Il berretto a sonagli ‘a nomme ‘e Dio, Assoli | Compagnia Nest

Il berretto a sonagli di Compagnia Nest

Dal 24 al 26 febbraio la compagnia Nest approda al Teatro Sala Assoli con Il berretto a sonagli ‘a nomme ‘e Dio (regia di Giuseppe Miale di Mauro).

La compagnia si confronta per la prima volta con un gigante della scrittura teatrale, e reinterpreta in chiave contemporanea – servendosi della viscerale espressività del napoletanola versione del 1917 di Luigi Pirandello, scritta in dialetto siciliano: A birritta ccu ‘i ciancianeddi.

Gli attori in scena della Compagnia Nest (Valentina Acca, Mario Cangiano, Giuseppe Gaudino, Adriano Pantaleo) tirano fuori tutta la loro napoletanità, creando un’atmosfera così spontanea e naturale, da farci entrare subito in empatia con i personaggi. Riescono a rendere il tema centrale dell’opera – in apparenza lontano dalla modernità e dal forte impatto misogino – attuale e tuttora spinoso.

Lo spettacolo teatrale (adattamento e traduzione di Francesco Niccolini) coinvolge per la sua inesauribile comicità, sebbene non siano assenti momenti di amara riflessione, che trasmettono il senso di profonda solitudine di chi – in passato la minaccia colpiva prevalentemente le donne -, ingiustificatamente, viene additato come pazzo.

Il berretto si muove a suon di verità e giustizia sulla testa di chi sceglie di attivare la «rotella della pazzia»

«Pupo io, pupo tu, pupi tutti quanti», il problema è tra chi pupo ci nasce, chi ci si sente, e chi finge di esserlo, ma non lo è.

La messinscena della Compagnia Nest si apre con una bellissima scenografia (a cura di Luigi Ferrigno), che tradisce subito la plasticità, l’artificio, e la farsa, che si nascondono dietro questi “tipi umani”, i quali, pur raccontando un episodio ordinario di vita reale, rivelano la maschera cucita dietro i loro volti, realizzando un duplice gioco, restituendo l’illusione di trovarsi nella “finzione di una finzione”.

La parte superiore della scenografia è costituita da un grandissimo appendiabiti, in modo tale che ogni attore, a rotazione, possa scegliere quale indossare, come se ci si trovasse dinanzi a delle quinte senza sipario, a un retroscena sulla scena.

Così ci è concesso prendere parte alla preparazione di una recita: il ruolo prestabilito che i pupi, ogni giorno, interpretano in società, secondo le regole del buon costume e del perbenismo dominante, sempre a discapito delle donne, che questa commedia, invece, la subiscono.

Nella parte inferiore – come è usuale in ogni teatro, degno di questo nome – ecco che compaiono due siparietti, bassi, di dimensioni contenute, ma quanto basta per svolgere la funzione di velo sottile, che divide l’«al di là» della verità, di ciò che realmente accade, e l’«al di qua» della menzogna, di ciò che non si racconta, e che si riporta in maniera falsata e alterata, a seconda degli interessi personali o, semplicemente, seguendo alla lettera un copione.

Ci troviamo di fronte all’atavica questione – che rende il teatro lo spazio della creazione artistica più complessa e originale – : dove finisce la vita vera e dove comincia la rappresentazione?

Beatrice, donna forte, consapevole, e insolitamente ribelle per l’epoca corrente, viene tradita dal marito, ma non è disposta a rimanere al proprio posto, in silenzio. Con tutti contro, sceglie di mettere in atto un piano per cogliere in flagrante il marito e l’amante, e farli arrestare, così da poter ritornare ad essere libera e smentire le malelingue, che da sempre la descrivono come una moglie follemente gelosa. L’obiettivo è dimostrare a tutti, e in primis a se stessa, che la sua vita e la sua felicità non dipendono più in alcun modo dal Cavaliere.

Ne Il berretto a sonagli della Compagnia Nest l’eroina, femminista ante litteram, si può avvalere del sostegno di Donna Saracena, rigattiera del paese, che non gode, però, di buona fama. La Saracena è una donna d’avanguardia, libertina: ha, infatti, cacciato via a “calci in culo” il marito.

La spregiudicata diventa sua complice, fa la spia e le offre consigli su come muoversi, è scaltra e sicura di sé. Il suo personaggio fa pensare, a un sguardo più attento, alle donne del “vascio” – che abitano da tempo immemore i quartieri Spagnoli o la zona di Forcella – che, a furia di subire, si sono fatte le ossa e, in tante circostanze, dimostrano di avere più attributi degli uomini. Queste signore colpiscono per l’eccessiva eleganza, la fierezza, la durezza di carattere, lo sfarzo degli accessori, il tutto misto alla rudezza dei tratti, alla grossolanità delle espressioni, alle sgraziate movenze.

Bisogna assolutamente coinvolgere Ciampa (marito dell’amante del Cavaliere) nell’artefatto, studiato dettagliatamente da Beatrice, per tendere una trappola ai due clandestini.

L’entrata in scena del pupo Ciampa diventa essenziale per la rivelazione del trucco: è lo scrivano – attento osservatore del comportamento umano – a spiegare il gioco delle tre rotelline, posizionate nella testa di ognuno: la seria a destra, la civile al centro, la pazza a sinistra. Ognuna va aperta in base al contesto in cui ci si trova. Meglio per tutti è non confondersi.

Non a caso, Ciampa è pirandellianamente uno e tre: interpretato, ad ogni nuova apparizione, da un attore diverso, si presenta la prima volta in atteggiamento serio e ragionevole, la seconda civilmente accondiscendente, la terza, invece, perde le staffe, e minaccia tutti di compiere una strage.

Non sarà lui, però, a portare il berretto a sonagli in paese, si rifiuterà di subire una simile umiliazione. Conviene negare tutto, far finta di non sapere niente.

Beatrice è pazza – o almeno è costretta a passare come tale – e deve essere rinchiusa in un manicomio, affinché tutti lo sappiano, e non si prendano per vero i suoi sospetti, e ci si dimentichi una volta per tutte dell’accaduto.

Il berretto a sonagli, infine, lo porta in testa Beatrice, che abbandona il suo costume: si toglie giacca e cravatta, e resta nuda, coperta solo da un lungo abito bianco e da una collana di perle. Si siede tra i travestimenti sparsi e le maschere di scena, e mette fine al comico teatrino.

Il berretto a sonagli della compagnia Nest svela il suo buffo inganno: tre Ciampa si presentano contemporaneamente sul palco. Ecco la resa dei pupi, che sono stanchi di mentire.

Così Beatrice rompe la finzione, con il potere illuminante della parola poetica, che traduce l’intimo umano, il folle animo di chi ha il coraggio di mostrarsi fragile e, per questo, è libero e invincibile.

«Mangerete polvere, cercherete d’impazzire e non ci riuscirete, avrete sempre il filo della ragione che vi taglierà in due. Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere.»
                                                                                                                                                                                                                                                                                                             (Farfalle libere di Alda Merini)

Comunicazione e ufficio stampa Gennaro Bianco de Compagnia Nest

Fonte immagine: Nest Napoli Est Teatro/TeatriMolisani

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A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna.

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