In un’epoca in cui la rapidità influenza ogni aspetto, dalla moda alle scelte d’acquisto, l’arte dell’uncinetto si erge a simbolo di resistenza contro la logica dell’usa e getta e l‘inquinamento ambientale. Il fast fashion ha alterato in modo significativo il panorama della moda, offrendo un catalogo infinito e prezzi bassissimi. Questa finta convenienza però nasconde una realtà sconcertante: è un veleno che agisce silenzioso, ma che negli ultimi anni sta mostrando il suo effetto sull’ambiente, a causa dell’uso spropositato di risorse naturali, e sul mondo del lavoro, sfruttando la manodopera e inasprendo le condizioni lavorative. Valutando i dati più recenti dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA), il volume di acquisto è in costante crescita: ogni cittadino europeo, infatti, compra in media 19 kg di tessuti all’anno, un dato che si traduce in enormi pressioni ambientali, tanto che i tessili si posizionano tra le prime cinque categorie di consumo per i danni che generano in termini di emissioni, consumo di acqua e di materie prime.
Slow fashion: riscoprire l’arte manuale
A contrastare il grande ciclone consumistico è lo slow fashion (moda lenta) o moda sostenibile che, sebbene lentamente, acquista sempre più seguaci. Abbracciando le esigenze ambientali e sociali in tutte le fasi della produzione, riesce a esaltare la qualità del prodotto e celebra un mondo quasi perduto: l’arte manuale. Nella sfera dell’artigianato si è fatta strada negli ultimi anni la tecnica dell’uncinetto, forse praticata un tempo solo dalle nostre nonne, e che come arte esalta in ogni maglia il tempo e la dedizione spesi. Enti di spicco come l’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) hanno più volte sottolineato il ritardo del Paese nel disaccoppiare la crescita economica dalle sue negative conseguenze ambientali. Per questo, pratiche come l’uncinetto incarnano l’urgenza di un cambiamento e rappresentano un modello di artigianato consapevole, indispensabile per avviare la transizione verso gli standard di sostenibilità globale. Questa tecnica può e deve infatti essere integrata con il riciclo di capi e tessuti, come vecchie t-shirt o pantaloni, che possono essere trasformati per creare un nuovo oggetto.
Come le grandi aziende strumentalizzano il lavoro artigianale: il greenwashing estetico
Sempre più persone, specialmente i giovani, hanno riscoperto la passione del creare capi o accessori pensati, che mostrino l’unicità e la storia di ogni singola mano. A differenza dei capi cuciti o realizzati a maglia, la lavorazione a uncinetto non è replicabile tramite una macchina. Ciò ci induce a una riflessione cruciale: molte grandi industrie della moda stanno cercando di integrare nelle loro collezioni l’estetica del “fatto a mano”, strumentalizzando la tradizione e abusando del ruolo dell’artigiano. Questo fenomeno è cruciale: si tratta di un greenwashing estetico, utilizzato dalle aziende per nobilitare collezioni che sono prodotte in serie e senza trasparenza. Esternalizzando il lavoro a piccole imprese o a singoli, la retribuzione di questi è nettamente inferiore rispetto al guadagno delle grandi aziende, e ciò sottrae all’aspetto estetico un valore culturale e territoriale intrinseco. Bisognerebbe dunque chiedersi, dietro a questi prodotti: Chi lo ha realizzato? Qual è l’origine del filato?
L’uncinetto come risposta all’olomogazione industriale
In conclusione, l’uncinetto nello slow fashion ci ricorda che non è ancora giunta la fine della creatività e che, in un mondo omologato, l’attenzione può contrastare la velocità. Tuttavia, quando le grandi aziende cercano di inghiottire questa tradizione ignorando i principi etici, rischiano di svuotarla del suo valore culturale e sociale. È di fondamentale importanza riconoscere l’individualità, nel rispetto dell’autentica espressione, e la collettività, verso una società migliore ospitata da un mondo migliore.
Fonte immagine in evidenza: Unplash (foto di Giulia Bertelli)

