Meta AI sbarca su WhatsApp: rivoluzione o imposizione?

Un semplice cerchietto fucsia e azzurro, discreto, ma impossibile da ignorare, spunta sull’interfaccia di Whatsapp.  Si tratta di Meta AI, l’assistente virtuale targato Mark Zuckerberg integrato ufficialmente sull’app di messaggistica più popolare al mondo. 

Il nuovo chat bot si configura come un vero e proprio assistente digitale onnipresente: un valido alleato pronto a dare una mano – se richiesto – nella giungla della comunicazione quotidiana; Meta AI può aiutarci a scrivere testi, riformulare frasi, organizzare la giornata, tradurre contenuti, rispondere a domande. Eppure, tutte queste funzioni, apparentemente solo che positive per noi utenti, si infrangono subito su un primo scoglio: perché quel tasto è sempre lì senza possibilità di rimozione? 

L’ingresso sulla scena tech di Meta AI, dunque, ha immediatamente provocato una serie di interrogativi. A cosa serve realmente questo assistente digitale? Ma soprattutto, perché non possiamo scegliere autonomamente di disattivarlo?

Llama 3.2: i retroscena di un progetto più ampio

Alle spalle di quel nuovo pulsante colorato c’è: Llama 3.2, il modello open source sviluppato da Meta e già da tempo in funzione su Facebook, Instagram e Messenger. Capiamo così che la presenza di Meta AI su Whatsapp è solo l’ultimo tassello di un progetto molto più ampio. Eppure, in un curioso paradosso, proprio su WhatsApp l’IA risulta “meno invasiva” rispetto a quanto lo potrebbe diventare sulle altre piattaforme. Dopo l’annuncio del 14 aprile, infatti, Meta ha confermato che inizierà ad addestrare il suo modello di intelligenza artificiale utilizzando i contenuti pubblici degli utenti di Facebook e Instagram.

Ma questo cosa significa? 

Innanzitutto, ufficialmente, Meta garantisce: l’AI su Whatsapp non è “obbligata” si attiva solo se l’utente decide di cliccarci sopra. Ma cosa succede quando si apre una chat con l’assistente? Alla domanda diretta “Cosa fai con i miei dati?”, il chat bot risponde così: “Raccolgo le informazioni fornite dall’utente e le condivido con partner selezionati per migliorare la qualità delle risposte.”

Chi siano questi “partner selezionati”, però, non è dato sapere. Tantomeno ci viene spiegato se i nostri dati vengano anonimizzati, aggregati, profilati o addirittura incrociati con quelli raccolti altrove, sulle altre piattaforme del gruppo Meta alla quale siamo associati. Insomma: un buco nero di finta trasparenza, mascherato da “gentilezza algoritmica”.

Nonostante Zuckerberg ci tenga a “rassicurare tutti” su questa apparente libertà di utilizzo dello strumento, resta comunque il fatto  che il tasto fucsia e azzurro è impostato sulle nostre interfacce di default e che non può essere eliminato, ma solo ignorato. Meta AI ha, dunque, un suo vantaggio strutturale non indifferente: non è un’estensione da attivare, né un tool da scaricare. È già lì, cucita dentro l’esperienza d’uso, perfettamente integrata nel flusso della comunicazione quotidiana. Questo rianima una preoccupazione, un’idea che negli ultimi tempi sembra si stia concretizzando sempre di più: sarà questo l’ennesimo passo verso un ecosistema digitale dove la libertà di scelta è sempre meno sostanziale e sempre più formale?

Attualmente l’unico modo per svincolarsi all’AI sull’app di messaggistica è: non attivare le conversazioni con Meta AI. Insomma: bisogna far finta che lei non esista, ma in realtà resta lì, come una notifica fantasma. 

Unica “flebile rassicurazione”? Per ora WhatsApp è esclusa dal processo di addestramento dell’AI sulla base dei dati “pubblici” grazie alla crittografia end-to-end che tutela le nostre chat private; quindi, almeno, quello che scriviamo ai nostri contatti resta solo nostro e non sarà, per il momento, saccheggiato dai chat bot. 

Ma, ovviamente, come abbiamo detto, il progetto di Meta va ben oltre. L’annuncio relativo all’addestramento dell’AI sulla base dei nostri dati pubblici ci deve seriamente iniziare a far riflettere sulla questione.

Oggi annunciamo i nostri piani per addestrare l’IA presso Meta utilizzando contenuti pubblici, come post e commenti, condivisi da adulti sui nostri prodotti nell’UE. Anche le interazioni delle persone con l’IA di Meta, come domande e richieste, saranno utilizzate per addestrare e migliorare i nostri modelli. ” riporta Meta nel comunicato ufficiale.

L’informativa è chiara e al contempo preoccupante: Meta avrà pieno accesso ad ogni contenuto pubblico condiviso da utenti adulti. Ad essere esclusi sono i minori, esclusa – per ora – anche la messaggistica privata. Mentre, nomi, immagini di profilo, interazioni sotto i post, foto pubblicate, foto nelle stories? Tutto cibo per far prosperare ed evolvere l’AI . Zuckerberg, anche qui, è pronto a “smorzare” le sue affermazioni con “garanzie”: includeremo anche un link a un modulo tramite il quale gli utenti potranno opporsi in qualsiasi momento all’utilizzo dei propri dati per questo scopo”. 

