Will Hunting – Genio ribelle (film) | Recensione

Will hunting: la paura di essere amati

Will Hunting – Genio Ribelle (Good Will Hunting, 1997), diretto da Gus Van Sant e scritto da Matt Damon e Ben Affleck, è molto più di un film sul talento e l’intelligenza. Si tratta di un particolare spazio cinematografico in cui si esplorano i meccanismi della mente umana, le ferite dell’infanzia e il bisogno di appartenenza.

Will Hunting, la trama

Ambientato a Boston, il film segue la storia di Will Hunting, un giovane di umili origini che lavora come inserviente in un’università prestigiosa. È un ragazzo brillante, con una memoria e intelligenza fuori dal comune. Tuttavia, dietro la sua mente brillante si nascondono traumi profondi, causati da un passato difficile, fatto di abusi, abbandono e rabbia repressa. Il professor Lambeau nota le capacità di Will dopo essersi accorto che quest’ultimo è stato in grado di risolvere anonimamente un teorema avanzato, ragion per cui cerca di offrirgli una via d’uscita dalla sua routine distruttiva. Will però viene arrestato dopo aver aggredito un poliziotto durante una rissa. Questa è la vera svolta. A Will viene infatti data una seconda possibilità: evitare il carcere a patto di seguire un percorso psicoterapeutico.

Il ragazzo, chiaramente diffidente, rifiuta la proposta e si fa beffe dei primi terapeuti che gli vengono proposti, finché non incontra Sean Maguire (interpretato dal grande attore Robin Williams), un vecchio amico di Lambeau che lavora come psicologo in un college meno prestigioso.

L’incontro tra i due dà il via a un percorso di scontro e scoperta interiore, in cui Will dovrà affrontare le proprie paure, il senso di inadeguatezza e la difficoltà ad accettare l’amore e il cambiamento.

Will e Sean: la terapia della vita

Il cuore pulsante del film Will Hunting – Genio ribelle risiede proprio nella relazione terapeutica tra Will e Sean, un legame che va oltre il contesto clinico, diventando un autentico incontro tra due anime ferite.

Da un lato, Will è un ragazzo geniale e autodistruttivo, incapace di fidarsi, abituato a usare l’ironia e l’aggressività come scudi contro ogni forma di intimità. Dall’altro, Sean Maguire è uno psicologo non convenzionale che ha attraversato il dolore della perdita (la moglie) e che riconosce, nei silenzi difensivi di Will, la voce muta del trauma.

La loro relazione terapeutica si costruisce lentamente, nella tensione tra sfida e ascolto, tra distanza e apertura. Sean cerca di accompagnare Will, non di dominarlo. E lo fa con pazienza e fermezza.

Non è colpa tua: liberazione del dolore

«Non è colpa tua» (It’s not your fault). Questa è la frase che Sean ripete a Will con dolcezza e insistenza. Qui accade qualcosa di raro ed è un momento chiave del film. Le difese crollano e il dolore sommerso emerge.

In questo istante la terapia si fa viva e la vita stessa può finalmente iniziare. Will ha sempre portato dentro di sé un senso di colpa, come se gli abusi subiti (l’abbandono e la sofferenza) fossero in qualche modo meritati. Questo perché accade? Perché il bambino non riesce a concepire le figure adulte come sbagliate, quindi introietta la colpa per mantenere un senso di controllo sul mondo. Inizialmente reagisce con sarcasmo, poi con fastidio e poi con rabbia. Ma alla fine crolla, piange e si lascia abbracciare. La frase è un riconoscimento del dolore, il permesso per guarire.

L’analisi psicologica di Will Hunting

La genialità di Will, manifestata nell’abilità matematica e nella rapidità di analisi, convive con un profondo senso di inadeguatezza e rabbia inespressa. Dal punto di vista psicologico, Will è un esempio di come il trauma infantile possa influenzare i comportamenti e colpire l’identità. Il ragazzo cresce, infatti, in famiglie affidatarie violente e interiorizza in sé l’idea di non meritare amore, stabilità o successo. Questo scatena meccanismi di difesa rigidi come: l’ironia, l’auto-sabotaggio, il rifiuto di qualsiasi legame affettivo autentico e l’attacco. Teme per questo l’intimità, perché implica vulnerabilità che per lui è sempre stata un campanello d’allarme.

In realtà, dietro questa corazza, c’è un bisogno disperato di essere visto, ascoltato e soprattutto accolto.

La figura di Sean Maguire

Sean non è solo un terapeuta. È la figura che, per la prima volta, non abbandona Will, che resta, che lo vede e lo accoglie, anche nella sua parte più distruttiva. E proprio questo è ciò che lo salva. Sean è una figura paterna, un uomo che ha affrontato il dolore e la perdita. Il suo metodo è basato su ascolto ed empatia. Sua moglie è morta per un cancro e parla sempre di lei con tenerezza. In molte scene è evidente che Sean non è solo colui che cura, ma colui che viene anche curato dalla relazione con Will.

L’amore tra Will e Skylar

Il rapporto tra Will e Skylar è un altro elemento fondamentale del film, che riflette la difficoltà di Will ad aprirsi all’amore autentico. Skylar è una studentessa di Harvard, affettuosa e brillante, e rappresenta una possibilità concreta di connessione e futuro. Ma proprio per questo, Will ne è terrorizzato. La vicinanza della ragazza lo costringe a confrontarsi con la propria vulnerabilità, con l’idea che qualcuno possa amarlo per ciò che è, e non per chi finge di essere. All’inizio infatti Will si mostra affascinante, ironico e sicuro di sé. Ma quando lei si avvicina davvero, lui si chiude, mente, e alla fine si ritrae. L’amore, per Will, è pericoloso: implica fiducia e lasciare che qualcuno veda le proprie ferite. E lui, che ha imparato a sopravvivere da solo, non sa come permettersi quella esposizione emotiva. Skylar non lo respinge, ma lo accoglie, lo invita a raccontarsi, a lasciarsi amare. Tuttavia, Will non riesce ancora a credere di meritarlo. La rottura con la ragazza, dunque, non è un rifiuto dell’altro, ma un rifiuto di sé. Solo dopo il lavoro fatto in terapia, dopo aver accettato il proprio passato e riconosciuto il diritto ad amare ed essere amato, Will troverà il coraggio di “andare a vedere di che si tratta”, come dice Sean.

La decisione finale di partire per raggiungerla in California non è solo un gesto romantico, ma il segno più chiaro di una trasformazione profonda. Will sceglie la vita e sceglie l’amore.

Will Hunting – Genio ribelle è, dunque, un film sull’identità, sulla paura di essere amati, e sul coraggio necessario per guarire. La psicoterapia diventa qui il luogo in cui la difesa cede il passo alla fiducia, e dove l’intelligenza tanto celebrata nel protagonista trova finalmente un equilibrio con l’emotività e la fragilità. Il messaggio più potente del film è probabilmente racchiuso nella scelta finale di Will. Lasciare tutto per inseguire Skylar è un vero e proprio atto di libertà. Per la prima volta, non agisce per paura, ma per desiderio. Sceglie di non nascondersi più, di uscire dal meccanismo autodistruttivo che lo proteggeva. Ed è lì, nell’incertezza, che finalmente si permette di essere felice.

Fonte Immagine: Amazon

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