E-commerce alimentare in Italia: fase di consolidamento e potenzialità da sviluppare

L’e-commerce alimentare sta attraversando, in Italia, una fase che gli esperti definiscono di consolidamento. Il settore si prepara a chiudere il 2025 con un incremento del valore degli acquisti pari all’8,5%: si tratta di un dato estremamente positivo e per rendersene conto basta considerare il fatto che la media generale dell’e-commerce di prodotto è una crescita attorno al 6%.

Nonostante questo, come sottolineato, lo scorso giugno, nel corso dell’evento Netcomm Focus Food&Grocery, ci sono ancora diverse potenzialità da esplorare.

L’e-commerce food & grocery, infatti, rappresenta ancora una quota limitata di quello di prodotto. Uno dei problemi più rilevanti per le aziende del comparto che scelgono di vendere online i propri prodotti sono i costi logistici alti: questi ultimi rappresentano il principale motivo dietro ai prezzi più alti che, quando si confrontano canale online e punto vendita fisico, caratterizzano il primo.

Numeri alla mano, a gennaio 2024 si parlava di una differenza del 3,5%, che ha raggiunto il 5 nel mese di dicembre. 

Il prezzo non è l’unico fattore considerato dal consumatore

Anche se il nodo dei costi logistici e delle loro conseguenze va gestito, il prezzo del prodotto finale non rappresenta l’unico fattore sul quale i consumatori si soffermano.

Sempre secondo i dati presentati durante l’evento, contribuiscono anche aspetti come la certezza di trovarsi davanti a un’ampia scelta di prodotti e di poter usufruire di servizi di consegna contraddistinti da un alto livello di efficienza.

Di altissima qualità deve essere anche l’esperienza di acquisto sul sito.

Con meno touchpoint necessari, mediamente, prima della conclusione del processo di acquisto – ovviamente si parla di un confronto con gli altri settori – il comparto food & grocery vede, nell’e-commerce, un canale la cui potenza di fuoco può essere migliorata grazie all’aiuto di strumenti come i chatbot AI, la riprova sociale e i contenuti di blog e social media, preziosi per educare l’utente e ottimizzare la sua consapevolezza sulla qualità dei prodotti.

Il profilo dell’acquirente tipo

L’acquirente tipo che sceglie di comprare prodotti food & grocery online ha tra i 25 e i 44 anni e vive nei grandi centri urbani. 

Si tratta di un utente con un alto livello di consapevolezza e che ricerca il massimo della trasparenza – questo è il motivo per cui, tra i vari investimenti, le aziende dovrebbero investire anche in servizi di consulenza per l’etichettatura alimenti che, al di là delle normative, rappresentano una leva importante per il successo del business -nonché servizi come la consegna a domicilio.

In merito a quest’ultimo punto, è doveroso ricordare i numeri in crescita relativi al ritiro dei prodotti presso locker o negozi fisici convenzionati (fra il 2024 e il 2025, è stato registrato un incremento del 5% circa.

Il potere della fidelizzazione

Un dato di indubbia importanza emerso nel corso dell’evento riguarda la fidelizzazione: quando si parla di e-commerce food & grocery in Italia, in 5 casi su 7 si inquadrano processi di riacquisto.

Le aziende devono quindi impegnarsi per consolidare la fiducia degli utenti: funzionali a tal proposito sono le già citate recensioni – la riprova sociale ha da sempre fatto la differenza nel successo di un business online – così come strategie di digital pr, fondamentali per fare in modo che la notorietà del marchio cresca in maniera intelligente, intercettando il pubblico giusto nei contesti adatti.

Su questo aspetto c’è da recuperare – non poco – terreno in quanto, sempre sulla base dei dati presentati nel corso dell’evento di giugno, solo il 26% delle aziende analizzate ha una strategia omnicanale. La buona notizia? L’80% circa investe in digitalizzazione, il che significa che i mezzi per rinnovarsi, così come il mindset, non mancano assolutamente e che c’è tutto il margine per migliorare ulteriormente i numeri di un settore che è già eccellenza per l’Italia.

