Diva Futura: il film sull’Italia del porno pop – Recensione

Diva Futura
Viaggio nell’Italia degli anni ’80 e ’90, tra rivoluzione sessuale e ipocrisie di massa. “Diva Futura” racconta la storia del pop porno tricolore, immerso tra sogni di libertà e profonde contraddizioni. Con la regia visionaria di Steigerwalt, il film squarcia il velo su un’epoca irripetibile, indagando i volti umani dietro il mito: Schicchi, Cicciolina, Moana, Eva Henger, icone di una storia in bilico tra provocazione e utopia. Un film sul porno, senza porno, che riflette su potere, corpi e libertà.

 

A cavallo tra anni Ottanta e Novanta, mentre l’Italia di Tangentopoli arrancava tra scandali politici e cambiamenti, Diva Futura, l’agenzia di Riccardo Schicchi, irrompe sulla scena come un ciclone color pastello, trasformando “l’amore libero” in un fenomeno di massa, ridefinendo la percezione del sesso nell’immaginario collettivo.

La regista Giulia Louise Steigerwalt – con la sua seconda opera in gara a Venezia 81 – fotografa questa epopea tratta dal memoir di Debora Attanasio: “Non dite alla mamma che faccio la segretaria” dispiegando la trama del film attraverso la lente goffa, a tratti un po’ incerta, della giovane segretaria di Schicchi catapultata in quell’universo di trasgressione controllata.

Diva Futura è un tributo a un decennio irripetibile: gli anni in cui il porno diventò un fenomeno mediatico globale ridefinendo tabù secolari: dalla censura alla fruizione domestica delle videocassette, fino alla politicizzazione del corpo femminile con l’ingresso del Partito dell’Amore di Cicciolina in Parlamento.

Ma quella di Schicchi fu davvero una rivoluzione?
Il film ci svela i retroscena di un sogno collettivo, il paradosso di un’industria che, mentre professava valori di liberazione sessuale, ne mercificava l’essenza.

La trama: quel microcosmo di contraddizioni 

Steigerwalt dipinge un’Italia malinconica e vitale, tra post-boom e visioni libertarie, tragica e utopica nei suoi paradossi. L’agenzia Diva Futura diventa microcosmo di contraddizioni: se da un lato eleva Cicciolina (Ilona Staller) a icona pop capace di “consacrare il sesso come atto politico”, dall’altro rivela il dramma di un’industria che, mentre proclamava la liberazione sessuale, ne normalizzava la commercializzazione. 

Ciò che emerge non è soltanto la storia della rivoluzione – o del dramma, a seconda delle prospettive, – dell’industria pornografica italiana, ma il ritratto di un Paese che annaspa nel calderone delle sue sue stesse ipocrisie: i benpensanti che condannano il sesso “distribuito in massa”, sono gli stessi che divorano in segretezza le videocassette delle pornostar. 

Schicchi si muove circondato dalle sue muse ispiratrici – portando avanti, convintamente, il suo mantra: Noi siamo amorali, non immorali” -,  le stesse che la regista renderà sguardo narrante della storia di Diva Futura.  

Moana Pozzi, la star colta che trasformò il proprio corpo in un’arma di emancipazione; Ilona Staller, l’eterea creatura capace di portare l’erotismo in Parlamento; Eva Henger, la renitente in fuga dalle convenzioni borghesi. 

La regista, alternando senza moralismi i punti di vista del produttore, della sua assistente e delle dive pop, restituisce “corpo” a donne spesso ridotte a “macchiette”. La scelta stilistica di creare salti temporali nella narrazione potrebbe creare disorientamento, ma ci permette di esplorare la complessità dietro le decisioni dei personaggi; paure, gioie, ambizioni, desideri e la loro umanità. Ogni frame racconta la dicotomia tra apparenza e sostanza.

Castellitto: tra Pinocchio e Lucignolo

Fulcro della storia è Schicchi, costruito magistralmente da Pietro Castellitto, in una performance che domina il film. Metà Pinocchio e metà Lucignolo lo osserviamo nelle sue innumerevoli sfumature discordanti: mentre accarezza i suoi conigli e gatti simboli del suo estro infantile, mentre negozia con produttori trasformando il sesso in merce finanziaria, quando vive l’amore, alla sua maniera, per la moglie “Orsa” (Eva Henger).

La genialità dell’imprenditore? Aver intuito che gli italiani volessero sognare senza sentirsi in colpa, pensando, così, di confezionare un erotismo pop, diverso dal solito, che mescolasse fotoromanzi e sapori felliniani. 

Castellitto domina sia i toni drammatici che quelli più comici del personaggio che interpreta, guidando lo spettatore attraverso trent’anni di storia del costume italiano, esaltati da una fotografia con colori pastello e toni fluorescenti da nightclub,  che catturano le atmosfere degli Ottanta.

Diva Futura

Diva Futura: un film sul porno, ma senza porno

Diva Futura è soprattutto una riflessione sul tempo che trasforma le prospettive e i valori. Inaspettatamente, è un film sul porno, ma senza scene porno: scelta non limitante ma chiave interpretativa precisa. 

Steigerwalt mantiene una giusta distanza critica, non celebra né condanna, ma indaga quell’epoca. Ciò che interessa alla regista sembrano essere le relazioni umane e quelle di potere in un’industria fallocentrica; l’intricata dicotomia tra libero arbitrio e oggettificazione.

Il film svela i sogni e le utopie di quella “comune” pop e anticonformista, senza nasconderne il rovescio della medaglia.

L’opera di Steigerwalt  si chiude con un’immagine carica di malinconia: Schicchi, che dopo aver perso tutto,  guarda i suoi home video, testimonianza di un’utopia ormai svanita, mentre fuori dalla finestra avanza un’Italia diversa, più cinica, che ha l’obiettivo di sostituire i suoi sogni con il pragmatismo

Diva Futura ci ricorda che quegli anni – tra eccessi e ingenuità – furono l’ultimo slancio di un’Italia capace di giocare restando in bilico sul filo del rasoio. Un testamento alla bellezza fragile delle rivoluzioni incompiute.

Steigerwalt non offre risposte facili sulla legittimità di quell’esperimento sociale, ma lascia scorrere le domande che restano aperte: fu una vera rivoluzione o solo l’ennesima forma – seppure edulcorata – di sfruttamento? Quanto sopravvive, nell’era del digitale, di quella ingenua purezza iniziale? E soprattutto, cosa diremmo oggi a quelle donne che scelsero di diventare icone di cambiamento pagando il prezzo dell’oggettificazione?

Nella sua complessità narrativa, Diva Futura diventa, così, un mosaico di umanità in cerca di riscatto. La fotografia di una realtà passata sui cui dettagli la macchina da presa indugia: il corpo di Moana che si trasforma per volontà di un fato crudele, le mani di Debora che tremano dinanzi ad un destino incerto, gli occhi fanciulleschi di Schicchi mentre libera i suoi gatti come fossero l’ultimo testimone delle sue verità. Gestualità essenziali che narrano molto più di scene di sesso esplicito, perché svelano le radici di un sogno collettivo che osò sfidare il perbenismo consapevole di potersi bruciare.

Fonte immagini nell’articolo “Diva Futura: il film sull’Italia del porno pop – Recensione”: locandine promozionali del film.

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