Maradona San Gennaro e lo sciopero dei miracoli | Recensione

Il 21 giugno al Cineteatro La Perla si è tenuto il primo appuntamento della ventesima edizione del Tam Tam Digifest con l’anteprima del docufilmMaradona, San Gennaro e lo sciopero dei miracoli diretto da Giulio Gargia. Prodotto da Cooperativa Tam Tam in associazione con Millennium Cinematografica e Michelangelo Film, il progetto si distingue per un’idea di fondo originale ed interessante, seppur la sua realizzazione risulta piuttosto essenziale, gli esiti appaiono armonici nella fruizione complessiva.

Inoltre, la preannunciata partecipazione di figure di rilievo, come Roberto Saviano, ha di certo conferito risonanza al progetto. Tuttavia, i loro interventi, pur perfettamente coerenti con la narrazione proposta, risultano essere estratti da materiali precedentemente realizzati per altre produzioni, il che, se da un lato non ne compromette la pertinenza, dall’altro riduce il senso di unicità e la partecipazione attiva.

Il Docufilm

Il docufilm si presenta come una parentesi ironica e passionale tra il sacro ed il profano, un contrasto tra due idoli, nonché icone per la città di Napoli: San Gennaro e Maradona interpretati rispettivamente da Patrizio Rispo e Zap Mangusta. Uno simbolo religioso e patrono della città che nel 1631 si dice abbia deviato la rotta della lava successivamente ad un’eruzione del Vesuvio, in competizione con Maradona, non solo un calciatore straordinario, ma anche un simbolo di riscatto sociale collettivo diventata per i napoletani quasi una figura mitologica.

Il docufilm si è presentato come un intervallarsi di momenti ironici, narrativi ed illustrazioni animate, le quali hanno incarnato perfettamente l’anima di questa edizione del Tam Tam Digifest, dedicato al fumetto ed al cinema d’animazione.

Abbiamo avuto inoltre l’opportunità di intervistare Giulio Gargia, il regista che ha reso possibile di questa idea tanto originale .

Intervista a Giulio Gargia

Nel tuo film scorrono 33 anni di Napoli, tra rinascita artistica e resistenza civile, ma Napoli è anche cronaca, tensioni sociali, contraddizioni forti, come si tiene insieme tutto questo senza fare propaganda nel folklore?

Ma diciamo che questo lavoro abbiamo fatto è un po’ una sfida a questo, cioè lasciò però dei miracoli, vuol dire proprio questo, cioè smettere un po’ di appartenere a quella vecchia iconicità che vuole questo tipo di napoletani un po’ chiassosi e poco produttivi, invece essere proprio un volto moderno e interessato alla modernità della città, senza ovviamente, senza mai, rinnegare la storia, la tradizione.

Ha raccontato una città che sembra finalmente voler vivere di fatti e non solo di fede, ma per farlo ha usato il linguaggio del mito, dell’animazione, della sacralità, è un modo per dire che la rinascita non è mai solo amministrativa ma anche simbolica?

Certo, innanzitutto simbolica, come dice l’antropologo Marino Iola nel documentario, è cominciata la rinascita di Napoli già a metà degli anni Ottanta, quando c’è stata anche una città che si è rialzata dopo il terremoto e il calcio è diventato un simbolo di questo, e di seguito al calcio anche poi gli anni in cui la città ha ricominciato a voler essere protagonista non solo in Italia ma in tutta Europa.

Hai messo San Gennaro e Maradona sullo stesso piano narrativo. Un patrono ed un ribelle. È solo ironia narrativa o anche una critica velata alla gerarchia dei poteri sacri e profani che ancora dominano la città?

Semplicemente io ho voluto raccontare una storia fantastica basata su dei fatti reali, i fatti reali sono che nella città si trova questa adorazione per Maradona ai limiti della santità come racconta appunto l’antropologo e ho immaginato semplicemente il passo successivo, cioè che fantasticamente ci fosse questo confronto in cielo tra i due per capire chi fosse il vero patrono della città.

fonte immagine: ufficio stampa 

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