Ernesto Tatafiore: Gene dell’arte e della medicina

Ernesto Tatafiore: Gene dell'arte e della medicina

Nella suggestiva cornice del Museo Archeologico Nazionale di Napoli è stata inaugurata, il 21 gennaio 2017, la mostra di Ernesto Tatafiore “Ritorno a Itaca”, a cura di Marco De Gemmis e Patrizia Di Maggio.

Il maestro, in occasione della sua mostra al MAAN, propone un inedito ciclo di opere interamente dedicate ad Ulisse, che dopo mille peripezie ed un viaggio decennale ritorna, finalmente, nella sua amata Itaca.

Ernesto Tatafiore – un uomo dallo sguardo tanto profondo che gli occhiali e le falde del cappello non riescono a mitigare – ci accoglie con un bicchiere di vino tra le mani ed un sorriso beffardo incorniciato – come un’opera d’arte – da grandi baffi grigi.

Maestro può concedermi un po’ del suo tempo? Scrivo per l’Eroica Fenice.

Speravo si trattasse dell’Erotica felice; peccato!”

Sonora risata dei presenti; e di rimando: «Se così fosse, le visualizzazioni del giornale sarebbero di gran lunga superiori a quelle di qualsiasi articolo di seria cronaca». Nel dire questo, il mio sguardo si posa su di un’opera del maestro di inequivoca attinenza con la sua sagace battuta.

Possiamo iniziare l’intervista?

Prego prego.

Lei, come Alberto Burri, ha studiato medicina. Sarei curioso di sapere se e quanto la sua formazione accademica ha influenzato la produzione artistica.

Ho fatto medicina, mi sono specializzato in psichiatria e successivamente in psicoanalisi. In merito alla sua domanda le dico che sono figlio di un pediatra che, a sua volta, era figlio di un pittore. Mio zio era un pittore ed insegnava all’ Accademia. Quindi non posso dire che sono stato costretto a dipingere, ma di sicuro l’ arte la si respirava in casa.

Direbbe Giorgio Gaber – per fortuna o purtroppo lo sono.

Si, direi più per fortuna, anche se purtroppo fa pensare.

Anche Gaber, alla fine, credo la pensasse così. Achille Bonito Oliva alla sua prima personale definì la sua arte “neo illuminista” questa etichetta è ancora valida?

Tutti noi siamo debitori dell’ illuminismo e della rivoluzione francese. Nel senso che l’ illuminismo, attraverso la rivoluzione francese, ha determinato dei profondi cambiamenti culturali; si pensi al divorzio, alla leva militare obbligatoria e tante altre cose che non sto ora ad elencare. Comunque sì, la definizione della mia arte come neo illuminista mi sta bene.

Questa mostra è intitolata ritorno ad Itaca. Lei come uomo e come artista si sente in qualche modo vicino al suo percorso di vita, al viaggio di Ulisse?

Il personaggio di Ulisse è una metafora della vita, nell’ attraversarla c’è bisogno di incontrare sia le sirene che i mostri. Personalmente spero di incontrare più sirene che mostri.

Una domanda che può suonare provocatoria ma non lo è per nulla. Il significato del nome Ulisse è inquietante: può voler dire “colui che è odiato” o “colui che odia”; c’è qualche artista contemporaneo che in qualche modo “la odia” o, attualizzando il concetto, semplicemente la invidia; e viceversa?

La parola odio può sembrare brutta, ma non lo è. Le posso fare un esempio. Quando mi chiedono di Napoli penso a Catullo e dico “odi et amo”. Non è brutto odiare; è l’esatto contrario di amare, talvolta addirittura la sua conseguenza; è un sentimento molto forte. Quando passo per via Caracciolo provo amore, poi penso alle cose brutte di questa città e provo odio; che va a stimolare il desiderio di cambiamento. Tornando alla sua domanda, nell’ ambiente artistico sono stato sempre un po’ defilato anche per i miei studi di medicina molto impegnativi, non ho avuto il tempo di concentrare un tale sentimento verso nessuno; né di potermi accorgere se qualcuno lo nutrisse verso di me.

La sala si riempe, ringrazio il maestro per l’intervista e mi allontano.

La sua mano ora stringe quella del nipotino. È alto un soldo di cacio e come il nonno, probabilmente per i suoi geni, da grande vorrà fare il pittore e forse il medico.

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