Il 9 novembre 2025 è stata presentata in anteprima italiana l’opera prima del regista rumeno Andrei Epure, Don’t let me die (titolo originale Nu mă lăsa să mor), alla trentesima edizione del Linea d’Ombra Festival di Salerno.
Il film fa parte della sezione in concorso Passaggi d’Europa_30, che comprende principalmente opere prime di autori giovanissimi, il regista Andrei Epure ha infatti solo 36 anni, e ha dimostrato una grande capacità di attrarre il pubblico, che ha accorso in Sala Pasolini riempendola.

Cinema rumeno
Il cinema rumeno degli ultimi anni, conosciuto come new wave contemporanea, è uno dei fenomeni culturali recenti più interessanti e apprezzati a livello internazionale, per cui presentare questo film è stata sicuramente una grande opportunità per far conoscere questo tipo di cinema al pubblico italiano. Come affermato dallo stesso regista il film si ispira a registi come Radu Jude, Cristian Mungiu, Cristi Puiu e molti altri. Si è trattato di un film molto singolare, che ha suscitato tanto interesse e una grande curiosità ma che è soprattutto costruito con una notevole cura da parte del regista, si notava infatti sin dalle prime riprese che c’è stato un grande studio soprattutto per quanto riguarda la fotografia e il montaggio.
Il regista Andrei Epure

Andrei Epure è nato nel 1989, si è laureato presso il dipartimento di Sceneggiatura e Filmografia dell’Università Nazionale di Teatro e Cinematografia di Bucarest. Il suo cortometraggio più recente, Interfon 15 (2021) è stato presentato in anteprima alla Semaine de la Critique di Cannes. Don’t Let Me Die è invece il suo lungometraggio d’esordio.
Trama di Don’t let me die
Una donna emerge da una grotta, si dirige furtivamente verso la città, suona il campanello della sua palazzina e muore vicino all’ingresso. La sua vicina, Maria, tormentata dai sensi di colpa, pensando di essere responsabile della sua morte, si occupa dell’organizzazione del funerale e si prende cura dei suoi due cani.
Per un bel po’ di tempo il film può essere considerato per lo più una commedia arida, con molti personaggi che confondono costantemente la parentela di Maria con la defunta o due addetti alle pompe funebri che cercano di confortarla. Lentamente seguiamo le assurdità del tentativo di ottenere una sepoltura, incontrando ostacoli burocratici a ogni angolo. Ma più passa il tempo, più la commedia lascia il posto all’inquietante e al surreale. Abbiamo l’impressione che Maria sia perseguitata.
Questa moderna interpretazione di una storia di fantasmi ricorda il regista giapponese Kiyoshi Kurosawa. Le somiglianze diventano ancora più evidenti man mano che il film procede, sia nella commedia che nel dramma. Soprattutto in una scena successiva a letto, c’è un movimento di macchina instabile e un successivo primo piano su un volto che è altrettanto inquietante quanto le immagini di Pulse.
Tutto questo con un ritmo altrettanto lento. Purtroppo è qui che il film fallisce maggiormente, poiché soprattutto nella parte centrale il ritmo sembra forzato piuttosto che spontaneo. Anche l’apparizione del figlio della donna defunta non ha l’impatto che vorrebbe avere, lasciando il personaggio in una situazione insolita.
Ma rimane una commedia inquietante e bizzarra sul senso di colpa e sul nostro scopo nella vita. Maria, dopo aver perso il lavoro, si lancia in questa nuova occupazione con i cani, in cerca di realizzazione. Ma solo con una conclusione potrà liberarsi di nuovo dalle sue azioni del passato.
Conclusioni su Don’t let me die
Don’t let me die è la commemorazione di una vita che ha lasciato tracce ambigue. Il film si trasforma gradualmente in una meditazione sulla solitudine e sul lutto, in bilico tra la commedia e l’horror. Nonostante le immagini quasi ipnotiche è un film molto lento, forse troppo.
Fonte immagine in evidenza: Ufficio stampa

