Ibn al-Muqaffa’: le favole del Kalīla wa Dimnah

Ibn al-Muqaffa’: Kalīla wa Dimnah

Il libro di Kalīla wa Dimnah (كليلة ودمنة) è una raccolta indiana di apologhi, vale a dire favole allegoriche, in cui i protagonisti sono animali parlanti, con uno scopo morale. Originariamente composta in sanscrito, è stata tradotta in pehlevico nel sec. VI d. C e nel sec. VIII d. C. in arabo, da Ibn al-Muqaffa’.
Il Tantrākhyayika («Libro di casi di saggezza») è l’opera originale e più antica che consta di cinque capitoli, in cui si intersecano molte storie. Queste non hanno solo fini morali e pedagogici, spesso lo scopo è insegnare l’arte del governo, anche attraverso azioni poco leali come l’inganno.
Al Tantrākhyayika si è ispirata la raccolta del Pañcatantra (in sanscrito «i cinque libri» o «le cinque dottrine») dove compaiono le cinque storie che saranno l’essenza di tutte le rivisitazioni e le rielaborazioni successive. È in questa versione che si legge dei due sciacalli protagonisti, Karataka e Damanaka, che hanno dato il nome a tutta la raccolta di favole, nella forma arabizzata da Ibn al-Muqaffa’ di Kalīla e Dimnah.
Di origini persiane, Ibn al-Muqaffa’ ha vissuto per molti anni a Bassora, centro culturale in incessante fermento. Più che tradurre l’opera, egli è riuscito a rielaborarla (aggiungendo altre storie, oltre quelle originarie, e introduzioni) senza stravolgerla, rispettando il testo. Ibn al-Muqaffa’ scrive “è un libro composto dai dotti, ed elaborato dai saggi”, “un libro su ciò che i re devono conoscere per governare i sudditi, venire incontro alle loro necessità e trattarli con giustizia”. Nel capitolo II, Ibn al-Muqaffa’ spiega il fine ultimo dell’opera: permettere all’uomo di raggiungere la felicità attraverso la conoscenza di se stessi e degli altri, solo così si può capire cosa è bene e cosa è male.

L’eremita e il gioielliere di Ibn al-Muqaffa’: storia e morale

Degli uomini scavarono una buca per catturare degli animali feroci. Purtroppo, però, vi caddero un gioielliere, una tigre, un serpente e una scimmia. Questi animali non lo uccisero, anzi rimasero insieme a lui e cercarono dei modi per uscire di lì, ma non ci riuscirono. Un giorno si trovò a passare di lì un eremita, calò una corda nella buca e uscirono la scimmia, la tigre e il serpente. Una volta fuori, gli animali ringraziarono l’eremita e gli consigliarono di non aiutare l’uomo, che descrissero come uno dei peggiori ingrati. Inoltre, prima di andar via, dissero all’uomo di vivere nella città di Baragiùn e che, un giorno, avrebbero ricambiato il favore. L’eremita non ascoltò il loro consiglio e aiutò anche il gioielliere. Quest’ultimo lo ringraziò e gli assicurò di ricompensarlo se un giorno fosse passato per Baragiùn. Dopo tempo l’eremita si trovò in questa città per sbrigare delle faccende. Ricevette dalla scimmia dei frutti deliziosi e dalla tigre dei gioielli, che aveva rubato uccidendo la figlia del re, ma non raccontò nulla all’uomo. Andò dunque dall’orafo con l’intento di vendere i doni della tigre e di ricavarne dei soldi, ma questi subito riconobbe i gioielli e andò a denunciarlo al re. Fu, perciò, condannato a morte e, mentre degli uomini lo percuotevano, pensò che avrebbe dovuto ascoltare il consiglio della scimmia, della tigre e del serpente. Al sentire quei lamenti, il serpente uscì dalla sua tana e andò a mordere il piede del re. Per salvarlo il serpente diede all’eremita, dopo averlo ammonito, una pianta. Così si recò dal re col rimedio, gli raccontò quello che era successo e pregò Dio. Il ragazzo, infatti, guarì, il re offrì all’eremita la sua amicizia e dei doni, mentre il gioielliere fu ucciso.
Infine, Ibn al-Muqaffa’, attraverso il filosofo, fa comprendere al re che, nella vita, bisogna sempre ricorrere al discernimento ovvero a quella facoltà di formulare un giudizio oppure di scegliere un determinato comportamento, a seconda delle esigenze della situazione, ma anche che bisogna attingere la felicità ed evitare il pericolo.

L’opera in Occidente

La conoscenza che l’Occidente ha avuto del Kalīla wa Dimnah e il suo successo sono dovuti proprio alla figura di Ibn al-Muqaffa’, grazie al quale, dall’Iraq del sec. VIII le favole raggiungeranno la Francia, la Spagna, l’Italia e la Sicilia dei Normanni. Oltre che un forte eco, altro aspetto che ne attesta la fortuna è che la raccolta è stata imitata da molti grandi autori: Boccaccio, Poggio Bracciolini, il Firenzuola, La Fontaine.

Immagine di copertina – fonte: Wikimedia Commons

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