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Partite Iva, i regimi agevolati conquistano sempre più professionisti
Il dipartimento delle Finanze ha diffuso i dati sulla diffusione dei regimi agevolati scelti dalle persone fisiche nel corso del 2017, da cui si nota un forte incremento di aperture di regime forfettario al posto di quello ordinario. Il "popolo" delle partite Iva in Italia ha deciso: il regime forfettario è il sistema migliore per la gestione delle propria (piccola) attività. È questo il messaggio più chiaro che arriva dal puntuale aggiornamento realizzato dall’Osservatorio insediato presso il dipartimento delle Finanze, che ha diffuso un report con le informazioni definitive sulle decisioni assunte nel corso dello scorso anno. Le adesioni al regime forfettario I numeri parlano chiaro: più di 182 mila soggetti, su un totale di 512 mila nuove aperture in proprio sia a livello imprenditoriale che professionale registrate nel Paese, hanno optato per il sistema "forfettario", vale a dire più del 35 per cento del totale, a conferma di come il metodo abbia un appeal crescente. Per fare un paragone, nel 2016 questa tipologia rappresentava "solo" il 27 per cento delle nuove posizioni, con un dato quantitativo stimato in 165 mila soggetti. I requisiti L'analisi si sposta dal piano quantitativo a quello qualitativo quando prova a chiarire le motivazioni del successo di questo regime, individuate innanzitutto nelle imposte ridotte di cui beneficia chi è in possesso dei requisiti per beneficiare del sistema agevolato. Come spiega anche l'approfondimento del blog di Danea, tra i requisiti per il regime forfettario 2018, validi dunque anche per questo anno fiscale, c'è innanzitutto il vincolo dei ricavi e compensi, che a seconda della attività esercitata può andare da una soglia di 25 mila fino ai 50 mila euro. Vantaggi e semplificazione In termini pratici, poi, il grande vantaggio principale che funge da calamita per accedere al regime agevolato sono le imposte ridotte, ma non bisogna trascurare gli aspetti legati alla semplificazione degli adempimenti fiscali e burocratici: giusto come citazione veloce, si deve ricordare che i professionisti rientranti in minimi e forfettari non devono compilare gli studi di settore né inviare lo spesometro, né tanto meno sono soggetti allo split payment. Niente obbligo di fatturazione elettronica Proprio nelle ultime settimane, inoltre, durante l'evento Telefisco (organizzato dal Gruppo 24 Ore) è stato possibile appurare che i sistemi agevolati saranno esclusi anche dall’obbligo di fatturazione elettronica tra privati che prende il via nel 2019, anche se invece sono sottoposti regolarmente alle norme che regolano l’e-fattura verso le Pa (e, allo stesso modo, sono obbligati a ricevere il documento digitale in scambi tra privati in qualità di fornitori). Una flat tax Insomma, il sistema si poggia su leve che attraggono i soggetti con Partita Iva, al punto che nei giorni scorsi Il Sole 24 Ore si è spinto a parlare di "flat tax sui redditi delle persone fisiche", descrivendo i risultati del regime forfettario e, soprattutto, mettendo in relazione il sistema con la sua caratteristica di base, ovvero la presenza di un’imposta sostitutiva del 15 per cento. Un appeal crescente Sempre nello stesso articolo, poi, si invita a non misurare l’appeal del regime forfettario soltanto con le nuove aperture, segnalando le distinzioni con il vecchio regime dei minimi (in quest'ultima tipologia la flat tax è ancora più bassa, fissata al 5 per cento, ma le adesioni sono terminate nel 2016): con il forfettario è infatti possibile anche il "cambio in corsa", ovvero il passaggio durante l'anno da un regime ordinario e semplificato, "in cui comunque si applica l’Irpef ad aliquota progressiva con tanto di addizionali locali, ma anche l’Irap (se c’è il requisito dell’autonoma organizzazione) e l’Iva".

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A proposito di Marcello Affuso

Direttore di Eroica Fenice | Docente di italiano e latino | Autore di "A un passo da te" (Linee infinite), "Tramonti di cartone" (GM Press), "Cortocircuito", "Cavallucci e cotton fioc" e "Ribut" (Guida editore)

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