Dei nostri fratelli feriti, Joseph Andras | Recensione

Dei nostri fratelli feriti, la storia di un'idealista

Sarà pubblicato il 26 ottobre da Fazi Editore nella collana Le Strade, Dei nostri fratelli feriti, lo scioccante romanzo-verità del giovane scrittore francese Joseph Andras.

L’opera è basata sulla storia vera dell’operaio e militante comunista e anticolonialista francese Fernand Iveton, l’unico europeo a essere giustiziato dopo un fallito tentativo di sabotaggio, durante la guerra d’Algeria scoppiata nel 1954, per proclamare l’indipendenza dell’Algeria dalla Francia colonialista. L’autore inizia la narrazione nel 1956. Fernand ha trent’anni, è sposato con Héléne, lavora come operaio in una fabbrica del gas e ha aderito, non soltanto ideologicamente ma anche attivamente, al Front de Libération NationaleFNL – algerino. Intenzionato ad agire, non per fare del male a degli innocenti come successe in altri attentati verificatisi in quegli anni, Iveton accetta di piazzare una bomba nella fabbrica dove lavora per lanciare un messaggio chiaro e forte non soltanto al governo francese quanto, soprattutto, all’intera collettività. Gli eventi, tuttavia, prendono una piega diversa da quella attesa giungendo, in capo a un solo anno, a una conclusione dolorosamente tragica.

Dei nostri fratelli feriti : l’ingiusta giustizia

Vincitore del Premio Goncourt Opera Prima del 2016 – riconoscimento rifiutato da Andras con la motivazione che “La competizione, la concorrenza e la rivalità per me sono nozioni estranee alla scrittura e alla creazione.”Dei nostri fratelli feriti è un romanzo interamente pervaso dallo spirito e dal fermento politico di quell’epoca.

Lo stile è realistico nella sua accezione più alta e pura, privato di qualsiasi ornamento o artificio, in fondo superflui considerato il soggetto trattato nel romanzo. Le parole si susseguono libere da qualsiasi tipo di costrizione o regola – non vi è, ad esempio, alcun segno di interpunzione per distinguere il discorso diretto da quello indiretto; esse sono soltanto il mezzo di cui Andras si è servito per ridare voce a Fernand Iveton: un idealista immolato a una causa. Significativa e chiarificatrice riguardo la sua posizione e il suo pensiero politici, è una frase di quando ricorda episodi di protesta raccontategli da alcuni arabi:

“La morte è una cosa, ma l’umiliazione… quella ti entra dentro, sotto la pelle, e deposita minuscoli semi di rabbia che poi rimangono lì e distruggono tutto, per intere generazioni”.

Di umiliazione, così come di torture, Iveton ne riceverà fin troppe dopo l’arresto da parte delle forze di polizia e durante il periodo di prigionia al quale i comunisti lo abbandoneranno senza muovere un dito in sua difesa dopo la condanna alla pena capitale.

Esemplari, infine, sono le sue ultime parole.

Le prime, “Viva l’Algeria”, gridate nei corridoi del carcere di Barberousse quando, nel febbraio del 1957, viene prelevato dalla sua cella per essere condotto nell’ufficio amministrativo della prigione per “seguire la procedura”. Le seconde sono la rappresentazione della reale convinzione nell’ideale in cui ha creduto fino alla fine e Andras, riportandole, ne ha degnamente omaggiato la memoria riabilitandolo ed evidenziandone l’onore:

“La vita di un uomo, la mia, conta poco. Quello che conta è l’Algeria, il suo futuro. E l’Algeria domani sarà libera. Sono sicuro che l’amicizia tra i francesi e gli algerini si rinsalderà”.

La guerra finirà nel 1962 e l’Algeria diventerà una Repubblica Democratica e Popolare dopo aver pagato, come è accaduto, accade e accadrà in tutti i conflitti, un alto tributo di sangue versato dalle migliaia più uno dei suoi fratelli feriti.

A proposito di Francesca Melis

Calabrese di nascita e sarda di origine sono laureata in Lingue e ho molte passioni: i viaggi, la musica, la fotografia, la scrittura e la lettura. In attesa di insegnare, coltivo il mio sogno nel cassetto di diventare una scrittrice.

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