Tutto risolto quindi? All’apparenza si, ma se scaviamo, e neanche troppo a fondo, i problemi emergono subito. L’opposizione al trattamento dei propri dati riguarda i contenuti pubblicati dall’utente che sta esercitato il diritto di opporsi, ma non le informazioni pubblicate sui social network da terzi soggetti che lo riguardano. Dunque, nella grande macchina per nutrire l’AI potrebbero finire anche dati di chi ha compilato il modulo e persino quelli di persone che neanche lo hanno un profilo sulle piattaforme di Meta, ma che compaiono nelle fotografie di altri utenti di Instagram.

“Meta non è gratis e la tua privacy è oggetto di baratto”

Alla luce di questi nuovi sviluppi – più obblighi che proposte – esplicitati da Zuckerberg, la sua creatura digitale rischia di scontrarsi (si spera) con l’indignazione degli utenti. Dopo aver già dovuto ingoiare, seppur con riluttanza, la profilazione costante a fini pubblicitari per continuare ad usufruire delle piattaforme Meta, ora gli utenti scoprono che i loro dati serviranno addirittura ad alimentare i dataset dell’intelligenza artificiale. 

La verità è una sola: lo slogan “Facebook è gratis e lo sarà sempre” è oramai un lontano miraggio. Siamo tutti coscienti del fatto che il prezzo da pagare per continuare ad usare i social network è caro, ed è la nostra privacy. Un baratto silenzioso che rende i servizi di Meta tutt’altro che gratuiti. 

Forse sarà proprio questo il punto di non ritorno, quello capace di spingere gli utenti a dire basta e ad aprire le porte alla no social era”. Utopico? Probabilmente si. Ma, a oggi, sembra essere  l’unica via d’uscita . 

La sensazione è che, ancora una volta, l’innovazione sia stata imposta più che spiegata e poi lasciata alla libera scelta dell’utente. Meta AI viene presentata come un servizio utilissimo, che potrebbe divenire quasi indispensabile – altro meccanismo che le big tech attuano per tenerci in pugno – ma con una struttura di funzionamento che si regge interamente sui nostri dati, gettoni usati dai colossi della tecnologia per elaborare  informazioni e monetizzarci attraverso. Tutto perfettamente costruito e pensato con o senza il consenso realmente consapevole degli utenti.

Una scelta obbligata travestita da opportunità

Meta AI si mostra un assistente gentile, disponibile; ci chiede se può esserci utile, se può migliorare per noi le sue risposte e si scusa se non riesce a soddisfare le nostre richieste quando glielo si fa notare.  A detta dell’azienda è anche rispettosissimo della privacy, “se non gli chiedi nulla non prenderà i tuoi dati per nutrire la sua conoscenza”; ma il modo in cui viene proposto fa pensare a tutt’altra realtà. Non lo si può disattivare quando si desidera, non lo si può rimuovere dall’interfaccia di Whatsapp, e se rivolgiamo lo sguardo al suo braccio destro e sinistro (Instagram e Facebook) la situazione precipita nettamente: senza neanche troppi sforzi i nostri contenuti diventeranno una palestra free entry per allenare i dataset dell’impero tech di Meta con o senza il nostro effettivo consenso.

Ebbene, siamo di fronte a un nuovo grande problema, quello dell’intelligenza artificiale di default. La domanda che dovremmo realmente porci, in questa nuova era monopolizzata dall’AI, non è più se la vogliamo usare, ma se possiamo scegliere di non farlo.

Fonte immagineFreepik

Altri articoli da non perdere
Il numero phi della proporzione divina: 1,618 (rapporto aureo)
Il numero phi della proporzione divina: 1,618 rapporto aureo

Il numero phi (rapporto aureo), la proporzione divina, la successione di Fibonacci. Parliamone  Cos'è la proporzione divina? Qual è il numero Scopri di più

Stereotipi sugli inglesi: i cinque più diffusi
Stereotipi sugli inglesi: i cinque più diffusi

Stereotipi sugli inglesi: verità o convinzioni senza fondamento? Dopo aver analizzato gli stereotipi sui cinesi, sugli tedeschi e sui napoletani, Scopri di più

Intervista al content strategist Francesco Vigliotti e a Ovidio Merola
Intervista al content strategist Francesco Vigliotti e a Ovidio Merola

Francesco Vigliotti, un nome che ha una grande risonanza sui social e che ha ridefinito il mondo della comunicazione pubblicitaria. Scopri di più

App per la produttività: 9 da scaricare
App per la produttività: 9 da scaricare

La frenesia che caratterizza il mondo di oggi rende sempre più difficile restare organizzati e produttivi. Sia che tu stia Scopri di più

Albero di Natale tradizionale: origini e composizione
Albero di Natale tradizionale

Con l'arrivo delle festività natalizie la nostra attenzione è catturata da uno degli emblemi più iconici e carichi di significato: l'albero Scopri di più

Regali personalizzati per amici o per clienti: a ciascuno il suo
Regali personalizzati

Si sa, il miglior regalo è quello che ti fai da solo. Oppure, se vogliamo essere meno pragmatici e più Scopri di più

A proposito di Chiara Primavera

Vedi tutti gli articoli di Chiara Primavera

Commenta