Fattocchiarìe al Teatro alla Deriva | Recensione

Teatro alla Deriva: Fattocchiarìe | Recensione

Il 24 Luglio 2022 si chiude l’undicesima edizione della rassegna TEATROallaDERIVA (il teatro sulla zattera) con lo spettacolo Fattocchiarìe di e con Marco Sgamato.

Da un’idea di Ernesto Calcutta e con la direzione artistica di Giovanni Meola, TEATROallaDERIVA è tra le più note rassegne del territorio Flegreo che, grazie alla famiglia Calcutta, prende vita nella unica location delle Terme-Stufe di Nerone. Gli spettacoli prendono vita su una zattera galleggiante all’interno del laghetto circolare delle terme, ospitando tanti artisti e compagnie differenti, inaugurando quest’anno il secondo decennio.

Fattocchiarìe di Marco Sgamato

Adattato, diretto e interpretato da Marco Sgamato, per la produzione di Componium Teatro, quello di Fattocchiarìe alle Terme-Stufe di Nerone è un debutto glorioso e geniale.

Un one-man-show brillante e sarcastico, che vede il protagonista accogliere i suoi spettatori con note di violoncello, già a creare l’aria mistica e stregata che a sua volta ipnotizzerà il pubblico. Nella sua complessità, lo spettacolo porta in scena una mescolanza di monologhi differenti, che spaziano dagli intrighi carnali al rapporto col divino, sfidando parola dopo parola il limite tra sacro e profano, spingendo con ironia a riflettere sulle ipocrisie che spesso accompagnano tali argomenti.

Notevole è l’apertura di Fattocchiarìe con la storia, tratta dal Decameron di Boccaccio, di Rustico e Alibech che pone le sue fondamenta nell’inevitabilità del desiderio carnale e sul gioco malizioso di confondere la giovane, la quale immagina che il sesso sia il modo per far rifuggire il diavolo. È così, con l’ausilio del genio di Boccaccio, che Sgamato intreccia i fili con cui giocherà durante il suo Fattocchiarìe, nella flebile distinzione di ciò che viene imposto come giusto, ma è spesso profondamente sbagliato, verità illusorie e il rapporto insanabile tra la sessualità e le azioni profane con il (non sempre puro) divino. Marco Sgamato, nonostante l’utilizzo dell’italiano arcaico, riesce ad essere espressivo e intenso, senza mai risultare noioso e, con grande semplicità, riesce a spogliarsi dei panni di un personaggio e passare al prossimo senza essere mai ripetitivo, ma caricando di forte personalità ognuno dei diversi volti che si presta ad interpretare.

È il caso delle storie delle fattocchiare (basate su ricerche storiche), anche conosciute come janare, che vengono ricordate nello spettacolo a cui danno il nome. Tre, in particolare, le interessanti donne (e adolescenti) magiche raccontate, che nel XVII secolo a Capua sono state costrette ad abiurare e che, pur essendo interpretate da un solo attore, riescono a restare ben impresse e diverse nella memoria dello spettatore.

Un’altra parentesi, tanto ironica quanto reale, aperta da Fattocchiarìe è il racconto dell’omosessualità come sciagura sulla famiglia “liberale” e “perbene”, un divertente scambio epistolare, che lascia l’amaro in bocca legato ai pregiudizi che, purtroppo, ancora accompagnano il mondo LGBTQIA+, ma che nello spettacolo ha un finale lieto e comico.

Ultima parentesi del viaggio cinico e grottesco tra sacro e profano è legato alla pazzia, all’immaginazione di una mente fragile, che vuole farsi aspirazione alla trascendenza.

Brillante e imperdibile, Fattocchiarìe è, dunque, un’esperienza mistica che tra risate e note dolenti, tra luoghi comuni e sarcasmo, vuole arrivare alla domanda “Fin dove ci si può spingere oltre i limiti imposti da Dio?”

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A proposito di Chiara Leone

Zoomer classe '98, studentessa della scuola della vita, ma anche del corso magistrale in Lingue e Letterature Europee e Americane all'Orientale. Amante dell'America intera, interprete e traduttrice per vocazione. La curiosità come pane quotidiano insieme a serie tv, cibo, teatro, libri, musica, viaggi e sogni ad occhi aperti. Sempre pronta ad esprimermi e condividere, soprattutto se in lingue diverse.

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