Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio | Recensione

Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio | Recensione

Il partigiano Johnny è uno dei libri più importanti del Novecento. L’autore è Beppe Fenoglio. Ha lasciato un segno indelebile nella letteratura italiana del dopoguerra. Questo romanzo è stato pubblicato dopo la sua morte ma è riuscito a diventare il punto di riferimento della Resistenza italiana. Il fatto che Fenoglio non sia riuscito a terminarlo non lo rende meno potente. Anzi, è proprio la sua natura frammentaria che lo fanno un racconto unico.

Un protagonista fuori dal coro, tra solitudine e lotta

Johnny è un giovane studente di Torino. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Johnny torna ad Alba, nelle Langhe, dopo aver indossato la divisa dell’esercito. Si sente diverso e fuori posto.  La sua scelta di unirsi ai partigiani è stata un modo per trovare un senso e per affermare la sua coscienza in un mondo distrutto moralmente. Johnny combatte prima con i partigiani comunisti, dai quali si sente ideologicamente distante, per poi unirsi agli azzurri, un gruppo più in linea con il suo modo individualista di intendere la lotta.

Il partigiano Johnny: le parole della Resistenza

Ma la cosa forse più straordinaria del romanzo è la lingua. Fenoglio inventa uno stile particolarissimo, una miscela in cui l’italiano si impasta con l’inglese, creando un effetto quasi straniante ma incredibilmente suggestivo. È la lingua di Johnny, che riflette il suo mondo interiore, le sue letture, la sua personale distanza dalle cose. Tutto il romanzo è percorso da una scrittura nervosa, spezzata, che riesce a trasmettere non solo il ritmo affannoso della guerra tra i boschi ma anche la profondità esistenziale del protagonista. La storia procede per scene slegate, a volte senza spiegazioni, affidandosi a immagini forti, quasi cinematografiche: le colline delle Langhe, la nebbia, la neve, le case vuote diventano lo sfondo di un dramma che è prima di tutto personale.

Una Resistenza vera, senza sconti

L’immagine della Resistenza che Fenoglio ci consegna è lontana da quelle più idealizzate o corali. Non c’è trionfalismo, non ci sono certezze assolute. La guerra partigiana qui è fatta anche di contraddizioni, di momenti di profonda solitudine, di gesti difficili da decifrare. Johnny si muove in un mondo senza eroi da manuale, dove la morte è una compagna costante e spesso appare insensata. Il nemico non è solo il tedesco o il fascista repubblichino, ma anche la disillusione, la fatica morale, quel sentirsi sempre un po’ straniero ovunque. Fenoglio non ha paura di mostrare l’orrore della violenza, la confusione, la mancanza di un ordine superiore. In questo senso, Il partigiano Johnny non è tanto un romanzo politico, quanto un libro profondamente esistenziale, dove la scelta di combattere assume un significato individuale, tragico, che non si lascia ingabbiare in facili etichette storiche.

Il partigiano Johnny: un capolavoro ritrovato

L’edizione del 1992, basata sui manoscritti originali di Fenoglio, ha restituito il romanzo nella sua forma più autentica. In questa versione, il romanzo appare più radicale, inquieto e più vicino a quella che doveva essere: un’epopea dolorosa e interrotta. Nonostante non sia finito, il testo ha una forza e una coerenza tematica straordinarie, capace di unire il racconto di guerra con la riflessione sull’identità, sulla solitudine e sulla dignità dell’essere umano.

Un libro che continua a parlarci

Anche se Fenoglio non ha potuto mettere la parola fine al suo Johnny, quello che ci ha lasciato è un’opera fondamentale. Non solo per capire la memoria della Resistenza ma anche per riflettere sulle contraddizioni che ogni essere umano vive di fronte alle grandi prove della storia. Il suo protagonista è un uomo che lotta con il mondo e con sé stesso. Descritto con una profondità e una sensibilità che fanno di questo romanzo uno dei libri più veri e importanti della nostra letteratura del Novecento.

Fonte immagine: Einaudi

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