Napoli è un richiamo forte, come quello del mare, come quello della gente che percorre le strade, come quello del cuore pulsante del centro storico. Le sfumature della città partenopea sono la matrice principale che ha originato l’album di Gianmario Sanzari, cantautore napoletano, strettamente legato alla sua terra al punto da consacrare il suo primo disco alla città. Si chiama Bello, il primo lavoro artistico di Gianmario, che vede la produzione di Paci Ciotola, su di uno stile pop cantautoriale, costituito di parole molto semplici ed immagini che sottolineano il profondo e viscerale senso di appartenenza alla bella, ma faticosa Partenope.
Come ti sei avvicinato alla musica? Quando hai capito e hai scelto che sarebbe diventato il tuo possibile futuro?
Mi sono avvicinato alla musica da piccolissimo, credo soprattutto grazie a mio padre che me ne ha fatta sempre ascoltare tanta. Alle elementari c’era un bambino che prendeva lezioni di piano: quando vidi quello che sapeva fare rimasi incantato. Mia madre non fu d’accordo a farmi prendere lezioni a scuola, ma ricordo che nello studio del flauto ero il più bravo, studiavo i pezzi con le note che la maestra ancora non aveva spiegato. In seconda elementare ho preso parte al coro della scuola. Questo ha influito moltissimo sulla mia formazione musicale. Intorno ai 9 anni ho iniziato finalmente a prendere lezioni di piano insieme a mia sorella e solo a 13 anni ho iniziato a studiare la chitarra. Ho capito che era quello che volevo fare solo intorno ai 17 anni, quando ho cominciato a tentare di strimpellare i pezzi che ascoltavo.
Prima del lockdown e delle nuove restrizioni, hai portato la tua chitarra e la tua voce nelle piazze di Napoli, regalando brani tuoi e cover a chi si trovava in giro. Qual è l’emozione più grande che hai vissuto durante un live per strada? La strada, la città come reputi accolga questa forma d’arte?
Della strada ricorderò per sempre la prima volta che mi sono esibito da solo, il 9 settembre del 2017, l’anniversario della morte di Battisti, a Piazza San Domenico. La gente mi guardava incantata, senza avere idea di quanto io guardassi loro allo stesso tempo. C’è stata una di quelle sere in cui una ragazza in lacrime mi ascoltava cantare insieme agli amici: l’indomani sarebbe partita. Sono stato parte della sua ultima sera a Napoli, sono cose che non si dimenticano. La gente che si ferma in strada ad ascoltarti si ferma perché VUOLE ascoltarti, è diverso dall’esibirsi in un locale. La strada diventa quasi parte della tua casa. Quando vedevo la piazza sporca ci rimanevo malissimo. Se resti per ore a suonare e a cantare nello stesso punto, quel punto diventa una mattonella di casa tua, è triste vederla abbandonata al degrado.
Un artista ha sempre delle influenze che contaminano i propri lavori musicali. Nel tuo nuovo album quali sono le sonorità, i musicisti, i generi da cui hai attinto?
“Bello” è il frutto di un lavoro in studio durato quasi due anni. Sono 10 pezzi scritti a tavolino grazie all’aiuto della musica e della penna del mio produttore, Paci Ciotola. Il gruppo musicale che mi ha influenzato di più è sicuramente “La Maschera”. Ho sempre preso a modello Battisti, ho adorato la musica popolare napoletana che porto sempre con me durante i live e c’è un pezzo nell’album che si ispira alle sonorità di Lucio Dalla: “L’uomo nero”.
Consiglia due tracce a chi non ha mai ascoltato il tuo album e spiega i motivi della tua scelta.
Consiglierei di ascoltare “Bello” che è il titolo del pezzo che dà il nome all’album. Parla dell’uomo partenopeo nel quale mi rispecchio moltissimo. Siamo un po’ tutti Zeno, Aureliano Buendia e lo scarrafone di Pino Daniele che mo “s’è mis ‘o cappiello”, costantemente sotto l’occhio di un grande fratello che ci giudica per quello che lasciamo vedere agli altri. Consiglierei poi di ascoltare “Strega di Notte” che è una canzone che parla del dolore. Ho usato le parole di una persona a me cara, è scritta “per immagini” e lo scopo della canzone è di buttarti le parole addosso facendoti vedere quello di cui parlo quasi come fosse un flusso di coscienza.
Com’è nato questo disco? Quali sono i temi trattati nell’album? Cosa hai voluto lasciare al pubblico con Bello?
Il disco è nato a tavolino, tranne l’ultimo pezzo “davanti al mare” che ho finito di scrivere durante il primo lockdown, lontano dallo studio. Paci Ciotola mi ha preso sotto braccio e mi ha convinto a iniziare un percorso di scrittura insieme a lui. I primi pezzi erano completamente in Italiano. Ci siamo spostati sul napoletano perché avevamo capito che fosse la lingua più azzeccata a me, “il ragazzo che suona in piazza”. I temi del disco sono l’Amore e il modo di affrontare il Dolore. Un amico caro mi ha fatto riflettere sull’onnipresenza dell’Amore una volta, dicendomi: “ama tuo padre, ama un fratello, ama un amico, ama una pianta. L’amore è dappertutto, l’importante è come lo coltivi”. Ne parlo proprio in “Bello”: Non importa se sei laureato o lavori sotto il sole. Se sei un fumatore o un non fumatore. Se sei Aureliano o sei condannato per i tuoi errori. Se hai avuto tanto o non hai avuto niente, se sei più povero di me o hai fatto fortuna. Se i tuo sbagli ti paralizzano e ci metti tempo a capire che è da quelli che puoi ricominciare. Se siamo costantemente sotto l’occhio critico del grande fratello e non riusciamo più ad essere noi stessi, affannandoci nel tentativo di apparire PIÙ belli, più palestrati, più FELICI. Siamo tutti uguali: soffriamo, viviamo e andiamo avanti tutti nello stesso modo. E non dobbiamo avere la presunzione di credere che le cose capitino solo a noi. E questo pure me lo hanno insegnato da poco. Il disco parla di me attraverso Napoli. Napoli tutto questo te lo insegna. Napoli ti regala umiltà e fatica. Napoli ti offre gli sguardi di chi non ha avuto niente e ti sorride mentre fa il proprio lavoro. Napoli non nasconde le ferite, perchè andare fieri delle proprie cicatrici è senza dubbio il gesto di amor proprio più grande che ci sia. Napoli ti sbatte in faccia la realtà, nel bene e nel male, senza fare sconti, senza che niente possa sembrare fittizio. Me ne vado per la Pignasecca e non trovo una sola persona che non mi ricambi il saluto o lo sguardo. Napoli è più vera che mai, non ti mente e non ti dice bugie. Io la odio e la amo ogni volta che scendo di casa. E la sua magia è che cadi, passi momenti terribili, sembri ormai irrecuperabile, ma basta una giornata di sole e ti riprendi tornando a splendere. E mi ricorda tanto qualcuno che conosco, che a volte si dimentica che si chiove… po’ esce o sol.
[Foto di Gianmario Sanzari]