Dopo la selezione alla Semaine de la Critique di Cannes, Left-Handed Girl di Shih-Ching Tsou sbarca alla Festa del Cinema di Roma. Un ritratto vibrante e malinconico della Taipei notturna, dove tra il vapore dei noodle e le luci al neon si intrecciano affetti, superstizioni e debiti. Collaboratrice di lunga data di Sean Baker – che è qui co-sceneggiatore e produttore – Tsou firma un’opera che guarda al disagio di vite precarie e soffocanti.
Nel ventre caldo di Taipei
La storia si apre con Shu-Fen, una donna che torna a Taipei dopo anni trascorsi lontana dalla capitale. Il suo matrimonio è finito, il marito l’ha abbandonata. Eppure, ne curerà la morte occupandosi del funerale, una nuova spesa che pesa come un macigno sul suo già fragile bilancio. Infatti, per tirare avanti affitta un piccolo stand nel mercato notturno dove serve zuppe e noodle, lottando ogni giorno per pagare l’affitto. Accanto a lei, le due figlie: l’insofferente e ribelle ventenne I-Ann, che lavora come betelnut girl e intrattiene una relazione con il suo datore di lavoro; e la piccola I-Jing di cinque anni, che trascurata dalla propria famiglia vaga per la città e cerca di comprendere il mondo che la circonda. La bimba sembra l’unica a non avere problemi, almeno fino a quando il nonno, custode severo di usanze antiche, nota che la bambina è mancina e le impone di non usare la “mano del diavolo”. Un rimprovero che diventa miccia narrativa.
Nella notte dei mercati che non dormono, la famiglia si disgrega lentamente, fino a esplodere quando segreti taciuti troppo a lungo cominciano ad affiorare, illuminando per un istante ciò che molti avrebbero voluto restasse nell’ombra.
“Left-Handed Girl”: un racconto fatto di luci e ombre

Left-Handed Girl si muove su più piani con una scioltezza affascinante: da un lato, l’urgenza sociale del proletariato urbano taiwanese; dall’altro, il melò familiare, intimo e doloroso, fatto di sguardi mancanti e generazioni che non si parlano mai davvero. Il tutto accade nel mercato notturno: mai semplice ambientazione ma un organismo pulsante, fatto di rumori, colori e volti. Tsou immerge lo spettatore nel ventre brulicante di Taipei attraverso una regia in costante movimento, caratterizzata tagli veloci e dialoghi realistici, capaci di mantenere alta l’attenzione e di far respirare la città, con le sue angosce e la sua vitalità febbrile.
I temi affrontati sono molteplici e dialogano tra loro, componendo un quadro volutamente caotico ma sempre lucido. C’è il disagio delle classi popolari, la trascuratezza dei legami familiari e una moralità sfumata, corrosa dalla fatica di sopravvivere. Ma nella seconda metà del film emergono con forza due linee tematiche centrali: il patriarcato e il tradizionalismo, ciò che resta dell’eredità del regime repressivo del dopoguerra taiwanese. Entrambi prendono forma negli anziani: una nonna che, senza esitazione, mette sul piedistallo il figlio maschio e spiega la precarietà della figlia Shu-Fen come conseguenza dell’assenza di un uomo; un nonno che ammonisce la nipote I-Jing a non usare la “mano del diavolo”.
In una società in cui le donne sono al margine e alle quali bisogna dire come comportarsi, Shu-Fen, I-Ann e I-Jing si ritagliano un proprio spazio, reclamando il diritto di esistere. È la bambina, con la sua testarda mano sinistra, a farsi simbolo di quella ribellione silenziosa, di quel piccolo gesto che diventa metafora del diritto di scegliere.
La figura di I-Jing, interpretata con sorprendente profondità dalla giovanissima Nina Ye, è centrale. Non è una presenza che addolcisce semplicemente la narrazione, ma un personaggio tanto complesso quanto fragile. La regista la segue con la macchina da presa posta alla sua altezza, lasciando che sia la prospettiva della bambina in molti casi a guidare la narrazione. Fin dalla prima scena – quella del caleidoscopio che trasforma il grigiore adulto in una visione colorata e pulsante – comprendiamo che Left-Handed Girl sceglie di farci vedere Taipei anche attraverso i suoi occhi. Attraverso l’ingenuo e spensierato sguardo infantile a volte smarrito di fronte a un mondo che non sa ancora decifrare. Il film non è soltanto di denuncia, ma anche un’esperienza sensoriale e poetica. Tsou restituisce la vita taiwanese nella sua densità visiva e sonora: motorini che sfrecciano, insegne al neon che tremano, banchi di street food, urla, vapore, appartamenti angusti ma pieni di vita. Ogni elemento contribuisce a creare un’immagine vivida, quasi tattile, che trascina lo spettatore dentro una realtà in cui il caos è il linguaggio della sopravvivenza.
Usando la mano sbagliata, per disegnare un mondo giusto
Left-Handed Girl unisce melò e commedia, intrecciando registri diversi con una naturalezza rara. Taipei è la cornice ma anche una protagonista: una città che respira, suda, si muove al ritmo dei suoi mercati notturni e dei desideri infranti dei suoi abitanti. È un film che pulsa, che non concede pause facili, che resta impresso nella memoria per l’onestà dello sguardo delle vite invisibili. Un film che ci ricorda che a volte è proprio con la mano sbagliata che si prova a rimettere insieme il mondo.
Fonte dell’immagine: ufficio stampa