a stare bene. Intorno a questo cardine si costruisce la ricerca degli scienziati, figure brillanti e fantascientifiche. Reali ed esoteriche. Umane ma mitologicamente ispirate.

Orpheus Groove di Annalisa D’amato è diretto e scritto da quest’ultima, con la collaborazione drammaturgica di Elvira Buonocore, con le interpretazioni di Andrea de Goyzueta, Juliette Jouan, Savino Paparella, Stefania Remino e Antonin Stahly e con il consulente alla teoria musicale Massimiliano Sacchi. Il progetto è prodotto da Ente Teatro Cronaca (Italia), Fondazione teatro di Napoli – Teatro Bellini (Italia), Compagnie D’Amato Stahly (Francia), Théâtre Molière- Sète, Scène nationale archipel de Thau (Francia),Fondazione Campania dei Festival (Italia).

Orpheus Groove di Annalisa D’Amato: l’arte come musica, come connessione con l’invisibile

Orpheus Groove di Annalisa D’Amato racconta di una realtà familiare, fatta di routine, scadenze, di un’ansia così asfissiante da tradursi in quell’acufene nella protagonista. La narrazione è indice di un’umanità spenta, che non sa più emozionarsi, che è immersa in una totale disfunzionalità al vivere. Ma è irreversibile? Esiste una soluzione per stare bene? Come risvegliare quella parte intimamente umana? Come riconnettersi a quella riarmonizzazione del proprio io interiore? La risposta viene ricercata nelle vibrazioni, in quelle reazioni corporee e istintuali provocate dall’arte e in particolare dalla musica. Ecco che allora tra registrazioni sonore, sipari musicali e stimolazioni musicali, viene ricercata quella nota: la vita.

Orpheus Groove di Annalisa D’Amato si rivela un progetto audace, sfruttando il teatro nell’idea di un’arte totale, salvifica tramite la musica. Risulta interessante per questo suo sfruttare il palcoscenico come terreno fertile di sperimentazioni, finanche artistiche. Ma è pur vero che si compone altrettanto di una struttura – certo complessa – a tratti nozionistica e citazionistica che in alcuni momenti appesantisce la pièce. Forse manca un quid di impatto, un contatto con quella componente musicale più viva ed emozionante. Ma questo senza nulla togliere alle abilità sceniche e interpretative che hanno restituito a loro modo gli intenti.

Fonte immagine di copertina: Ufficio Stampa

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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