In occasione di una Masterclass organizzata dalla Festa del Cinema di Roma 2024 l’attore e regista statunitense Viggo Mortensen, in dialogo con Malcom Pagani, si è raccontato al pubblico della Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone.
Il 19 ottobre, sul palco della Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone della 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma, si è tenuta la Masterclass del celebre attore e regista statunitense Viggo Mortensen, che ha ripercorso aneddoti legati alla sua straordinaria carriera nel mondo dello spettacolo, toccando anche temi più personali come i ricordi dell’infanzia trascorsa in Argentina, la separazione dei genitori e il ritorno negli USA, il rapporto con la madre e con la morte.
Il giorno prima, il 18 ottobre, Mortensen ha inoltre ricevuto il meritatissimo Premio alla Carriera in occasione della proiezione del suo ultimo film The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono, presente nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma. «Voglio dedicare questo premio a tutte le persone con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Sono contento che questo premio coincida con la prima del mio film qui a Roma» ha dichiarato in merito al prestigioso riconoscimento.
The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono è la seconda esperienza di Mortensen come sceneggiatore e regista, dopo il suo acclamato debutto alla regia con Falling – Storia di un padre, del 2020. Prodotto da Regina Solórzano, Jeremy Thomas e da Viggo Mortensen stesso, The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono sarà disponibile al cinema in Italia dal prossimo 24 ottobre.
Viggo Mortensen: la biografia
Nato nel 1958 a New York da padre danese e madre americana, Viggo Mortensen trascorre parte della sua infanzia in Sudamerica prima di fare ritorno negli Stati Uniti. Le esperienze maturate in quegli anni in molteplici settori artistici lo portano a esplorare la pittura, la fotografia, la poesia e la musica.
Dopo essersi laureato in Scienze Politiche alla St. Lawrence University, esordisce come attore teatrale negli anni Ottanta e, successivamente, si afferma al cinema con piccole parti in film come Witness – Il testimone (1985) di Peter Weir, Carlito’s Way (1993) di Brian De Palma e Ritratto di signora (1996) di Jane Campion. Dopo i primi ruoli di rilievo, come in Sinistre ossessioni (1995) di Philip Ridley e Delitto perfetto (1998) di Andrew Davis, remake classico di Hitchcock, arriva finalmente alla notorietà internazionale interpretando il ruolo di Aragorn nella trilogia de Il Signore degli Anelli (2001-2003) diretta da Peter Jackson. Dai primi anni Duemila avvia una proficua collaborazione col regista David Cronenberg, recitando in A History of Violence (2005), La promessa dell’assassino (2007), A Dangerous Method (2011) e Crimes of the Future (2022). Interpretazioni che rivelano la sua profonda versatilità e la capacità di immergersi in personaggi complessi e spesso ambigui, mostrandone la natura violenta e la fragilità identitaria.
Continua poi a muoversi agilmente tra produzioni hollywoodiane e cinema indipendente, recitando ruoli significativi in film come Jauja (2014) ed Eureka (2023) di Lisandro Alonso, Captain Fantastic (2016) di Matt Ross, per il quale riceve una nomination agli Oscar, e Green Book (2018) di Peter Farrelly, che gli vale ulteriori riconoscimenti. Nel 2020 debutta alla regia col sorprendente dramma Falling – Storia di un padre, seguito dal western The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono (2023). In parallelo alla carriera cinematografica, nel 2002 Mortensen ha fondato Perceval Press, una casa editrice indipendente specializzata in arte, poesia e critica letteraria.
L’importanza dei dettagli e l’accettazione della morte
La Masterclass di Viggo Mortensen è iniziata ricordando l’infanzia trascorsa tra Buenos Aires e il Nord rurale dell’Argentina, in cui il padre gestiva una fattoria e lavorava per alcune aziende agricole locali. Parlando dei suoi due fratelli più piccoli e della solitudine, racconta che giocavano insieme ma che non disdegnava passare del tempo anche da solo: «Ricordo che immaginavo di essere un esploratore, un gaucho, un indigeno, tutto questo senza limiti. Amavo stare da solo, e anche adesso posso stare da solo per giorni, senza parlare. Ho un rapporto molto forte con la natura, pur amando le persone».
Con la madre invece, con cui ha scoperto e condiviso l’amore per il cinema, ha sempre avuto un rapporto speciale: «Ho visto tanti film con mia madre a Buenos Aires». In particolare, il primo film che ricorda di aver visto insieme a lei è Lawrence D’Arabia, quando aveva più o meno 4 anni: «Amavo i cavalli, come anche adesso, e durante l’intervallo mia madre mi chiese come pensavo che sarebbe andata a finire. Io ho detto: “Andrà bene, perché loro sanno andare a cavallo meglio degli inglesi”».
Tuttavia, il sogno di lavorare nel mondo del cinema arriverà soltanto a 23 anni, dopo aver vissuto per un periodo a Copenaghen svolgendo svariati lavori, come il barista, l’operaio e il venditore di fiori: «Ho cominciato a chiedermi come fossero fatti i film, quale fosse il trucco». Tra i titoli e gli autori che lo avevano colpito maggiormente cita Bergman, Una giornata particolare di Ettore Scola e Il cacciatore di Michael Cimino. «Ho pensato che fossero gli attori a far accadere tutto, poi ho capito che c’erano anche una sceneggiatura, un regista, un montatore».
Come attore riconosce di prestare attenzione soprattutto ai dettagli, quasi al punto da risultare maniacale. Spiega che quello che lo affascina di più del suo lavoro è proprio il processo di studio e di preparazione del personaggio, in particolare la fase di ricerca. «A volte il film non viene bene, ma la fase di ricerca è una cosa mia ed è ciò che posso trarre di buono da quella esperienza». D’altra parte, per quanto riguarda il ruolo di regista, confessa di essere severo e di privilegiare collaboratori e interpreti che siano competenti, puntuali e cordiali sul set.
A proposito del suo rapporto con la morte Viggo Mortensen dichiara di averci sempre pensato molto, sin da bambino, e che certamente è un qualcosa di cui siamo consapevoli ma che non smette comunque di metterci a disagio. «Ne ero ossessionato, in una maniera quasi oscura». Poi cita un aforisma di Sigmund Freud, che trasformò la massima latina «si vis pacem, para bellum» in «si vis vitam, para mortem»: «se vuoi vivere la vita, preparati a morire».
In risposta alla domanda di Malcom Pagani sul dove riesca a trovare la grazia in un mondo pieno di contraddizioni, Mortensen risponde: «Nei piccoli, inaspettati, e del tutto non necessari atti di gentilezza, specialmente da parte di persone sconosciute. Quando qualcuno ti sorride perché capisce che hai avuto una brutta giornata».
Immagine in evidenza articolo Masterclass di Viggo Mortensen alla Festa del Cinema di Roma: Ufficio Stampa