Non c’è trama in Gummo. O meglio: non c’è una storia da seguire, né una redenzione in arrivo o una morale da portarsi a casa. Solo una cittadina dell’Ohio, Xenia, devastata da un tornado, e da qualcosa di più profondo: l’assenza di futuro.
Harmony Korine non racconta. Colleziona immagini, corpi, voci, gesti. Costruisce un collage di degrado che non ha paura di mostrarsi per ciò che è: disturbante, marcio, scollato, a tratti insostenibile. Gummo è l’America che si è dimenticata di sé stessa. Quella che non finisce nei film di Hollywood. Quella che puzza di latte al cioccolato rancido e detersivo.
Un film senza trama: tra bambini armati, salotti sfondati e gatti morti
Gummo, film del 1997, non ha una vera trama, ma una serie di frammenti che compongono il ritratto allucinato di Xenia, una cittadina dell’Ohio devastata da un tornado e, soprattutto, dall’abbandono sociale. I protagonisti, Solomon e Tummler, sono due adolescenti che vagano in BMX, uccidono gatti randagi per rivenderli, lottano nel fango, raccontano storie di traumi familiari.
Attorno a loro ruotano personaggi altrettanto smarriti: due sorelle adolescenti mute, una madre che espone la figlia come una bambola, un ragazzo con orecchie da coniglio, un prostituto quattordicenne che racconta con freddezza le sue esperienze. Le loro vite non si incrociano mai davvero, ma respirano lo stesso vuoto. Tutto è sporco, sfilacciato, sospeso: cucine unte, frigoriferi vuoti, divani sfondati. Non esiste un adulto che sia guida. Non c’è redenzione, né sviluppo. Solo una sequenza di immagini che restituiscono l’America profonda, quella che nessuno vuole vedere.
La scena finale, con Solomon immerso in una vasca da bagno piena di acqua e spaghetti, è l’emblema di un film che non racconta, ma esiste: un’eco visiva della decomposizione, della noia, della dolcezza deformata che resta anche quando tutto è crollato. Di seguito, il trailer ufficiale del film:
Gummo: una regia fatta di frammenti
La regia è lo-fi, sporca, con inserti video, rumori improvvisi, riprese sgranate. Tutto è frammento. Non c’è montaggio classico, solo accumulo. Sembra un home video fatto da chi ha vissuto lì dentro troppo a lungo.
E poi ci sono le voci fuori campo, che spesso raccontano il nulla. I ricordi di una nonna, la storia di un padre tossico, la messa in scena di un suicidio. In Gummo, tutto accade come se fosse normale. Ed è proprio questa normalità che fa male, che sembra troppo assurda per essere vera. Eppure, esiste.
Ogni scena è slegata dalla precedente, ma tutto ha una coerenza interna: quella della decomposizione. Korine ci sbatte in faccia una provincia americana che vive di automatismi, riti confusi, resti culturali senza significato. E lo fa senza giudicare. Anzi, Gummo è tenero nel suo modo disperato. Lontano dal moralismo, vicino a chi guarda con pietà chi è rimasto indietro.
La bellezza del disturbante
Nonostante tutto, c’è bellezza. Una bellezza non convenzionale: strana, sporca, che si nasconde nei dettagli più inattesi. Tutto sembra essere fuori luogo e al suo posto al tempo stesso: un ragazzino che si tuffa in una piscina vuota, una ragazza che canta da sola nella vasca da bagno con le gambe immerse nel silenzio, un ragazzo con orecchie finte da coniglio che danza sotto un’insegna spenta. Sono immagini isolate, ma pulsano. Restano. Sono legate da una coerenza difficile da spiegare, ma immediata da cogliere.
Gummo è un film fatto di assenze: non solo di futuro, ma anche di regole, di padri, di sogni, e anche di una presenza nuda, bruciante. Ogni personaggio è lì, esposto come se la macchina da presa lo avesse sorpreso in un momento in cui nessuno guarda. Nessuno interpreta, nessuno recita davvero. I personaggi si limitano a esserci, a occupare lo spazio con i propri corpi strani, che a tratti paiono deformi, con le voci fioche, con gesti ripetuti che non portano da nessuna parte.
C’è però una dignità disperata in tutto questo. Come se il film dicesse: anche ciò che è scarto, anche ciò che è deforme, può brillare per un istante. Nonostante il fango. O forse proprio per colpa sua.

Gummo: Korine come testimone del margine
Quello che fa Harmony Korine in Gummo non è realismo, né cinema verità. È qualcosa di più brutale e più intimo: un documentarismo emotivo, dove i personaggi sembrano presi dalla strada, ma risuonano come archetipi spezzati. Ogni scena è costruita come se fosse un pezzo di memoria scomposta, una fotografia rovinata dal tempo.
Korine non vuole raccontare una storia, ma catturare una sensazione. Per questo il montaggio è irregolare, la camera incerta, la cronologia è dissolta con una trama che non esiste. È un cinema senza protezione, dove forma e contenuto coincidono: la regia è spezzata, i personaggi pure. E proprio per questo, tutto all’interno di Gummo è profondamente umano.

Il volto oscuro dell’America
Alla fine di Gummo, non c’è niente da capire. Al massimo, solo qualcosa da sentire. Disgusto, pietà, fascino, rifiuto. È un film che lascia sporchi, ma più vigili. Costringe a vedere ciò che normalmente viene rimosso: l’America che marcisce ai margini, quella lontana dai riflettori, dove nessuno cerca redenzione perché nessuno l’ha mai promessa.
Gummo non offre catarsi: non racconta il degrado per denunciarlo, ma per abitarlo, per sentirlo sulla pelle. E nel farlo, non lo nobilita. Lo osserva da dentro, lo mastica e lo restituisce come materia filmica viva, instabile, a tratti tossica. Non c’è una morale. C’è solo uno specchio storto in cui riflettersi, volenti o no.
Gummo, dove vederlo?
Attualmente Gummo non è disponibile su piattaforme in abbonamento come Netflix, Prime Video o MUBI in Italia. È possibile noleggiarlo o acquistarlo in versione digitale su Google Play Film, oppure reperirlo in formato DVD su Amazon.it, anche di seconda mano. Alcune versioni in lingua originale sono visibili su Vimeo, anche se la qualità è spesso bassa e non sempre ufficiale. In alternativa, il film si trova talvolta presso cineclub, cineteche o biblioteche universitarie dedicate al cinema indipendente.
Fonte immagine in evidenza: Wikipedia (Detentore copyright: New Line Cinema)
Autore screenshoot: SunOfErat