Il grande urlo – Elettra vs Clitennestra | Recensione

Il grande urlo

Dal 27 al 30 marzo, il Teatro di Documenti mette in scena Il grande urlo – Elettra vs Clitennestra: un dramma psicologico, che prende ispirazione dai grandi classici dell’antica Grecia. 

La drammaturga e scrittrice Elena Fanucci propone al Teatro di Documenti, nel cuore del quartiere Testaccio a Roma, una rivisitazione di una delle tragedie classiche più famose riguardanti la saga degli Atridi. Attraverso la regia e l’allestimento scenico di Franco Gervasio e la produzione di IDS, Il grande urlo – Elettra vs Clitennestra sposta l’attenzione sui personaggi femminili, da sempre relegati, secondo la norma arcaica, nei ruoli di madri, figlie, mogli, senza essere completamente artefici del proprio destino. 

La trama de Il grande urlo 

Il dramma si apre nel momento in cui la maggior parte degli eventi riguardanti gli Atridi è già accaduta: Agamennone, capo degli Achei durante la guerra di Troia, è stato ucciso da sua moglie Clitennestra e dall’amante di quest’ultima Egisto. La motivazione: il dolore della donna per la morte della sua primogenita Ifigenia, sacrificata da Agamennone stesso per volere del sacerdote Calcante, con lo scopo di avere dalla sua parte gli dèi nella conquista di Troia.  

Ad Argo, infestata da una peste vista come una vera e propria punizione divina, l’attenzione si focalizza su due personaggi femminili, Elettra (Laura Cravedi) e Clitennestra (Barbara Scoppa), figlia e madre, l’una l’opposto dell’altra, in completo conflitto tra di loro. I personaggi maschili, invece, sono completamente assenti: Agamennone è già morto, la “serpe” Egisto è ormai nelle mani di Clitennestra e Oreste, fratello di Elettra, è lontano da casa. 

L’unico personaggio forte è proprio quello di Elettra, che riesce a cambiare il ruolo della donna nell’antichità. Si presenta come vera e propria metafora della società moderna e come emblema della liberazione personale: infatti, anche senza l’intervento divino, riesce ad avere la meglio e a liberarsi dalla schiavitù, in cui era stata costretta da Clitennestra. Clitennestra che sembra ancora fortemente legata, quindi, alla cultura patriarcale e che, subito dopo l’uccisione di Agamennone, si trasforma da “madre a padrona”, infliggendo alla figlia una “vita amara”, come fosse “un mare in tempesta che inghiotte le navi e tutti i suoi marinai”. 

Il confronto con le tragedie classiche 

Ne Il grande urlo – Elettra vs Clitennestra, Elettra per la prima volta diventa vera protagonista, riuscendo a compiere concretamente i suoi progetti di vendetta nei confronti della madre, anche se accecata dal dolore. Compie un passo decisivo verso l’indipendenza e l’autonomia e finalmente le sue parole non affondano completamente, ma diventano atti, azioni vere e proprie, che “non hanno mai fine” 

Infatti, nelle tragedie classiche, Elettra non ha mai un ruolo effettivo nell’esecuzione della sua vendetta. Si tratta di una vendetta, che viene sempre attuata dal figlio maschio, come vuole la norma patriarcale: è Oreste che uccide l’usurpatore Egisto, riaffermando così il principio dinastico della famiglia di Agamennone, ed è ancora Oreste che uccide anche la madre Clitennestra, per aver assassinato il marito. Nelle Coefore di Eschilo, Elettra viene presentata solo come una ragazzina che si dispera, inerme e incapace di ribellarsi; mentre nell’Elettra di Euripide, è corrosa dai sensi di colpa. Solo nell’omonima tragedia di Sofocle, Elettra diventa finalmente una donna determinata che non rinuncia ai propri propositi di vendetta, tanto che matura in lei l’idea di farsi giustizia da sola, fino a quando, però, non interviene anche qui il fratello Oreste. 

Il conflitto tra Elettra e Clitennestra 

Sulla scena vengono rappresentati due modelli opposti di femminilità: da un lato, Clitennestra che si basa sulla manipolazione e la seduzione, dall’altro, Elettra caratterizzata da lucidità e obiettivi ben chiari fino alla fine.  

Il conflitto tra le due raggiunge a volte toni quasi animaleschi. Clitennestra è mossa da crudeltà, rabbia, invidia verso la giovinezza della figlia; una giovinezza ormai lontana per lei, che vede il suo corpo come una prigione, fatta di cipria e abiti sontuosi che però nascondono la sua vera essenza ormai marcia dopo le malvagità che ha compiuto. Elettra, invece, rappresenta la purezza e la giustizia, in quanto non si è ancora macchiata con l’omicidio. Si tratta di un conflitto che viene messo in risalto anche dall’opposizione degli abiti: la più anziana nasconde la sua crudeltà sotto gioielli e abiti sontuosi e dai colori tenui; mentre la figlia, nonostante sia ancora pura, viene vestita con stracci, abiti neri e catene, per mettere in evidenza la sua condizione di schiava in casa propria. 

Altro elemento che mette in risalto il conflitto madre-figlia sta nell’utilizzo della prosa da parte della prima, per collegarsi alla dimensione più materiale del corpo, e dei versi da parte della seconda, soprattutto quando vengono invocati gli dèi, Agamennone e Oreste, per fare riferimento, invece, alla dimensione ideale di anima e intelletto. 

Fonte immagine: locandina e scattate in loco

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