Uscito l’11 aprile 2025 per l’etichetta TEGA, Perdenti di ARMORE è il suo disco d’esordio, un progetto musicale che nasce dalla clausura e dalla necessità. L’artista traduce i limiti imposti dalla solitudine e dall’isolamento in una sperimentazione creativa, dove noise, IDM, no-wave e post-punk si intrecciano con una vena intima e viscerale.
Perdenti è nato tra le mura di una stanza diventata prigione durante il lockdown del 2020. Senza possibilità di esibirsi dal vivo né mezzi economici per grandi produzioni, ARMORE ha saputo trarre forza dalle proprie restrizioni. Il risultato è una raccolta di brani che sfuggono alle definizioni nette, creando un equilibrio sorprendente.
Le canzoni di Perdenti di ARMORE sono frammenti sonori che si sgretolano e si ricompongono, in un equilibrio tra caos e struttura, tra emozione e ricerca. Perdenti non è solo un album: è un manifesto emotivo, una testimonianza di resistenza creativa che riesce a trasformare la solitudine in arte condivisa.
Leggiamo insieme l’intervista sull’uscita dell’album Perdenti di ARMORE!
Il titolo Perdenti ha un impatto forte e quasi controcorrente. Cosa significa per te questa parola, e in che modo sintetizza l’identità del disco?
Partirò col dire che il titolo Perdenti è nato al principio di tutto, quando avevo in mano solo mezza melodia e forse un testo o due in divenire. Le canzoni sono tutte venute fuori come emanazione di questa prima intuizione. Ho scelto il titolo Perdenti perché non lascia spazio ad interpretazioni: si parla di personaggi che perdono qualcosa. Quello che però ho cercato con questo titolo è la provocazione: cosa vuol dire essere dei perdenti? Che cos’hanno perso? Che cosa non hanno perso?
Hai realizzato l’album in un momento di isolamento, con mezzi limitati. In che modo queste condizioni hanno influenzato il suono e l’approccio creativo?
L’isolamento e i mezzi limitati sono stati per me un’ottima occasione per sfidarmi a costruire qualcosa dal nulla e portarlo in fondo completamente da solo. Una lotta difficilissima, considerando che sono un grande procrastinatore ossessivamente puntiglioso. Ma il fare tutto da solo mi ha anche dato il tempo necessario per cercare un immaginario sonoro personale, costruendolo con gli strumenti che avevo a disposizione. Ne sono un esempio le batterie: in assenza di quelle acustiche ho lavorato più su suoni sintetici generati col computer, elaborando da zero tutte le varie parti, senza l’ausilio di campionamenti acustici in modo da enfatizzare meglio le qualità del suono digitale.
Nel disco convivono noise, IDM, post-punk e una scrittura cantautorale. Come sei riuscito a costruire un equilibrio tra linguaggi così diversi?
Le canzoni sono nate inizialmente come bozze di chitarra/voce o pianoforte/voce. Man mano ho rielaborato le sonorità per stratificazioni successive con il preciso intento di ibridare diversi suoni che, più o meno consciamente, ho interiorizzato negli anni. Certi suoni semplicemente mi sono venuti fuori naturalmente; altre volte ho dovuto un po’ cercarli. Tutte le strade che ho preso in fase di produzione tenevano però conto del fatto che le tracce, benché avessero un loro senso a prescindere dall’album, erano nate in funzione di esso. Perciò, quando ho avuto quasi tutte le canzoni in mano, ho potuto ri-aggiustare definitivamente la direzione sonora sulla base dell’andamento del disco. Sicuramente il mio inconscio sonoro è stato plasmato da anni di ascolti di album interi: mi riesce difficile concepire le tracce di un disco a prescindere dal loro significato all’interno di esso. In ultimo, mi piace pensare ai dischi come a dei film dove i suoni, stratificandosi con parole e altri timbri, creano un ritmo, una tensione, un’atmosfera ricca di suggestioni diverse, fatte anche di moti contrari, di sonorità apparentemente distanti tra loro.
Le tue canzoni sembrano fotografie emotive, più che racconti narrativi. Ti interessa più evocare sensazioni che costruire significati chiari?
Mi interessa la metà via: i testi che più apprezzo hanno sia un forte significato, sia livelli di lettura più ermetici. Per me il bello di scrivere un testo è creare un contenitore che abbia una solida struttura dentro cui il lettore possa mettere la sua parte.
Hai detto che ogni traccia è pensata anche per il live. Che tipo di relazione cerchi con il pubblico durante un’esibizione dal vivo?
Con il pubblico cerco una relazione che si costruisce sulla musica che sto suonando e sulle parole che sto cantando, cercando di portarlo altrove. Anche perché suonare tutto le macchine gli strumenti dal vivo comporta l’utilizzo di molta energia mentale. La parte difficile per me è riuscire ad entrare in una dimensione dove vivo completamente il presente cogliendone gli input man mano che arrivano per integrarli in quello che sto suonando e cantando.
Il disco Perdenti di ARMORE sembra muoversi tra errore e programmazione, tra istinto e tecnologia. Come vivi questa tensione nella tua scrittura musicale?
Sì, essendo partito con strumenti come la chitarra ed il pianoforte, ho sempre visto anche il computer e i campionatori come degli strumenti da suonare in tempo reale, cercando di enfatizzarne gli errori, le imperfezioni, l’origine umana dal vivo. C’è tantissima musica nel sottobosco italiano ed estero dove l’elettronica, il glitch, gli errori la fanno da padrone ma ho sentito veramente pochi progetti dove questo aspetto più caotico della composizione venga proposto estemporaneamente in concerto: solitamente sono sequenze precedente esportate dal disco. Parte della mia ricerca, dunque, si concentra su questo aspetto: portare le macchine al loro limite e sfruttare le loro capacità in concerto, facendo generare i suoni e i glitch sul momento. Ma la cosa più complessa in assoluto è inserire il gesto umano all’interno di questa narrazione sonora. Coi synth analogici è più facile: giri un fader ed ecco che lo strumento emette un suono generato da un oscillatore. Modificare in tempo reale un racconto sonoro fatto di glitch ed errori rilasciati estemporaneamente e in maniera del tutto casuale è una sfida molto difficile ma allo stesso tempo estremamente stimolante.
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